ABF&ACF/IL MOMENTO D'ORO
Le virtù dell'arbitro

Gli organi di conciliazione extra giudiziaria delle controversie - l'ABF e l'ACF - hanno faticato per uscire dal ruolo ancillare rispetto alla giustizia ordinaria. E per allontanare lo stigma di essere una forma evoluta di ombudsman e farsi rispettare per la propria indipendenza. Ora incassano molte lodi. E la benedizione  di un giurista come Guido Alpa

Paola Pilati

Tolgono le castagne dal fuoco alla giustizia ordinaria perché intercettano e risolvono casi che altrimenti si aggiungerebbero al flusso di cause nei tribunali. E anche quando tocca alla fine ai giudici avere l’ultima parola, i conflitti passati per le mani degli organismi arbitrali come l’Abf e l’Acf sono stati talmente analizzati, sviscerati e approfonditi, da offrire già l’orientamento per la decisione e consentire di ridurre i tempi del procedimento.

Operativi da anni, sia l’Arbitro bancario – il primo a nascere – che quello per le controversie finanziarie (che compie cinque anni) sono cresciuti via via nell’attività svolta e anche nell’autorevolezza. Eppure hanno dovuto faticare non poco per uscire dal ruolo ancillare rispetto a quello della giustizia ordinaria. E soprattutto per allontanare da sé lo stigma di essere di fatto una forma evoluta di ombudsman, e quindi di inclinare verso una parte del conflitto – il risparmiatore o il cliente bancario – ai danni dell’altra, quella della banca e dell’intermediario finanziario. E per farsi rispettare per la propria indipendenza.

Oggi sembrano esserci riusciti. Come è apparso evidente nel corso del convegno organizzato presso il Dipartimento di Economia della Sapienza, agli organismi di composizione extra-giudiziaria delle controversie vengono riconosciute mille virtù. Quella di aver fatto contribuito ad aumentare la fiducia dei cittadini nei mercati finanziari, dopo che i tanti casi di “risparmio tradito” l’avevano allontanata; quella di aver fatto da calmiere ai costi dei litigi per le materie in questione, rendendoli accessibili a tutti; quella di aver stimolato – come ha ammesso il vicedirettore generale dell’Abi Gianfranco Torriero – l’inserimento della procedura dei ricorsi all’arbitro come un elemento da inserire nel processo gestionale della banca, perché intercetta l’opinione del cliente, insomma una sorta di controllo di qualità.

Certo, delle aree di miglioramento ci sono. Per esempio: nonostante l’alto profilo dei componenti dei collegi arbitrali, alle competenze giuridiche vanno affiancate sempre più anche le competenze economico-finanziare (aspetto sottolineato sempre dall’Abi). Ma in generale il ruolo degli organismi di conciliazione ha assolto la sua mission di deflazionare il ricorso alle aule di giustizia. Solo per il 20 per cento dei casi, come ha testimoniato Guido Alpa riferendosi a tutto il mondo della conciliazione? Anche così, il taglio di un quinto dei casi sarebbe già un buon risultato. Come sembra d’altra parte credere la ministra Marta Cartabia, che li ha valorizzati nella sua riforma della giustizia civile.

A chi pensa che tra mondo dei tribunali e mondo della conciliazione ci sia in fondo antagonismo e concorrenza, ha risposto di fatto proprio Guido Alpa. Il quale ha speso la sua benedizione di eminente giurista sia sull’Abf che sull’Acf , i due arbitri che Fchub segue con due apposite rubriche.

Una benedizione non formale, anzi in contrario. Perché il professore è andato a verificare che cosa avesse deciso l’Acf sui derivati: «Una questione che ha prodotto un contenzioso molto complesso, che prendeva spunto da un decreto legge sui derivati conclusi dalla Pubblica amministrazione», ha ricordato Alpa. Un terreno scivoloso, dunque.

Ebbene: i provvedimenti dell’arbitro sono stati scritti «con chiarezza cristallina, in modo che sia le parti sia i giudici ordinari possano acquisire indicazioni dalle soluzioni date», senza insistere sulla validità o meno del contratto derivato, ma valutando solo il comportamento corretto o meno dell’intermediario. E Alpa ha ricordato: «Questo è uno dei profili giuridici emersi nel contenzioso dei derivati, che riguarda l’applicazione del art. 23 del Testo unico della finanza. Un punto importante, visto che si discute dal punto di vista civilistico se dare rilievo alle regole di validità piuttosto che di comportamento, oppure se la violazione della regola di comportamento comporti di per sé la nullità per la violazione di una norma di legge; oppure per una carenza di informazioni che sono state date al contraente, con la conseguenza che la sua volontà non è maturata e il consenso non era informato…», ha ragionato il professore.

Che cosa emerge invece dalla linea seguita dall’Acf sui derivati?, conclude Alpa. Innanzitutto «una grande coerenza, in secondo luogo il fatto che non c’è mai un pregiudizio negativo nei confronti della banca destinato a dare comunque una qualche soddisfazione al cliente. Quando il cliente non dimostra che non avuto informazioni, che quell’investimento non è inadeguato rispetto ad altri fatti, in quel caso il suo ricorso viene respinto».

Guardando al futuro e all’uso sempre più esteso dell’intelligenza artificiale, Alpa lancia però una raccomandazione al mondo dell’arbitrato. «I provvedimenti dell’Acf sono lineari, semplici, e riferiti a un caso specifico. L’intelligenza artificiale potrebbe semplificare, appiattire, e trascurare le specificità del caso». È lo stesso “difetto” che possono avere le sentenze nella banca dati della Cassazione, da cui si prendono le “massime” senza fare riferimento al caso di specie. Un errore da non fare: «Quando le massime sono fatte bene si fa capire anche come quel principio sia stato applicato in quel determinato caso. Anche per le decisioni dell’arbitro occorrerà quindi rispettare il riferimento ai casi di specie, in modo che le decisioni degli organismi di conciliazione possano essere calibrati per il caso di specie». Un modo per generare le best practice (https://fchub.it/acf-e-il-tempo-delle-regole/) con cui educare il mercato e i suoi operatori.