Intervista a Carmine Di Noia, Direttore Affari Finanziari e dell’Impresa dell’OCSE
Le regole di redazione del bilancio, il voto plurimo, la modalità di svolgimento dell'assemblea, la governance della Consob ... Come eliminare procedure che non trovano un corrispettivo in altri ordinamenti europei e a cui non corrisponde una maggiore tutela del risparmio. Con l'obiettivo di dare competitività al nostro mercato dei capitali e attrarre imprese e investitori di altri Paesi
Riscrivere le regole che governano il mercato dei capitali. Rimodernare la legislazione finanziaria italiana per renderla al passo con quella degli altri paesi europei, più competitivi. Riformare semplificando, per dare nuovo appeal al paese riguardo alle imprese che devono andare in borsa o vogliono emettere obbligazioni per finanziarsi. Offrire nello stesso tempo a risparmiatori e investitori istituzionali la sicurezza che le opportunità di investimento sono garantite da regole certe e monitorate dalle Autorità di vigilanza.
A tutti questi obiettivi deve rispondere il DdL “Capitali”, su cui il Senato ha svolto le sue audizioni. Sul testo non sono mancate posizioni critiche da parte di esperti e di addetti ai lavori, per cui assume un particolare rilievo l’audizione di Carmine Di Noia (nella foto), Direttore Affari Finanziari e dell’Impresa dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico): non solo per il prestigio professionale e l’esperienza di Di Noia – è stato commissario della Consob e vice-direttore generale di Assonime, oltre che full professor di Financial markets and banking alla Luiss Business School – ma anche perché è proprio da un Rapporto OCSE che ha preso le mosse la riforma strutturale del nostro mercato dei capitali. Quali sono i punti che Di Noia ha messo in evidenza? Lo spiega in questa intervista.
Lei ha sottolineato che due terzi delle imprese che sono entrate nel mercato azionario nell’ultimo quindicennio sono state PMI: il listino Euronext Growth Milano ha svolto quindi un ruolo fondamentale nella crescita della finanza di mercato italiana e deve continuare a svolgerlo. Borsa Italiana inoltre fa parte di uno dei principali network di mercati borsistici europei: eliminando le differenze di regolamentazione con gli altri mercati, la piazza italiana può divenire strategica anche per imprese e investitori esteri. Il DdL riesce nell’intento?
«Le modifiche riguardanti la semplificazione in materia di accesso e regolamentazione dei mercati di capitali sono complessivamente positive. Mi riferisco all’estensione della definizione di Pmi, alla riforma della disciplina degli emittenti di strumenti finanziari diffusi – che forse però potrebbe essere ancora più netta – e all’abrogazione dell’obbligo di segnalazione delle operazioni effettuate dagli azionisti di controllo. Queste misure sono accomunate dal fatto di essere finalizzate a eliminare procedure che non trovano un corrispettivo in altri ordinamenti europei e sono considerate non necessarie, a cui non corrisponde una maggiore tutela del risparmio».
Uno degli obbiettivi del provvedimento è anche quello di contrastare il fenomeno della fuga delle società italiane verso mercati con regole più vantaggiose. Quali sono gli interventi qualificanti in questo senso?
«Le modifiche alla disciplina di approvazione del prospetto e della responsabilità del collocatore (art. 10 del DdL) cercano di contrastare una delle plausibili motivazioni che portano le società quotate a cambiare la sede legale, in quanto il prospetto azionario è, in sostanza, approvato dall’Autorità del paese in cui ha sede la società. In teoria, gli approcci di supervisione delle Autorità di vigilanza dovrebbero essere completamente armonizzati dal Regolamento (UE) 2017/112911 ma, come evidenziato nel Rapporto OCSE, l’evidenza empirica, per le emissioni obbligazionarie, dove l’emittente può scegliere, in alcune circostanze, l’Autorità di approvazione del prospetto, mostra la maggiore attrattività di alcuni paesi rispetto al nostro.
Appare poi utile la proposta contenuta nell’art. 5 del DdL che pare estendere alle società aventi azioni negoziate su MTF la facoltà di redigere il bilancio, consolidato e di esercizio, secondo i principi contabili internazionali. In realtà, però, l’anomalia italiana risiede piuttosto nell’obbligo per le società quotate su mercati regolamentati di redigere il bilancio di esercizio secondo tali principi, opzione non esercitata nei principali mercati finanziari europei e che potrebbe non essere completamente estranea a spiegare alcuni trasferimenti di sede. Sarebbe pertanto opportuna, a mio avviso, una riflessione ulteriore anche su questo profilo».
In che direzione?
