L’art. 21, comma 1, lett. d), TUF, impone agli intermediari di “disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività” e, già con la comunicazione n. DI/30396 del 2000 (tuttora vigente nella parte relativa ai principi regolanti l’utilizzo degli strumenti informatici), la Consob aveva fatto presente che “gli intermediari che prestano servizi di trading on line devono dotarsi di sistemi informativi interni adeguati a garantire, tenuto conto dei volumi delle transazioni disposte, il rispetto dell’obbligo di eseguire con tempestività gli ordini impartiti dagli investitori […]”. Considerata la necessità di “disporre di risorse e procedure… idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi” (art. 21, comma 1, lett. d), TUF), “può risultare opportuno concludere accordi con Internet provider e con altri soggetti coinvolti nel processo, idonei a garantire la funzionalità efficiente del servizio prestato. In ogni caso è necessario che l’intermediario predisponga adeguate procedure e risorse per far fronte ad eventuali “cadute” (anche temporanee) del sistema automatizzato, dotandosi di strumenti alternativi, efficienti e strutturati, che consentano alla clientela di proseguire l’operatività”. Nel caso di specie, il ricorrente, una volta rilevato il malfunzionamento, si è attivato contattando il proprio consulente finanziario di riferimento, dimostrando di aver più volte telefonato al servizio di call center senza ottenere risposta. In proposito, l’Arbitro ha richiamato una decisione relativa ad una fattispecie analoga, in cui ha stabilito che l’intermediario “ha l’obbligo di far sì che i sistemi di home banking e trading on-line siano sempre correttamente funzionanti, dovendo oltretutto garantire anche – in caso di difettoso funzionamento – l’esistenza di sistemi di back up, ovvero possibilità per il cliente di operare anche attraverso modalità alternative” (Decisione ACF n. 2095, dell’11 dicembre 2019). Ne discende che la clausola contrattuale che prevede la completa esclusione di responsabilità per i disservizi non è compatibile con i principi generali dell’ordinamento di settore in materia di presidi organizzativi.
Nell’ambito del servizio accessorio di custodia e amministrazione di strumenti finanziari, funzionalmente collegato ai servizi di investimento esecutivi, l’intermediario ha il dovere di informare il depositante delle vicende che interessano la struttura finanziaria dell’emittente i titoli oggetto di deposito e che implicano operazioni aventi ad oggetto questi ultimi, come ad esempio nel caso di aumenti di capitale, offerte pubbliche di acquisto o di scambio, bail-in, ristrutturazione del debito e default dell’emittente, nonché delisting (cfr., Decisioni ACF n. 116 del 21 novembre 2017, n. 3815 del 1° giugno 2021, n. 4966 del 18 gennaio 2022, nn. 6570 e 6571 del 30 maggio 2023; v. anche Comunicazioni Consob n. 11085708 del 20 ottobre 2011 e n. 0090430 del 24 novembre 2015).
L’Arbitro, usando doverosa cautela nell’affermare la sussistenza di obblighi generalizzati di informazione c.d. continuativa, con oneri per gli intermediari e con il serio e denegato rischio che i costi di tale informativa siano alla fine addossati sugli investitori, ha affermato che un’operazione di delisting integra, in sé, una “modifica rilevante” delle informazioni fornite all’investitore in fase pre-contrattuale, che non possono, dunque, non essere comunicate al cliente dall’Intermediario in tempo utile, ai sensi dell’art. 46, comma 4, del Regolamento Delegato UE 2017/565. Si tratta, infatti, di informazione che può incidere in modo apprezzabile sulle scelte di investimento/disinvestimento della clientela. L’Arbitro ha ritenuto di precisare che altro, invece, è l’obbligo informativo post contrattuale, che non può trovare applicazione nel caso in esame (dove i servizi prestati erano quelli di ricezione e trasmissione ordini e di custodia e amministrazione di strumenti finanziari), relativo all’obbligo di monitoraggio continuativo sul titolo, che compete all’impresa di investimento nell’ambito della prestazione dei servizi di consulenza e di gestione di portafogli.
Nel caso di gestione di un fondo immobiliare chiuso, l’Arbitro ha precisato che, pur non potendosi sindacare le valutazioni effettuate dal gestore, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, sulla tempistica, sull’opportunità e sulla convenienza degli investimenti e dei disinvestimenti, coerentemente con la lettera e lo spirito della normativa di riferimento, nonché con la natura di obbligazione di mezzi (e non di risultato) gravante sul gestore, può e deve essere oggetto di valutazione il rispetto del dovere di addivenire alle proprie scelte di investimento/disinvestimento attraverso un predeterminato e rigoroso processo decisionale che garantisca coerenza, completezza di analisi, compiuta motivazione delle stesse e adeguata considerazione degli interessi dei partecipanti al fondo, oltre che il rispetto del regolamento del fondo stesso. Il concreto atteggiarsi del processo di investimento/disinvestimento riveste, infatti, un ruolo centrale ai fini della corretta prestazione del servizio gestorio. Affinché il comportamento della società di gestione possa considerarsi improntato ai prescritti canoni di diligenza e correttezza comportamentale è necessario, alla luce delle previsioni normative di riferimento, che il complessivo processo decisionale venga in concreto declinato in modo da consentire, ex ante, di indirizzare l’attività gestoria e, ex post, di controllarne i risultati (ex multis, decisione ACF n. 6058 del 10 novembre 2022). Nel caso di specie, le evidenze disponibili in atti non sono idonee a dimostrare che la SGR, nella fase di liquidazione dei cespiti immobiliari del fondo, abbia effettuato un’adeguata e approfondita attività di due diligence – per sua natura propedeutica all’operazione di disinvestimento degli immobili – finalizzata all’individuazione delle controparti acquirenti e delle condizioni di vendita, non avendo versato in atti neppure le procedure interne cui si sarebbe dovuta attenere nel selezionare i cessionari e nel pattuire le condizioni e il prezzo di vendita.
