Osservatorio Banche
Vantaggi e svantaggi del nuovo scenario sui conti delle banche

È in atto un cambio di scenario rapido e intenso, con tempi e spazi di adeguamento molto limitati. Ne deriveranno conseguenze visibili sui conti delle banche, impatto difficile da valutare perché contenuto da alcune circostanze di segno favorevole. Crescerà la differenziazione di risultati tra banca e banca.

Silvano Carletti
Carletti

Se non vi avessimo assistito direttamente faremmo fatica a credere ad un cambio di scenario così rapido e intenso. In un breve arco di tempo si è passati dall’ipotesi di una crescita  soddisfacente a un forte rischio di recessione: la previsione di crescita per l’Italia nel 2023 è stata corretta (cfr. NADEF) dal +3,1% in aprile ad un modesto +0,6% in settembre, con autorevoli istituzioni che già ipotizzano una stagnazione o addirittura una contrazione (+0,3% Banca d’Italia, -0,2% il FMI). E l’esperienza italiana è simile a quella di ogni paese d’Europa. 

Non meno gravi le indicazioni dal lato dell’inflazione: secondo la stima preliminare, a settembre 2022 i prezzi al consumo sarebbero cresciuti in Italia dell’8,9% su base annua, valore mai più sperimentato dagli anni ‘80, con un dato medio per l’Unione Europea anche più alto.  

La politica monetaria (già da alcuni mesi in fase di revisione) accentua l’entità della svolta: dopo un orientamento a lungo (generosamente) accomodante è ora avviata lungo un percorso di segno decisamente diverso. Con due soli interventi tra luglio e settembre la Bce ha aumentato di 1,25% il tasso di rifinanziamento marginale che da marzo 2016 era fermo ad appena 0,25%. Revisione analoga per gli altri tassi di riferimento, in parallelo con una modifica dello stesso segno della politica di intervento nel mercato dei titoli.

In ogni campo di attività economica (bancario compreso) si sono dovuti fare i conti con questo cambio di scenario avendo a disposizione tempi e spazi di manovra molto limitati. 

Rispetto al dato di inizio anno, l’indice azionario del comparto bancario italiano ha registrato a fine settembre una flessione del 22%, contrazione inferiore a quella dell’indice generale (-25%) ma più ampia di quanto rilevato per l’insieme delle banche dell’area euro (-18,5%). Al netto del significativo allontanamento degli investitori dal mercato azionario, questi dati sembrano indicare che le banche italiane questa volta non sono individuate come settore in condizione di particolare criticità. 

È scontato che il raffreddamento della congiuntura produca un impatto sull’andamento dei prestiti: diminuzione dell’attività economica, rinvio di progetti di investimento delle imprese e di spese per consumo delle famiglie. Sull’andamento dei volumi di finanziamento peserà anche l’orientamento di famiglie e imprese a proposito dell’ampia liquidità accumulata (a luglio le famiglie consumatrici detenevano depositi per 1.178 mld, le imprese per 436 mld). Se l’affermarsi di un clima di incertezza spinge verso il mantenimento di ampie riserve, il risveglio dei tassi d’interesse e possibilmente un atteggiamento restrittivo delle banche in fase di selezione delle domande di prestito, spingono verso un loro parziale utilizzo.   

Il riorientamento della politica monetaria rappresenta una positiva notizia per l’andamento del margine ricavato dall’intermediazione creditizia. Le decisioni delle autorità monetarie hanno riflessi sia sul costo del funding, sia sui tassi applicati sui finanziamenti, lasciando spazio per una riapertura dei margini bancari. Considerando il valore del primo giorno del mese, il tasso Euribor 3mesi è passato dal –0,534% di marzo, al -0,335% di giugno, al + 1,185% di ottobre.

Quanto ampio possa essere quest’aumento del margine creditizio è difficile da stabilire (le informazioni disponibili sono decisamente poche) e la conclusione potrebbe variare fortemente da banca a banca. Secondo alcune valutazioni (Moody’s, Barclays) molti istituti italiani (unitamente ad alcuni spagnoli) dovrebbero essere in Europa tra quelli che beneficeranno maggiormente della nuova situazione perché con una quota più alta di operazioni a tasso variabile. 

Un miglioramento del margine d’interesse, in effetti, si comincia ad intravedere nei bilanci. I conti relativi al secondo trimestre 2022 di UniCredit, Intesa e Bpm segnalano una crescita di questa voce, rispettivamente, dell’8,0%, 6,9% e 3,1% rispetto al trimestre precedente e del 13%, 4,5% e 1% rispetto al corrispondente periodo del 2021.