«Fermo l’obbligo di redigere il bilancio consolidato utilizzando gli IAS-IFRS, che nascono proprio per gli analisti finanziari e l’informazione al mercato, si potrebbe lasciare alle società la scelta di redigere il bilancio cd. Civilistico, su cui si pagano tasse e dividendi, secondo i principi nazionali, come si fa nei principali paesi».
Un elemento di sicura attrazione per le imprese italiane è la possibilità offerta dall’Olanda di aumentare a dismisura il peso delle quote di controllo attraverso il meccanismo del voto maggiorato o plurimo. In che direzione va il DdL?
«Il DdL propone soluzioni più flessibili per azioni che garantiscono voto plurimo (art. 13 del DdL) prima di un’eventuale quotazione. Tali modifiche dovrebbero sempre essere attentamente valutate per contemperare esigenza di flessibilità delle imprese, tutela degli investitori, attuali e potenziali, e attrattiva del mercato. Il tema è anche all’attenzione del legislatore comunitario, con la proposta di Direttiva contenuta nel pacchetto del Listing Act, limitatamente alle società di prossima quotazione nei (soli) mercati Growth».
Una gran parte delle giurisdizioni con mercati finanziari sviluppati consente il ricorso ad azioni a voto plurimo e/o maggiorato, con il conseguente distacco dal principio un’azione un voto. Esiste, anche se in misura limitata, anche da noi. Va ampliato?
«Bisogna distinguere i due istituti del voto plurimo e del voto maggiorato per comprenderne portata, rischi, e l’utilizzo da parte delle imprese. Infatti, le azioni a voto plurimo rappresentano una categoria, diversa dalle azioni ordinarie, mentre quelle a voto maggiorato incorporano un diritto speciale garantito e legato all’azionista in quanto tale, e che, in generale, si perde contestualmente al trasferimento delle azioni. La stabilità degli assetti proprietari, soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, si è trasformata in molti casi da un punto di strutturale debolezza a un asset strategico. Allo stesso tempo, bisogna riconoscere che adeguata trasparenza e solidi framework di corporate governance sono gli strumenti più idonei per rispondere a rischi, nonché a perplessità e preoccupazioni, che spesso accompagnano strutture di voto flessibili devianti dal principio di proporzionalità one share one vote».
Quindi il DdL va nella giusta direzione o no?
«Va valutato positivamente l’aumento del fattore di moltiplicazione per le azioni a voto plurimo da tre a dieci voti per azione per le società quotande, come attualmente previsto dall’ art. 13 del DdL. I recenti cambiamenti di giurisdizione di importanti società italiane e possibili ulteriori “migrazioni” potrebbero rendere utile un simile intervento in relazione al voto maggiorato anche per le società già quotate, eventualmente con un opt-in statutario e adeguate tutele per gli investitori di minoranza».
Come valuta le disposizioni sulla governance della Consob?
«È positivo che il DdL affronti i temi del cooling-off e del cooling-in. Garantire l’indipendenza delle Autorità di vigilanza è una priorità chiave ma la vera indipendenza, nelle società, negli intermediari, come nelle Autorità, è data dalla competenza ed esperienza professionale che è imprescindibile per svolgere attività di regolamentazione e supervisione. Sono quindi positive le modifiche introdotte dall’art. 18 del DdL riguardanti la riduzione a un anno (anche se in molti paesi sono sei mesi) del periodo di incompatibilità, sottolineando le problematiche presentate dagli attuali regimi di cooling-off per i Commissari e i dirigenti della CONSOB, fissati a due anni e senza compenso durante questi periodi. Seppur inizialmente elaborate al fine di garantire l’indipendenza della CONSOB e dei suoi Commissari e dipendenti apicali, tali previsioni hanno creato una complessità ingiustificata che ha ostacolato lo scambio virtuoso di competenze tra il settore pubblico e privato limitando le possibilità di accesso al mercato da parte dei dipendenti della CONSOB e viceversa. In particolare, la disciplina del cooling-off, che scoraggia o impedisce la provenienza dal mercato finanziario, sembra porsi in antitesi con quella voluta dal legislatore della legge 216/1974 che richiede che Presidente e Commissari CONSOB siano scelti non tra generici esperti ma proprio tra persone “di specifica e comprovata competenza ed esperienza“.
Positiva è anche la riduzione del cooling-in a un anno, così come la precisazione che non si applichi nei casi di carica o attività occasionale o non esecutiva o di controllo, mentre non sembra giustificata la sua estensione ai componenti dell’organo collegiale di vertice di un’Autorità amministrativa indipendente, non ricompresi nell’attuale formulazione».
C’è qualche altro importante messaggio che ha diretto ai senatori della commissione Finanze sul testo?
