Uno studio del CEPS, firmato Stefano Micossi, analizza le soluzioni proposte alla luce della compatibilità con l'articolo 125 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Ecco chi promuove e chi no
La riforma del Patto di stabilità è uscita dai radar di fronte alle incertezze sulla crescita dell’economia legate alla guerra. Le riflessioni degli esperti, però, vanno avanti, perché il calendario della sospensione delle regole per ora non è cambiato, e verrà comunque il momento di affrontare la costruzione di quelle nuove.
Fchub.it ha dato conto delle principali proposte in merito, e si impegna a un aggiornamento via via che si presentano delle novità.
Che non si possa semplicemente riattaccare la spina dei vecchi meccanismi su riduzione del debito e spesa pubblica è ormai cosa acquisita persino dai paesi più refrattari ai ritocchi, come l’Olanda, che ha aperto al cambiamento, chiedendo però di tutelare i “fondamentali”, in pratica il rigore sull’impegno a tagliare l’indebitamento da parte dei paesi più indebitati.
La gestione del debito resta quindi il punto cruciale su cui si esercitano le soluzioni. Ma un altro punto cruciale è anche il rispetto dei trattati esistenti. Senza questo paletto, qualsiasi soluzione rischia di scontrarsi con la difficoltà di una revisione degli stessi. E di perdersi per strada.
Recentemente è apparso uno studio che mette a fuoco proprio questo aspetto. E che giunge a un giudizio clamoroso: la bocciatura della proposta avanzata da un gruppo autorevole di economisti che include Francesco Giavazzi, consigliere economico di palazzo Chigi.
Firmato per il Ceps da Stefano Micossi, il paper affronta la questione della normalizzazione del portafoglio dei titoli di debito pubblico accumulato dalla Bce nei vari programmi d’acquisto, dal PSPP (nato per stimolare l’inflazione) al PEPP (varato in risposta al Covid).
Cosa succederà quando questi titoli, comprati quando i tassi erano a zero e l’inflazione anemica, torneranno sui mercati privati in un contesto tutto cambiato, cioè con tassi in risalita e inflazione in ripresa? Cosa succederà soprattutto ai titoli dei paesi più indebitati, come il nostro, con la decisione che quei titoli non verranno rinnovati alla scadenza dalla Bce? E quali perdite si potranno scaricare sui bilanci delle banche centrali nazionali che li detengono realmente in portafoglio?
Proprio per la gestione di questa delicata transizione molte proposte sul “nuovo ordine” del Patto prevedono una entità che si prenda quel carico di titoli e lo smaltisca evitando le turbolenze: un compito che, secondo le soluzioni avanzate dai diversi economisti, potrebbe andare o al Mes, l’European Stability Mechanism (lo ha proposto lo stesso Micossi ), oppure a una Agenzia del debito nuova di zecca (lo hanno proposto Amato e Saraceno , e il gruppo D’Amico, Giavazzi &C ).
Si tratta di scegliere quale delle due soluzioni è più adatta, rispetto all’obiettivo duplice di evitare interferenze con la politica monetaria e conflitti tra politica monetaria e politica economica. In sostanza, di garantire il rispetto dell’obiettivo della stabilità finanziaria.
Per capirlo, bisogna innanzitutto fare i conti con il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Una cornice, ma anche una barriera inviolabile pena l’impossibilità di ottenere il consenso necessario alla revisione del patto stesso nel suo complesso. All’articolo 125, il TFEU proibisce di caricare sull’Unione e sui paesi membri la garanzia del debito di uno degli Stati dell’Unione. Questo per essere certi che ciascun paese della Comunità segua politiche di spesa ragionevoli e non metta in pericolo la stabilità della valuta comune.
È la clausola del “no bail out”. Ed è il principio che sta alla base del Patto di stabilità e crescita, rafforzato dopo la crisi del debito del 2010-12. Ed è anche la ragione per cui è stato creato il Mes con la missione di assistere uno Stato membro in difficoltà e dunque difendere il rispetto dell’articolo 125.
Come si fa a rispettare il principio dettato dall’articolo 125 anche ora, nella gestione del debito sovrano di cui la Bce si dovrà prossimamente liberare? Come si fa, in sostanza, a risolvere l’impasse del debito accumulato senza passare per la cruna dell’ago di una modifica dei trattati esistenti?
Ebbene, Micossi rileva che l’unica proposta che non supera il test dell’articolo 125 è quella firmata da Giavazzi&C, al contrario di quella di Amato e Saraceno e della propria, che invece sono promosse. E spiega, nel confronto, perché.
La proposta dell’autore del paper immagina che sia il Mes a comprare dalla banca centrale una quota del debito sovrano nazionale, rinnovandolo in perpetuo a condizioni di mercato, ma essendo libero anche di non rinnovarlo alla scadenza. Lo schema prevede anche l’aiuto temporaneo da parte del Mes a un singolo paese in caso di default, ma mettendo in chiaro che sarà solo quel paese ad assumerne i costi.
Quanto alla proposta Amato-Saraceno, la European Debt Agency che essi propongono per assolvere la missione prenderebbe in carico tutti i debiti nazionali, per rimpiazzarli con un debito comune di nuova emissione. EDA sarebbe insomma l’unico finanziatore dei governi nazionali, applicando a ciascuno di loro un interesse basato sul rischio paese. Il capitale non verrebbe mai restituito, mentre una combinazione tra un sistema di assicurazione contro le perdite e l’interesse pagato in base al rischio paese porterebbe a evitare la mutualizzazione del debito vietata dall’articolo 125.
Che cosa accade invece con la European Debt Agency pensata da Giavazzi&C? Qui l’EDA della loro proposta comprerebbe i titoli di debito sovrano nazionali a prezzi di mercato e li cancellerebbe, eliminandoli quindi dai bilanci dei singoli Stati; a sua volta, EDA diventerebbe emittente di titoli di debito europeo. Ai singoli Stati resterebbe solo l’onere di pagare all’EDA le spese per gestire la propria quota del debito comune e di mantenere quel debito in un rapporto costante rispetto al Pil del paese. Un meccanismo che configura una palese mutualizzazione del debito e che vìola quindi il famoso articolo 125 del TFEU.
Ci sarà tempo per la messa a punto dei progetti e dei suggerimenti per trovare la strada giusta per un nuovo Patto di stabilità e crescita. Perché, come si vede, il diavolo sta nei dettagli.