Gli oneri e gli incentivi adottati nel recente passato dalle istituzioni monetarie al fine di rilanciare l’attività economica sono stati molti, un campionario ora in fase di ampia revisione. Le riserve in eccesso depositate dalle banche presso la Bce, soggette a rendimento negativo dal giugno 2014, sono tornate (dal 14 settembre) a produrre interessi positivi. D’altra parte però la Bce non ha prolungato oltre giugno 2022 la riduzione di 50 punti base del tasso richiesto per i finanziamenti TLTRO-III, finanziamenti perfezionati al tasso medio sulle operazioni di rifinanziamento principale vigente nel periodo di durata del finanziamento.

Secondo stime della Banca d’Italia riferite nel 2021 (quindi prima del nuovo corso della politica monetaria europea), rispetto a fonti alternative di finanziamento l’utilizzo delle operazioni TLTRO-III avrebbe determinato, al netto dei costi relativi alla liquidità in eccesso depositata presso l’Eurosistema, un risparmio pari a circa l’8% del margine di interesse. Il vertice della Bce (Christine Lagarde, Andrea Enria) ha recentemente accennato alla possibilità di rivedere, in senso restrittivo, le condizioni che regolano i rapporti con le banche dell’Eurosistema.  

Un capitolo decisamente importante è, ovviamente, quello dell’andamento del rischio di credito. Peggioramento congiunturale e superamento dell’orientamento accomodante della politica monetaria rendono probabile una crescita della rischiosità del portafoglio prestiti alle imprese. Già ad aprile (Rapporto di stabilità) le simulazioni compiute dalla Banca d’Italia ipotizzavano (nello scenario più sfavorevole) una salita fino a quasi il 40% della quota di debito detenuto dalle imprese vulnerabili.

La vulnerabilità del quadro complessivo è segnalata dall’ulteriore crescita dei prestiti al settore privato non finanziario classificati nello stadio 2 previsto dal principio contabile IFRS 9 (a inizio anno al 14,6% sul totale dei prestiti in bonis e da allora la situazione non è certo migliorata). A inizio anno comunque il tasso di copertura dei crediti deteriorati verso le imprese era su livelli significativi (66% per quelli non assistiti da garanzia, 78% nel caso delle sofferenze). 

Intervenendo all’assemblea dell’ABI (luglio) il governatore Visco ha affermato che nel medio periodo l’ammontare delle rettifiche aggiuntive corrispondenti all’aumento dei crediti deteriorati dovrebbe essere più che compensato dall’effetto positivo del rialzo dei tassi sul margine di interesse. In quest’affermazione è da evidenziare sia il riferimento temporale sia il fatto che si tratta di una valutazione media di sistema.

La revisione verso l’alto della struttura dei tassi ha anche altre ricadute non favorevoli. Ad esempio,  produce riflessi negativi sul portafoglio dei titoli pubblici, posta per l’insieme delle banche italiane decisamente importante: ad agosto superava i 400mld, il 10% dell’attivo totale (meno del 3% per le banche dell’area euro), per tre quarti costituito da BTP. Il 72% di questi titoli risulta valutato al costo ammortizzato, quindi al riparo da conseguenze nel caso di oscillazioni dei rendimenti (con vincoli, tuttavia, per un’eventuale vendita sul mercato secondario). La parte restante è, invece, sfavorevolmente esposta al rialzo in atto dei rendimenti, una fattispecie  che riguarda tutte le banche italiane ma in particolare quelle maggiori.

Due ultimi fattori di segno opposto per completare questo ragionamento. Il primo è che il clima di incertezza alimentato dal cambiamento congiunturale sta determinando impatti sfavorevoli sui ricavi riconducibili all’attività di risparmio gestito. Un secondo fattore, questa volta di segno favorevole, è individuabile negli ulteriori progressi conseguiti nell’alleggerimento della struttura produttiva: nel 2021 il numero dei dipendenti e quello degli sportelli sono rispettivamente diminuiti del 2% e dell’8%.

In definitiva, quanto sta avvenendo lascerà un segno sui conti delle banche, forse già a partire da quelli relativi agli ultimi mesi dell’anno. Tuttavia, rispetto ad altre svolte congiunturali dello stesso segno, questa volta si rilevano novità che potranno ridurre in misura significativa l’impatto negativo sul risultato finale, nell’ambito di una più accentuata differenziazione di risultati tra banca e banca.

Condividi questo articolo