È esclusa la sussistenza del nesso di causalità tra la violazione di obblighi informativi e il danno lamentato laddove dalla documentazione in atti emergano elementi tali da indurre a ritenere che la decisione di investimento sia stata frutto di una scelta libera e consapevole dell’investitore e che quest’ultimo l’avrebbe compiuta anche se gli fosse stato fornito un corretto e completo quadro informativo. Nel caso di specie, la complessiva e tutt’altro che irrilevante operatività del ricorrente dimostra significativa dimestichezza e consapevolezza delle caratteristiche degli investimenti effettuati, come anche dei rischi correlati. Assume particolare rilievo la circostanza che il ricorrente abbia compiuto numerosi acquisti, alternati a vendite, mostrando un vivace attivismo sul titolo, quando non potevano non essergli chiare le caratteristiche delle operazioni di investimento che andava a compiere, avendo, in precedenza, tratto anche profitto da alcune di queste. A conclusioni siffatte l’Arbitro è pervenuto nei casi in cui le evidenze prodotte consentivano di tracciare un profilo dell’investitore caratterizzato da un’operatività piuttosto frequente, in epoca precedente, nei medesimi prodotti oggetto del ricorso o in strumenti finanziari con caratteristiche analoghe, che non aveva, tuttavia, dato luogo a contestazioni di sorta, neppure sotto il profilo della mancata conoscenza delle caratteristiche proprie dello strumento finanziario (si veda, in tal senso, Decisione ACF n. 6634 del 22 giugno 2023). L’Arbitro si orienta nel senso di escludere la sussistenza del necessario nesso di causalità tra la violazione di obblighi informativi e di correttezza comportamentale ed il danno lamentato, laddove dalla documentazione in atti emergono elementi tali da indurre a ritenere che la decisione di investimento sia stata il frutto di una scelta libera e consapevole dell’investitore, che quest’ultimo avrebbe comunque compiuto. L’Arbitro è pervenuto a tale conclusione nei casi in cui le evidenze prodotte consentivano di tracciare un profilo d’investitore caratterizzato da un buon livello di esperienza e competenza finanziaria e davano conto di un’operatività apprezzabilmente frequente, in epoca precedente e in alcuni casi anche successiva alle operazioni oggetto di contestazione, nei medesimi prodotti ovvero in strumenti finanziari con caratteristiche analoghe, che non aveva, tuttavia, dato luogo a contestazioni di sorta, neppure sotto il profilo della mancata conoscenza delle caratteristiche proprie dello strumento finanziario.
La domanda restitutoria non può essere accolta quando risulta versata in atti la proposta contrattuale per la prestazione dei servizi di investimento, sottoscritta dal ricorrente, in cui egli aveva dichiarato – tra l’altro – di aver ricevuto un esemplare del contratto, comprendente le condizioni generali e i documenti informativi sull’intermediario e sui servizi prestati, sulla natura e i rischi degli strumenti finanziari, sulla classificazione della clientela, sulla strategia di esecuzione e trasmissione di ordini, sui conflitti di interessi, sugli incentivi e sulle procedure in materia di valutazione di adeguatezza e appropriatezza. Ne deriva che tutte le operazioni contestate, in quanto effettuate in data successiva a quella della proposta contrattuale in atti, risultano realizzate sulla base di un valido contratto quadro per la prestazione di servizi di investimento che – in base ad un consolidato orientamento dell’Arbitro – deve ritenersi regolarmente concluso in forma scritta nel caso di produzione del documento di accettazione della proposta contrattuale sottoscritta dal cliente recante la dichiarazione di quest’ultimo di aver ricevuto le condizioni generali che regolano il rapporto (ex multis, decisione n. 6713 del 4 agosto 2023) nonché nel caso in cui tutte le informazioni pertinenti, ancorché non contenute in un unico modulo contrattuale, siano riportate in modulistica accessoria debitamente richiamata in atti e sottoscritta dal cliente (ex multis, decisione n. 6755 del 30 agosto 2023).
La domanda restitutoria non può essere accolta quando risulta versata in atti la proposta contrattuale per la prestazione dei servizi di investimento, sottoscritta dal ricorrente, in cui egli aveva dichiarato – tra l’altro – di aver ricevuto un esemplare del contratto, comprendente le condizioni generali e i documenti informativi sull’intermediario e sui servizi prestati, sulla natura e i rischi degli strumenti finanziari, sulla classificazione della clientela, sulla strategia di esecuzione e trasmissione di ordini, sui conflitti di interessi, sugli incentivi e sulle procedure in materia di valutazione di adeguatezza e appropriatezza. Ne deriva che tutte le operazioni contestate, in quanto effettuate in data successiva a quella della proposta contrattuale in atti, risultano realizzate sulla base di un valido contratto quadro per la prestazione di servizi di investimento che – in base ad un consolidato orientamento dell’Arbitro – deve ritenersi regolarmente concluso in forma scritta nel caso di produzione del documento di accettazione della proposta contrattuale sottoscritta dal cliente recante la dichiarazione di quest’ultimo di aver ricevuto le condizioni generali che regolano il rapporto (ex multis, decisione n. 6713 del 4 agosto 2023) nonché nel caso in cui tutte le informazioni pertinenti, ancorché non contenute in un unico modulo contrattuale, siano riportate in modulistica accessoria debitamente richiamata in atti e sottoscritta dal cliente (ex multis, decisione n. 6755 del 30 agosto 2023).