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«Con la Mifid2 la partita si sposta dal prezzo alla qualità». Ne è convinta Paola Pietrafesa: la Direttiva sulla trasparenza non deve avere tanto l'obiettivo di ridurre all'osso i prezzi della consulenza, quanto quello di valorizzarla, sostiene l'amministratore delegato di Allianz Bank Financial Advisors. Insomma: di far percepire il “value for money”. Per questo Allianz Bank ha creato un centro di formazione, Allianz Bank Business School, dedicato ai financial advisors della sua rete. E punta su una cura massiccia di tecnologia: l’integrazione del digitale all’interno del modello di servizio, con la proposta di nuove soluzioni tecnologiche, offriranno il volano per rendere i processi operativi più efficienti. Ma anche per aumentare la prossimità tra banca e clientela, facendo «percepire maggiormente il valore aggiunto rappresentato dal servizio di consulenza».
Da un sondaggio dell’Università Bocconi è emerso che i clienti sanno poco della MIFID 2. Eppure le regole di product governance hanno spinto a ripensare i prodotti in funzione delle caratteristiche della clientela. E i controlli sui ribilanciamenti di portafogli (e sui costi/benefici delle “operazioni di switch”) ridurranno i fenomeni di miss-selling degli operatori. Così il fronte della consulenza, con il partner di Ernst&Young Luca Galli e il senior manager Giuseppe Brandaleone, giudica la direttiva. Eppure, ammettono in questa intervista, si poteva fare di più. Un esempio? Un format comune per informare il cliente sui costi. Di certo sarà il fonte delle banche a soffrire di più. Primo, per la sfida con le Fintech sul terreno dei servizi. Secondo, per l'arrivo nel 2020 degli operatori esteri, che hanno costi decisamente inferiori ai nostri.
Una raccolta di 30 miliardi in un anno difficile come il 2018 testimonia la salute del sistema delle reti di consulenti finanziari. E il fatto che sia aumentato il portafoglio medio di un consulente, e anche il numero dei clienti seguiti, conferma la fiducia dei risparmiatori. Marco Tofanelli, segretario generale di Assoreti, che rappresenta le principali reti di distribuzione di prodotti finanziari in Italia, valuta in questa intervista l'impatto della MifidII: in Italia il modello di “consulenza evoluta” agli investimenti – cioè non solo finanziaria ma patrimoniale in senso più ampio - era già stato adottato, dice. Adesso la flessibilità propria delle reti può riuscire a controbilanciare alcuni irrigidimenti introdotti dalla direttiva e a difendere i propri margini di guadagno. Quanto alla famigerata product governance non è sempre nel miglior interesse del cliente...
Le nuove regole sulla product governance, cioè le informazioni sui costi di prodotti e servizi, e quelle sulla valutazione di adeguatezza (in cui la Commissione europea chiede di includere le variabili Esg), sono la sfida maggiore per le banche, ammette il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini. E lo sforzo deve essere fatto anche sul fronte degli investitori in termini di educazione finanziaria, per metterli in condizione di utilizzare al meglio le nuove informazioni fornite. Quanto agli effetti dell’unbundling, che nel resto d’Europa sta producendo contraccolpi su banche e società, da noi non si registrano cambiamenti rilevanti. Ma per sapere come è andato il 2018, il rendiconto annuale da spedire per la prima volta ai propri clienti si farà attendere
Al check-up di un anno di vita, il giudizio della Consob sulla Mifid II è favorevole, afferma il commissario Carmine Di Noia. E non c’è fretta di rimetterci le mani. Perché se il primo obiettivo della direttiva è di tutelare meglio gli investitori, i risultati già si vedono. Sono stati vietati alcuni strumenti di trading come le opzioni binarie. I requisiti di conoscenza del personale degli intermediari sono stati messi in chiaro. Le informative ex ante ai clienti sui costi sono già attive. Ci vorrà invece più tempo per ottenere quelle del primo consuntivo sui costi complessivi del servizio e dei prodotti. Intanto, i connotati del mercato, con la nuova regolamentazione, stanno già cambiando…
Fintech va inquadrata concettualmente e disciplinata, comporta nuovi rischi ma dà la possibilità di perseguire maggiore efficienza e soprattutto obiettivi di inclusione rispetto ai quali la finanza tradizionale è spesso risultata inadeguata
È trascorso ormai oltre un lustro da quando l’eterogeneo fenomeno del Fintech si è imposto all’attenzione della scienza giuseconomica. Ancora oggi, tuttavia, non vi è una definizione universalmente riconosciuta che possa riassumere le plurime e variegate modalità in cui tale fenomeno si estrinseca tanto nelle manifestazioni del presente quanto, a maggior ragione, del futuro [Schueffel P., «Taming the Beast: A Scientific Definition of FinTech», in Journal of Innovation Management, 4, pp. 32-54]. Qualche punto fermo lo si può ricavare da un’interpretazione letterale della locuzione stessa, dalla quale a sua volta si evince la sussistenza di un collegamento applicativo-funzionale tra tecnologia (Tech) e finanza (Fin). Qualcuno potrà obiettare l’ovvietà di un approccio siffatto e ritenere tale affermazione nulla più che una tautologia. Così non è.
Il cd “sistema dell’arte” è una realtà decisamente consolidata, anche se nota soprattutto agli addetti ai lavori, dominata da regole scritte e ancor più da regole non scritte, che costituisce un vero e proprio sistema di potere – in grado di fare la differenza per la fortuna, e quindi le quotazioni, di un artista- con tutte le opacità che spesso caratterizzano i sistemi di potere: le stesse che forse hanno impedito finora alla finanza di avvicinarsi più decisamente al mondo dell’arte (pensiamo soprattutto agli art funds, sui quali cfr. per tutti: https://mirror.fchub.it/detail/news/art-funds-pronti-partenza-via ) considerato -per l’appunto -opaco, volatile, con troppi conflitti di interessi poco gestibili.
Il peer to peer lending, nelle varie modalità applicative che sta sviluppando, ha guadagnato rapidamente l’attenzione di Autorità, operatori del settore e di nuovi attori, che detengono importanti liquidità e forza economica per investire in tecnologia, i c.d. players over the top (OTT), addirittura in grado di offrire un servizio gratuito, almeno in fase iniziale, alla clientela retail. Sembra così avviato a costituire il più rilevante canale alternativo di accesso al credito, rivolto ai consumatori (peer to consumer) e alle imprese (peer to business), forte dei caratteri di semplicità, velocità, che appartengono al mondo digitale, cui unisce un rendimento, che stimola l’afflusso di risorse.