ARBITRO PER LE CONTROVERSIE FINANZIARIE/LA NUOVA FASE
ACF, è il tempo delle regole

Intervista a Gianpaolo Barbuzzi

Non limitarsi a dare torto o  ragione in singole controversie, ma partire dai casi concreti per definire delle best practice a cui sarebbe bene che gli intermediari si uniformassero in modo da prevenire nuove situazioni di conflitto con i clienti. È l'obiettivo delle nuove regole che si è dato l'ACF. E che FCHUB seguirà d'ora in poi con una nuova rubrica

Paola Pilati

La risparmiatrice milionaria che non si è mai occupata di dove la banca mettesse i suoi investimenti. Il ludopatico che si è rovinato comprando e vendendo sulla banca online come alla roulette. Chi ha firmato senza capire, chi si è fidato dei consigli allo sportello prendendoli per consulenza.

Sono sempre in tanti a rivolgersi all’Arbitro per le controversie finanziarie, l’organismo che dal 2017 svolge il ruolo di mediatore nei conflitti tra intermediari finanziari e risparmiatori con un doppio obiettivo, come spiega il presidente Gianpaolo Barbuzzi: «Quello di risolvere le singole controversie, ma anche quello di delineare dei criteri applicativi delle norme che traggono spunto dai casi concreti, per definire delle best practice a cui sarebbe bene che gli intermediari si uniformassero in modo da prevenire nuove situazioni di conflitto con i clienti».

Quanto al primo obiettivo, il numero crescente dei ricorsi all’Arbitro testimonia quanto, nonostante il profluvio di regole formali, di direttive comunitarie a difesa del risparmiatore, di scandali del risparmio tradito come nel caso delle banche venete di qualche anno fa o della Banca popolare di Bari di oggi, il settore della gestione del risparmio sia ancora per molti clienti una giungla. Nei quasi 5 anni di lavoro dell’ACF i ricorsi sono stati 8500, con una media di 1800 all’anno, e nel 65 per cento dei casi si concludono dando ragione al cliente.

È proprio per questo che sta prendendo sempre più corpo il secondo obiettivo dell’ACF. Quello di estrarre dalla immensa casistica che viene esaminata dal collegio giudicante non solo dei giudizi su chi ha torto o ragione nella singola controversia, ma anche delle regole positive: «come invece avrebbe dovuto comportarsi l’intermediario per essere conforme alle indicazioni normative, prima fra tutte quella di servire al meglio il cliente», aggiunge Barbuzzi.

La fase operativa di questa seconda missione è in partenza con una serie di iniziative, come ci spiega in questa intervista il presidente. Una di queste vede impegnato anche il nostro sito: parte su Fchub una nuova rubrica, Le decisioni in pillole, in cui segnaleremo le decisioni che, in materia di controversie finanziarie, vogliono servire da guida di condotta per le banche e anche per i risparmiatori. Lo faremo indicando per ogni “sentenza” rilevante dell’ACF la parola chiave che servirà a capire qual è la materia del contendere, il tema e l’orientamento.

Qual è la prima “pillola” che vorrebbe dare ai risparmiatori?

«Quella dell’autoresponsabilità. Mettere una firma, anche se in maniera inconsapevole, costituisce un vincolo. Firmare dal punto di vista giuridico ha delle conseguenze. Non ci si può liberare da questo vincolo solo dicendo: ho firmato ma non avevo letto».

Eppure qualche volta avete dato ragione a chi si è giustificato così.

«È vero. Sull’argomento il collegio dell’arbitro ha sempre avuto un approccio sostanziale, anche aldilà delle firme che erano state regolarmente apposte. E cioè siamo andati a guardare se quel tipo di operazione, che viene contestata dal risparmiatore, fosse in concreto coerente con il profilo e con gli obiettivi di investimento di quel risparmiatore. Abbiamo superato il dato formale. Ma nello stesso tempo cerchiamo di inculcare ai risparmiatori piccole pillole di educazione finanziaria per metterli in guardia al momento della firma: state attenti, prima di firmare è bene leggere. Se c’è il Kid, il documento di 2/3 pagine che contengono le informazioni chiave dell’investimento, è bene leggerlo prima, piuttosto che lamentarsi dopo di non aver capito una clausola, o dire: ho comprato delle obbligazioni e solo dopo mi sono accorto che erano subordinate. Questa è una informazione agevolmente reperibile se si legge al volo il Kid».

Quando si ravvisa la responsabilità dell’intermediario?

