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Vi spiego il nuovo corso dell'ACF

intervista a Gianpaolo Barbuzzi, presidente dell'Arbitro per le controversie finanziarie

Al settimo anno di vita, l'ACF dichiara esaurita la fase di emergenza nata con le grandi crisi bancarie. Anche se i ricorsi sono diminuiti - ma non mancano casi scandalosi - arrivano nuove sfide: la dematerializzazione del rapporto tra banca e risparmiatore, la Direttiva product governance, l'allineamento con la giustizia civile, i robo-advisor...

Paola Pilati

Dopo anni spesi ad affrontare migliaia di casi di risparmiatori coinvolti dalle grandi crisi bancarie, a fare giustizia degli abusi, delle prevaricazioni, delle truffe vere e proprie subiti dai clienti sui propri investimenti, la grande emergenza è finita. L’ACF, l’Arbitro per le controversie finanziarie, dichiara che il suo settimo anno di attività ha segnato l’approdo a una gestione ordinaria. «Per la prima volta», annuncia il presiedente dell’ACF Gianpaolo Barbuzzi, «nel 2023 i ricorsi che abbiamo ricevuto sono scesi sotto quota mille: sono stati 963 contro i 1116 del 2022. È il segno di un raffreddamento del contenzioso. Ma anche che la nostra “giurisprudenza”, cioè gli orientamenti che si sono definiti attraverso le nostre decisioni in sette anni di attività, è stata recepita nella prassi e ha sterilizzato a monte i motivi del conflitto».

Questo non vuol dire che l’Arbitro possa tirare i remi in barca e farsi condurre tranquillo dalla corrente. Il mondo degli investimenti sempre in evoluzione, sia in termini di prodotti che di modalità per realizzarli, i nuovi obblighi che derivano dalle direttive europee per abbinare correttamente il tipo di risparmiatore e i prodotti più adatti, l’educazione finanziaria spesso carente degli stessi risparmiatori, richiedono di tenere sempre la guardia alta. E magari anche di far evolvere lo stessa “mission” dell’Arbitro in nuove direzioni, come spiega Barbuzzi in questa intervista.

La riduzione dei ricorsi ci dice che è finita la grande ondata delle vittime delle crisi bancarie. Ma l’utilizzo dello strumento telematico per investire, la crescita del ruolo dei robo-advisor, non aumentano i rischi, non possono tendere nuove trappole a chi è meno attrezzato?

«Conta certamente, da un lato, il fatto che in un momento di incertezza come questo molti investitori si indirizzano verso strumenti meno a rischio, come i titoli del debito pubblico. Ma dall’altro è vero che l’operatività si sta spostando sul trading online, perché chi opera sui mercati finanziari e svolge attività speculativa privilegia lo strumento telematico. È finita l’epoca in cui il cliente si recava in filiale. Infatti il contezioso sull’operatività online sta crescendo. Mentre nel mondo cartaceo accadeva che chi riceveva il suggerimento su un investimento dialogava con una persona in carne e ossa e aveva a disposizione una documentazione cartacea, con il processo telematico il rapporto si è dematerializzato. Diventa fondamentale quindi che quel processo sia scandito in modo che il soggetto sia sempre consapevole di quello che fa. Per esempio, firmare in digitale può far percepire quella firma come “più leggera” di una firma su un pezzo di carta. Infatti spesso viene contestata da molti ricorrenti, soprattutto meno giovani, che sono indotti dalla banca a firmare su tablet con firma grafometrica, ma non visualizzano il testo. In casi come questo, anche quando non accogliamo il ricorso, raccomandiamo sempre agli intermediari di fare attenzione affinché questi processi coinvolgano la consapevolezza del risparmiatore, che deve sapere quello che sta facendo».

Quali altre insidie possono nascondere le nuove tecnologie adottate dalle banche nel rapporto con i clienti?

