Osservatorio Banche
UniCredit – Commerzbank: una sfida impegnativa

La possibile acquisizione di Commerzbank da parte di UniCredit è una mossa impegnativa. Anche perché si prospetta non facile il rilancio del gruppo bancario tedesco

Silvano Carletti
Carletti

 Come era prevedibile, l’ipotesi di acquisizione di Commerzbank da parte di UniCredit ha suscitato un ampio dibattito, con contributi a volte sostanzialmente inutili, altre volte più intelligenti e profondi.

Dopo un lento, silenzioso processo di accumulazione di titoli, UniCredit è arrivata nel mese scorso a detenere una quota di circa il 9% del capitale del gruppo tedesco, per circa metà acquisito all’asta con la quale lo stato tedesco ha effettuato un parziale disimpegno da Commerzbank. UniCredit ha successivamente acquisito strumenti finanziari corrispondenti ad un altro 11,5% del capitale, divenendo così potenzialmente titolare di circa il 21%. Dopo l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni da parte delle autorità europee (pressoché scontate ma con tempi relativamente lunghi) il gruppo italiano si troverà ad essere il primo azionista (davanti allo stato ora titolare del 12%) e dovrà decidere se e come salire ulteriormente.

Tra i contributi poco utili cui prima si accennava ci sono quelli basati su elementari esercizi di aritmetica che evidenziano soprattutto il salto dimensionale. Per capitalizzazione, totale attivo, etc il gruppo post-operazione occuperebbe uno dei primissimi posti nella graduatoria europea e in Germania UniCredit diventerebbe un gruppo leader. Tuttavia, l’accresciuta dimensione, pur avendo una sua importanza, non è obiettivo strategico sufficiente per giustificare una iniziativa di questo tipo.

Più utili le analisi che monitorano l’orientamento dei vertici politico-istituzionali. Comprensibilmente cauto il posizionamento di quelli di parte italiana, con il capo del governo che si limita ad affermare che “il tema non riguarda l’esecutivo”. Un po’ inatteso l’intervento del presidente Mattarella che, anche riprendendo indicazioni del recente rapporto Draghi, sottolinea l’opportunità di costruire prospettive di respiro continentale favorendo quindi la nascita di campioni europei, in campo bancario (ma non solo).

Non inaspettatamente, negative sono risultate le reazioni politiche tedesche a cominciare dal capo del governo Olaf Scholz. La Germania si sta avvicinando ad un’importante scadenza elettorale (elezioni politiche nel settembre 2025) in una condizione di seria debolezza economica e di grave incertezza politica. Molti temono che il trasferimento ad un soggetto straniero del controllo di uno dei principali gruppi bancari nazionali possa fornire argomenti non trascurabili allo schieramento sovranista. A chi in Italia ritiene un po’ miope il dibattito in corso in Germania è opportuno ricordare che nel nostro Paese nel recente passato ipotesi di aggregazione domestiche sono state rallentate o addirittura cancellate per la difficoltà di posizionare la sede centrale del gruppo allargato (Intesa/San Paolo, Mps, etc).

Anche la Bce è chiamata ad esprimersi, fissando le condizioni per concedere la sua approvazione (tra gli altri, i requisiti di secondo pilastro e il trattamento del cosiddetto badwill). Molti suoi esponenti da tempo ribadiscono la necessità di favorire le operazioni cross border perché se è sempre più evidente che i sistemi nazionali stanno raggiungendo elevati livelli di concentrazione, quello continentale continua a risultare overbanked e quindi bisognoso di semplificazione. E’ inoltre sempre più evidente che mentre l’architettura normativa e le autorità preposte hanno un raggio d’azione tendenzialmente continentale, gran parte della platea degli operatori considera come suo riferimento il contesto nazionale. Poco rilevante dovrebbe risultare la nazionalità tedesca del capo della vigilanza europea (Claudia Buch, succeduta a Andrea Enria): sotto questo profilo gli oltre 20 anni di attività dell’autorità bancaria europea giustificano un ragionevole ottimismo. 

In questa fase storica l’iniziativa di UniCredit è di particolare interesse per la sua natura cross border. Sembra, però, anche confermare l’avvio di un riassetto del mercato bancario continentale. I brillanti risultati economici conseguiti negli ultimi anni, il conseguente significativo accumulo di risorse finanziarie, la decisa risalita dei titoli bancari, il raggiungimento in alcuni casi di limiti all’espansione nei mercati domestici, sono tra i fattori che spingono i principali gruppi bancari europei a considerare seriamente l’opportunità di significative acquisizioni. A supporto di questa lettura si possono citare l’acquisizione di Axa Investment Managers da parte di Bnp Paribas (5,1mld, interamente cash) e la proposta di integrazione del Banco Sabadell nel Bbva (12mld, carta contro carta).