«Abbiamo verificato molti casi in cui l’adempimento informativo preventivo è stato di tipo rituale. Viene cioè consegnato il documento al risparmiatore, non si crea un dialogo, ma si arriva subito al “firmi qui e lì”. Questo è un comportamento che noi imputiamo all’intermediario. Deve essere lui a rendere sempre consapevole il risparmiatore delle implicazioni di quell’operazione di investimento. Non basta adempiere all’obbligo legale, deve anche trasmettere effettiva conoscenza al risparmiatore. Poiché tutto resta tracciato informaticamente, se risulta che l’intermediario ha fatto la valutazione di non adeguatezza di un investimento – poniamo – alle ore 9.46 e un minuto dopo supero il vincolo di inadeguatezza facendo firmare al risparmiatore l’autorizzazione a fare comunque l’operazione contestata, è chiaro che è stato un adempimento solo formale: in un minuto non riesco certo né a spiegare né a capire perché quell’investimento inadeguato va fatto comunque».

Dovete fare un’indagine da Sherlock Holmes, una ricostruzione dettagliata e puntuale per ogni caso, quindi…

«Il fatto è che le nostre decisioni non sono vincolanti. L’intermediario, in caso di soccombenza, può avere la tentazione di non dare seguito. Oppure decidere di andare di fronte al giudice vero. Quanto più le decisioni del collegio sono convincenti, dunque, più risultano forti e spingono in alto il tasso di esecutività. Se non teniamo conto dei casi clamorosi di risparmio tradito, come quelli delle banche venete o casi cronici di inadempimento come quello della Popolare di Bari, vengono rispettate in più di 95 casi su cento».

Qual è la fattispecie più diffusa di conflitto risparmiatore-intermediario?

«Il servizio più critico è il servizio di consulenza: non ho ben chiaro che cosa fare dei miei soldi, lui mi suggerisce certe operazioni, mi fido, quelle operazioni non danno il risultato che mi aspettavo, mi rivolgo all’ACF. Quindi, l’intermediario ha operato male: è quasi il 50 per cento dei ricorsi. Ma le cose non sono mai così semplici: spesso i risparmiatori confondono la consulenza con i suggerimenti allo sportello. La consulenza è un servizio a pagamento, dove mi consigliano i prodotti giusti sul mio obiettivo di investimento. Se voglio proteggere il capitale non posso attendermi un rendimento elevato. Nessuno regala rendimento alto senza rischio. Se è vera consulenza, inoltre, l’intermediario dovrebbe operare nell’interesse del cliente, e innanzitutto evitare di proporre titoli di propria emissione, o comunque dare un ventaglio molto ampio. Ma spesso i risparmiatori hanno un ruolo passivo e quasi si vergognano di chiedere informazioni. Salvo lamentarsi ex post».

Un atteggiamento autolesionista…

«Non sempre i risparmiatori sono in possesso di conoscenze base per cogliere il senso di quello che stanno per fare. Si è rivolta a noi un’anziana risparmiatrice che ha investito un milione di euro con l’obiettivo dichiarato di voler preservare il capitale. Dopo sei mesi si è spaventata delle perdite e ha liquidato tutto, perdendo il 30 per cento. L’intermediario si è difeso esibendo la mole di documentazione messa a disposizione della signora. Sa come ha risposto lei? “Se solo avessi voluto leggere tutta la documentazione che avevo ricevuto, ci avrei impiegato mesi e alla fine non ci avrei capito niente”. Questo è il problema vero: nella maggioranza delle volte l’intermediario mette a disposizione tutta la documentazione. Ma il risparmiatore ha il tempo e il modo per leggere e diventa consapevole di quello che sta per fare?».

Eppure sono stati fatti molti interventi per una maggiore chiarezza a difesa del risparmiatore, a partire dalle Direttive europee. Armi spuntate?

«Tutta la normava in materia di intermediazione ha privilegiato l’esaustività rispetto alla chiarezza e la comprensibilità. È vero che un prospetto informativo di 300 pagine contiene tutte le informazioni sul soggetto che opera. Ma è un documento fruibile per un consumatore tipo? Il vero tema è disboscare la burocrazia collegata alla contrattualistica: questa non è dominio delle autorità di vigilanza e neanche dell’ACF, siamo nel campo del diritto privato. Prendiamo il questionario di profilatura, che è la carta di identità dell’investitore, bene: ogni intermediario ha il suo schema. Così capita che io dica che il mio obiettivo di investimento è proteggere nel tempo il capitale investito e avere flussi di cassa periodici, e che mi trovi la proposta dell’intermediario che mi dice di comprare azioni, che non proteggono il capitale investito».