«La norma sullo svolgimento delle assemblee delle società per azioni quotate “in absentia” (art. 12 del DdL) si prefigge di consentire che le assemblee possano svolgersi esclusivamente mediante delega al rappresentante designato con un meccanismo opt-in. È una prassi ormai consolidata delle imprese italiane, seppur non comune all’estero, di condurre assemblee a porte chiuse mediante rappresentante designato, con la formazione del consenso prima che l’assemblea abbia sede. I nuovi Principi G20/OCSE non raccomandano esplicitamente assemblee a porte chiuse mediante rappresentante designato in via esclusiva, ma includono un nuovo Principio sulle assemblee in forma virtuale o ibrida. La raccomandazione, sullo sfondo dell’art. 12 del DdL, è che, a prescindere dal metodo con cui le società decidano di svolgere le proprie assemblee, queste debbano essere condotte in modo da garantire la parità di accesso alle informazioni e l’opportunità di partecipare a tutti gli azionisti.
In realtà però ho voluto ricordare che lo sviluppo di un mercato dei capitali non si costruisce solo con le riforme regolamentari: i capitali cercano opportunità di crescita e si muovono globalmente».
È quindi la crescita debole l’handicap non solo italiano ma anche europeo?
«Dal 2008 l’economia italiana non è cresciuta e quella europea è cresciuta di circa l’1% all’anno, mentre l’economia USA è cresciuta di circa il doppio. Se si guardano le venti più grandi società tecnologiche, solo due sono quotate in Europa, 15 in USA e tre in Asia. La crescita è la vera benzina dei mercati finanziari».
Eppure, tutte le riforme avviate dall’Europa – dalla transizione verde a quella digitale – prevedono un ruolo degli investimenti privati. Li dobbiamo considerare a rischio?
«È proprio per questo che l’OCSE continua a sottolineare l’importanza di promuovere lo sviluppo dei mercati, anche mediante misure che riducano i disincentivi a emettere capitale rispetto al debito da parte delle imprese. È auspicabile poter fare leva su mercati dinamici anche per lo sviluppo di nuove tecnologie e per finanziare la decarbonizzazione. Per far questo è fondamentale che vi siano un apparato regolamentare e istituzionale al passo con i tempi, in grado di rispondere alle sfide odierne che ci richiedono di far fronte alla transizione verde e digitale in un contesto internazionale».
Nel mondo dei capitali non c’è spazio per un approccio “sovranista”, dunque. Dobbiamo puntare ad attirare l’interesse di mercati finanziari sempre più globali…
«Per lo sviluppo di un Paese rileva sempre meno dove una società si finanzi, quanto piuttosto se reimpieghi i capitali raccolti per creare occupazione e crescita nel proprio Paese di origine. Questo è ancora più rilevante con la presenza di sistemi di borse federali, all’interno della Capital Markets Union. Certamente, soprattutto per le PMI, la prossimità resterà centrale, in particolare per le fonti di finanziamento. È importante quindi che l’Italia, sulla scia delle raccomandazioni del Rapporto OCSE e della riflessione che si è instaurata in seguito, riesca a delineare una strategia per il futuro e la competitività dei suoi mercati dei capitali, anche per attrarre imprese e investitori di altri Paesi, tenendo conto delle regole e degli standard internazionali. Un utile riferimento sono i documenti OCSE quali i Principi di Corporate Governance del G20/OCSE, la Raccomandazione dell’OCSE sull’alfabetizzazione finanziaria del 2020, le Linee Guida OCSE per le Imprese Multinazionali e i Principi OCSE/G20 sulla tutela dei consumatori di prodotti finanziari. Questo rileva non solo per quanto riguarda il quadro legislativo e regolamentare, ma anche e soprattutto per affrontare, in modo strutturale e senza approcci ideologici, temi quali la vigilanza, i ruoli delle Autorità, le loro diverse competenze, i costi, diretti e indiretti, le procedure di nomina (valutando anche il principio della taxation with representation), l’architettura istituzionale nonché la stessa ubicazione geografica delle Autorità, seppur in un mondo sempre più digitale».
In questo quadro che ruolo va attribuito ai risparmiatori come investitori?
«Non c’è alcun mercato dei capitali, e più in generale finanziario, senza un’adeguata e proporzionale tutela degli investitori che consenta loro di avere fiducia e di investire consapevolmente, direttamente e indirettamente, in strumenti finanziari adeguatamente compresi e differenziati. Non c’è, però, tutela degli investitori senza gli strumenti finanziari in cui investire, senza quindi un mercato dei capitali efficiente e funzionante che consenta alle imprese di raccogliere capitale proprio e di debito, complementare a quello bancario, per svilupparsi, e mantenere o creare occupazione e crescita economica. Pertanto, queste due finalità vanno coordinate e tenute sempre entrambe a mente nel delineare progetti di riforma che mirino a stimolare la crescita delle imprese e dell’economia».