Giuliano Lemme, avvocato cassazionista, è professore ordinario di Diritto dell’Economia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, ove insegna Diritto Bancario e Diritto dell’Economia dei Mercati.
È socio fondatore di ADDE – Associazione Docenti di Diritto dell’Economia, socio dell’Association Internationale des Juristes de la Vigne et du Vin, socio dell’Associazione Italo-Giapponese di Diritto Comparato.
È docente di Diritto dell’Impresa al Corso Superiore di Polizia Tributaria presso la Guardia di Finanza. È autore di quattro monografie e di numerosi articoli e saggi
Nel nostro ordinamento il Codice del Consumo del 2005 tutela il consumatore prevedendo una serie di informazioni, che siano chiare e comprensibili, al fine di renderlo consapevole durante il processo di acquisto e di consumo. Spesso però il legislatore ha prescritto, sia nelle norme del codice sia nella normazione, primaria e secondaria, che le ha attuate, un eccesso informativo poco efficace. In questo quadro, il caso dei prodotti vitivinicoli costituisce una incomprensibile eccezione poiché, rispetto ai prodotti alimentari, per i quali sono previste ampie e rigorose indicazioni obbligatorie da apporre sulle confezioni, per i vini non è in alcun modo necessario che vengano specificati gli ingredienti, né le informazioni nutrizionali, né, soprattutto, la presenza di additivi. Qual è la logica sottesa a questa impostazione normativa?