«Un altro elemento molto critico è quello lamentato dal ricorrente che dice di non aver potuto visualizzare la scheda prodotto, e che quindi non sapeva quali rischi erano connessi a quello strumento finanziario. In più decisioni abbiano detto agli intermediari di ripensare il processo di investimento online attraverso una serie di schermate che avessero una consequenzialità in modo tale che, al momento di visualizzare la scheda prodotto, la progressione si blocchi fino a che il soggetto non dichiari di aver preso visione della scheda. Se poi non la legge, ma dice di averlo fatto, peggio per lui».

Spesso sono i risparmiatori stessi a mettersi nei guai …

«Certamente questo è un tema cruciale. Firmare un questionario di profilatura e poi dire: non avevo una laurea in giurisprudenza come dichiarato, ma diploma di liceo classico, beh, non è un buon modo per tutelare i propri interessi. Però se l’intermediario stampasse il questionario, basterebbe scorrerlo per accorgersi che il titolo di studio non è quello vero. Bisogna avere una maggiore consapevolezza dei nostri diritti e doveri: servirebbe una Carta del diritti-doveri del risparmiatore, perché per tutelare se stessi a volte esercitare dei doveri tutela di più che cercare di difendere dei diritti ex post».

Chi può fare questa Carta meglio dell’ACF?

«In questi sette anni siamo stati travolti dal flusso dei ricorsi delle crisi bancarie. Entro giugno avremo riallineato i tempi di istruttoria e decisione con i 180 giorni previsti. D’ora in poi, inizieremo a lavorare per diffondere i nostri orientamenti, attraverso le associazioni degli intermediari e dei risparmiatori, al personale che gestisce i front office. Il 70 per cento di chi ricorre si rivolge ad un avvocato perché non sa gestire da solo il ricorso, c’è una mancanza di educazione finanziaria di base e le stesse associazioni non sempre hanno sul territorio delle professionalità adeguate. Lo stesso vale per i front office degli intermediari, affinché trasferiscano all’investitore le informazioni per farne un investitore consapevole».

Ampio programma…

«Per quanto sia complessa la materia finanziaria, non è vero che non ci sono le parole per spiegarla. Non voglio fare il Piero Angela dei mercati finanziari, ma c’è un linguaggio per operatività, anche online, che può essere migliorato. Come pure si possono trasferire all’investitore delle pillole di saggezza operativa: non firmate con leggerezza, leggete il questionario di profilatura, se volete fare un investimento solo conservativo, fate attenzione, perché un investimento definito “protetto” non vuol dire che, per male che ti vada, ti riprendi i tuoi soldi, ma che tendenzialmente è conservativo, cioè che tende a ridurre i rischi ma non azzerarli».

Si va sempre a incrociare il tema dell’educazione finanziaria.

«L’ACF sarebbe in grado di farla, visto che, avendo chiuso oltre 10 mila ricorsi, ha una giurisprudenza corposa basata su casi di vita di vita reale. È quindi capace di dare indicazioni su quello che va bene e quello che va male. Infatti abbiamo già avviato un confronto con le associazioni degli intermediari e dei risparmiatori. Sulla base degli input che riceveremo, per esempio dalle associazioni dei risparmiatori, manderemo i nostri operatori della segreteria tecnica a dimostrare sul territorio quello che facciamo e a risolvere i dubbi. Ogni volta che ho incontrato i risparmiatori, ho visto che hanno molta voglia di imparare. Ma c’è un dato significativo: il 70% di chi si è rivolto a noi nel ’23 ha più di 65 anni. Occorre un tipo di educazione finanziaria che tenga conto che non stiamo parlando ai giovani, che il più delle volte sono persone che non hanno un livello di scolarizzazione elevato, che si affidano al proprio intermediario e che, se subiscono perdite, pensano che è lui che ha operato male. In questi casi gli esempi sono meglio di tante lezioni teoriche».  

Insomma inizia una nuova fase per l’ACF, da arbitro che si muoveva solo su ricorso, a soggetto attivo.