L’Arbitro non può intervenire?

«Noi cerchiamo, decisione per decisione, di definire le linee di condotta per informative molto più fruibili per il risparmiatore, innovando il linguaggio, semplificando le descrizioni, anche utilizzando strumenti che la tecnologia digitale ci mette a disposizione: grafici, immagini, video, tutto ciò che faccia capire al risparmiatore che cosa sta per fare. Fidarsi dell’intermediario è buona cosa, ma non ingenera consapevolezza».

C’è ancora molto cammino da fare. Le autorità nazionali non potrebbero essere più proattive rispetto alle Direttive europee?

«La normativa è a maglie larghe, e i singoli paesi non possono indurre vincoli ulteriori rispetto alla disciplina comunitaria, perché nell’esperienza pratica questo spinge gli intermediari verso la “estero-vestizione”: opero tramite la mia controllata lussemburghese e aggiro la normativa italiana. Prendiamo il campo modulistica: ora si sta registrando un ulteriore fenomeno nell’operatività online. Quando si opera online, si tende a voler chiudere in fretta l’operazione, non tenendo in dovuto conto i vari passaggi procedurali. Il programma chiede: Procedi? E tutti procedono, saltando spesso un passaggio fondamentale, quello di leggere la scheda prodotto. Noi abbiamo chiesto, in una decisione, che nell’investimento online sia obbligatorio segnalare che si è letta la scheda prodotto per poter eseguire l’operazione».

Non lo potere imporre?

«Non lo possiamo imporre».

L’aumento dell’uso della banca online, indotta dal lungo periodo di lockdown, ha aumentato i casi di ricorso all’Arbitro?

«Sì, stiamo notando un progressivo aumento dei ricorsi legati all’operatività online. Abbiamo avuto anche casi di trading compulsivo, con trader che fanno centinaia di operazioni l’anno e non si rendono conto delle perdite progressive che maturano, ma imputano all’intermediario di non averli avvertiti. Abbiamo avuto anche un caso di un risparmiatore con certificato medico che gli diagnosticava una ludopatia, di cui aveva informato la banca, che quindi lui riteneva responsabile delle sue perdite. Ricorso non accolto».

Dal primo ottobre è cambiato il formulario per presentare il ricorso. Perché?

«Innanzitutto per guidare meglio il percorso: nell’80 per cento delle controversie che ci vengono sottoposte i risparmiatori si avvalgono di consulenti legali, indice della difficoltà che hanno a rappresentare da soli il senso del conflitto con il proprio intermediario. L’altra finalità è quella di contenere la documentazione, mettendo anche dei limiti ai caratteri. Spesso gli avvocati dei risparmiatori presentano memorie di 50 pagine, allungando i tempi della controversia. Standardizzando la documentazione, in modo da poter tirar fuori le parole chiavi, renderà più facile capire qual è la materia del contendere».

E questo farà fare un salto di produttività all’Arbitro?

«Lo scenario di domani, in cui già molti stanno operando nel mondo della giustizia, è quello delle sentenze predittive: fare in modo che il ricorso e gli atti delle parti siano tali che un algoritmo possa rilevare quale possa essere la soluzione di quella controversia alla luce di altri casi analoghi già verificati in precedenza. Arrivando a proporre una possibile soluzione, che poi va sottoposta al collegio giudicante che vaglierà la rispondenza di quella ipotesi di soluzione rispetto ai precedenti in materia. Arrivando ad anticipare la possibile soluzione alle parti, si può favorire una soluzione conciliativa. Già adesso, in pendenza del procedimento, molti raggiungono un accordo transattivo, Questi casi sono aumentati del 50 per cento rispetto all’anno scorso. Segno che presentare un ricorso di fronte all’ACF può avviare un percorso di soluzione ancora prima che ci pronunciamo».

Altra novità?

«Proprio per avvicinare all’accordo e sollecitare le parti a trovare una soluzione pacifica, sono previsti due nuovi strumenti: il primo permette alle parti di chiedere all’Arbitro la sospensione del procedimento per il tempo necessario a confrontarsi in cerca di un accordo. Il secondo riguarda l’intermediario. Oggi, nel caso che non aderisca alla nostra decisione, viene iscritto nell’elenco degli inadempienti nel nostro sito. D’ora in poi, se l’intermediario è in ritardo ma adempie alla nostra decisione, lo cancelliamo dall’elenco e diamo il “diritto all’oblio”».