Commerzbank non è ancora uscita dalla lunga fase di convalescenza in cui è immersa da anni. In breve, nel pieno dell’acquisizione di Dresdner Bank, allora la terza grossbanken tedesca, nel 2008-09 il gruppo tedesco fu investito dalla crisi finanziaria globale. Solo un massiccio intervento pubblico evitò che ne fosse travolto.

Come per molte altre operazioni simili, le autorità europee diedero il via libera a fronte di due condizioni: disimpegno pubblico appena possibile e forte ridimensionamento delle attività. La prima condizione è stata disattesa: fino all’asta del mese scorso, lo stato tedesco deteneva il 16,5% del capitale, quota quasi identica a quella rilevata nel maggio 2013.

La seconda condizione (forte ridimensionamento) è stata invece largamente rispettata. Alla fine del 2009 il gruppo tedesco aveva un totale attivo di circa 850mld, aggregato dal 2016 sceso sotto i 500 mld e oggi (giugno 2024) attestato a 560mld. Un intenso processo di ridimensionamento può solo realizzarsi vendendo i (pochi) gioielli disponibili, chiudendo le attività in perdita (processo lungo e faticoso) ma anche rinunciando a eventuali opportunità di rilancio.

Valutato attraverso il conto economico, Commerzbank si presenta oggi come un operatore complessivamente poco brillante. Nella fase post-pandemia ha in media conseguito un utile netto annuale pari a circa 1,5 mld (quest’anno potrebbe superare i 2mld), risultato decisamente scarso alla cui base sono più cause con due particolarmente evidenti. La prima è una struttura di costi  pesante e rigida: in una recente presentazione, Commerzbank stima pari a circa 60 il suo cost/income ratio nel 2024 (anno non certo sfavorevole per i ricavi) con la prospettiva di limarlo a 54 nel 2027. Per confronto, a giugno 2024 UniCredit era a 36, Intesa a 38 e il meno efficiente dei 5 maggiori gruppi italiani a 51. Alla fine dello scorso giugno i dipendenti di Commerzbank erano 38.700 dei quali 25.300 in Germania, circostanza che spiega molto l’opposizione all’operazione di gran parte del vertice tedesco.

A deprimere il risultato finale contribuiscono poi anche le continue perdite (oltre 1,6mld nei tre semestri da inizio 2023) prodotte dalla controllata polacca (mBank) titolare di un ampio portafoglio mutui in valuta estera (prevalentemente franchi svizzeri). Apertasi nel 2017, questa falla richiederà ancora tempo per essere chiusa.

Quanto appena detto rende comprensibile la perdurante mancanza di pretendenti per Commerzbank. Unica eccezione un informale progetto di Deutsche Bank nel 2019, progetto impraticabile e quindi rapidamente abbandonato.

Ben diversa la condizione attuale di UniCredit che ha conseguito oltre 14mld di utili nel biennio 2022-23 ed altri 5mld nella prima metà del 2024. Potendo vantare un eccesso di capitale tra i più elevati in Europa, la quasi totalità dell’utile è stata distribuita in forma di dividendo e operazioni di buyback. Rispetto all’inizio del 2023 la quotazione del titolo è quasi triplicata e la capitalizzazione di Borsa è ora prossima a 64mld, oltre tre volte quella di Commerzbank. L’eventuale acquisizione del gruppo tedesco sembra quindi alla portata di UniCredit. E’ convinzione diffusa che presumibilmente l’operazione avverrebbe in modalità mista (cash + carta).

È noto che le operazioni cross-border propongono un esecution risk più elevato di quello già non trascurabile di una combinazione tra operatori domestici. Nel caso di UniCredit questo rischio (trovarsi di fronte a difficoltà inattese) potrebbe essere ridotto dall’esperienza acquisita con la quasi ventennale gestione di una realtà significativa come HypoVereinsbank (HVB, oggi ridenominata UniCredit Bank GmbH). HVB è la sesta istituzione finanziaria privata tedesca, con una presenza molto forte in Baviera. HVB, inoltre, ha il pieno controllo di Bank Austria (prima banca austriaca) e di Bank BPH (la terza banca polacca). Si ipotizza che Commerzbank possa  essere combinata con HVB

Per concludere, è quasi banale rilevare che l’iniziativa di UniCredit si prospetta impegnativa. Se gradualmente si cominciano a precisare le difficoltà di questa fase iniziale, assai più difficile è ipotizzare il percorso in quella successiva, quella del rilancio del gruppo bancario tedesco.

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