«Siamo convinti che il numero dei ricorsi non esaurisce i casi di criticità nei rapporti: molti clienti non sono in grado di cogliere se un certo comportamento è corretto o no. Quindi è importante un po’ di educazione finanziaria. Ed è un’opportunità anche per gli intermediari, per migliorare il servizio reso. Il nostro obiettivo non è quello di aumentare il numero dei ricorsi, ma di avere meno conflitti. Anzi, di far sì che il conflitto non nasca proprio. Noi siamo un organo imparziale, vogliamo essere un’opportunità per entrambi».

Anche se sono i risparmiatori i vostri utenti?

«Anche se solo i risparmiatori possono ricorrere a noi, non vuol dire che siamo dalla loro parte. L’anno scorso il 95,5 per cento delle condanne emesse hanno trovato volontaria esecuzione da parte degli intermediari. Quanto ai ricorsi, ne abbiamo accolto il 56%: non è più il tempo di casi come la Popolare di Vicenza, in cui accoglievamo il 90% dei casi».  

L’esaurirsi della fase di emergenza rende il vostro lavoro un po’ più noioso?

«La varietà di situazioni che si verificano tiene viva la curiosità e l’interesse. Un tema che abbiamo recentemente esaminato è l’applicazione della nuova normativa sulla Direttiva sulla product governance. Oggi, se voglio fare un investimento, l’intermediario mi deve proporre solo quello target market positive, cioè di quella categoria di investimenti del mercato che fa per me: i prodotti sono classificati per tipologie e devono combaciare con il mio profilo come investitore. Ma ci sono casi in cui gli intermediari possono discostarsi dal target market, purché il margine di elasticità sia tollerabile con il profilo del cliente. È importante vedere come viene applicata questa elasticità. È una novità. E poi il futuro è fatto di cripto asset e cripto valute, investimenti ad alto rischio che non sappiamo esattamente cosa siano».

Ci sono degli aspetti su cui sente di dover lanciare un allarme?

«C’è un nodo critico vero: quello dell’informativa pre-contrattuale. Prima che uno si determini a fare un investimento, occorre mettere a disposizione un set informativo adeguato. Nel 90% dei ricorsi che riceviamo, il reclamo è di non essere stati messi in condizione di acquisire piena contezza dei rischi dell’investimento. È la fase prima della firma dell’ordine di investimento. Sarebbe bene, quindi, che anche questi contatti preliminari, in cui il consulente dell’intermediario descrive l’investimento, siano tracciati, per esempio facendo una mini-relazione di consulenza: anche con una email, un whatsapp, ma è importante che ci sia traccia».

C’è altro nei vostri programmi?

«Intendiamo favorire momenti di contatto e confronto sul merito della nostra giurisprudenza con la giustizia civile. Ci sono temi in cui noi e la Corte di Cassazione o alcuni giudici di merito non siamo perfettamente allineati dal punto di vista applicativo delle norme. Poiché il PNRR considera la riforma della giustizia civile importante per rendere più competitivo il sistema paese, uno dei sistemi è dare certezza agli operatori, anche quelli stranieri, sul modo in cui vengono applicate le norme sui servizi di investimento. Lo dico anche nell’ottica della famosa giustizia predittiva: siamo in un momento di passaggio, in cui è probabile che un domani ci siano sistemi di intelligenza artificiale che, sulla base dei pronunciamenti precedenti, possano dare risposte ai risparmiatori: sulla base di quanto deciso in passato, posso ottenere un rimborso?».

Dica la verità: pur nella fine dell’emergenza, nella galleria dei rapporti malati tra banche e risparmiatori c’è sempre qualche nuovo caso…

«Sì, un caso recente: quello di un ultraottantenne a cui è stato attribuito il profilo di un investitore evoluto con alta propensione al rischio e investimenti a lungo termine, oltre i sei anni. Era un cliente con disponibilità economiche importanti, oltre un milione di euro investiti».