Andrea Tucci è professore ordinario di diritto dell’economia presso l’Università degli Studi di Foggia, Dipartimento di Giurisprudenza, ove insegna diritto del mercato finanziario, diritto delle società quotate e diritto commerciale.
I principali interessi di ricerca riguardano la disciplina dei servizi di investimento e delle società quotate, la disciplina dei contratti bancari.
Membro del Comitato di Redazione delle riviste“Banca Borsa Titoli di Credito” e Rivista Trimestrale di Diritto dell’Economia, nonché della Redazione di Milano della “Rivista di Diritto Societario” e della Redazione di Bari e Puglia della rivista Rassegna di Diritto Pubblico Europeo. Socio fondatore dell’Associazione “ADDE” (“Associazione Docenti di Diritto dell’Economia”).
Membro dell’Academic Advisory Committee dell’IETL (Institute for European Traffic Law).
Membro effettivo del Collegio di Bari dell’Arbitro Bancario e Finanziario.
Avvocato abilitato al patrocinio dinanzi le magistrature superiori.
L’obiettivo di creare un mercato unico europeo ha ispirato la legislazione di settore già con l’emanazione delle direttive degli anni ’90 del secolo scorso, nel contesto della “armonizzazione essenziale” della disciplina vigente negli Stati membri, ed è ulteriormente perseguito e rafforzato nelle direttive MiFID I e MiFID II, mediante il ricorso alla “armonizzazione massima”. Nonostante questa apparente vocazione all’uniformità delle regole che governano il rapporto fra intermediari e clienti, che dovrebbe contribuire alla realizzazione di un “mercato unico”, nella duplice prospettiva della prevedibilità delle regole da osservare, per gli intermediari, e dell’effettiva e uniforme tutela, per gli investitori, si riscontrano “persistenti disarmonie”, soprattutto in sede di applicazione delle regole di matrice europea, ad opera delle autorità di vigilanza e, ancor più, della giurisprudenza Tale circostanza è, talora, percepita come un ostacolo, rispetto all’attività degli intermediari abilitati, in termini di incertezza del quadro normativo vigente nei diversi Stati membri, e finanche rispetto al concorrente – ma, certo, non secondario – obiettivo del Legislatore europeo, di assicurare una tutela adeguata degli investitori. Si ha, tuttavia, l’impressione che la riscontrata persistente disarmonia del sistema sia, se non proprio voluta, quanto meno, consapevolmente accettata dal legislatore comunitario, anche in ragione dei princìpi fondamentali del diritto dell’Unione Europea, fra i quali, in primis, il principio di sussidiarietà, che è alle origini della storica riluttanza a invadere il terreno del diritto delle obbligazioni. La disarmonia sopra richiamata è dovuta anche al ricorso alla tecnica legislativa incentrata sulla combinazione di rules e standards, che agevola interpretazioni e applicazioni diversificate, ad opera del formante giurisprudenziale, oltre che in sede di elaborazione teorica, da parte della dottrina. L’approccio alla regolamentazione di settore incentrato sull’interpretazione delle regole alla luce dei princìpi generali può accrescere la disarmonia nella disciplina effettivamente in vigore nei diversi stati membri, in contrasto con l’aspirazione all’uniformazione. Si tratta, peraltro, di un inconveniente in gran parte accettato, se non proprio voluto dal legislatore comunitario, forse nella consapevolezza dell’insopprimibile ruolo “creativo” dell’interprete municipale (il giudice, in primis), mediante l’uso – consapevole o inconscio – di archetipi e modelli ricostruttivi propri delle diverse tradizioni giuridiche.
Nonostante gli interventi del legislatore, resta accesa la querelle tra giurisprudenza e dottrina alla ricerca di una logica del diritto dei mercati finanziari. Ma l’esercizio potrebbe risultare inutile e dannoso. Proprio come sostiene Irti