Il c.d. Decreto Banche del maggio scorso ha introdotto l’istituto del pegno mobiliare non possessorio, limitato ai beni inerenti all’esercizio dell’impresa. Lo stesso D.l. n. 59/2016 ha modificato anche la disciplina del patto marciano e operato altre innovazioni sul Codice di procedura civile e in materia di procedure concorsuali ed esecutive.
Il D.l. n. 59/2016 – Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione (GU n. 102 del 3 maggio 2016, vigente al 4 maggio 2016), convertito con modificazioni dalla L. n. 119/2016 (G.U. n. 153 del 2 luglio 2016), nel capo I dedicato alle misure a sostegno delle imprese e all’accelerazione del recupero dei crediti, ha disciplinato la figura di pegno mobiliare non possessorio. La disposizione che lo prevede importa ufficialmente una nuova forma di garanzia nell’ordinamento italiano.
La ratio della formulazione risiede nell’intento di coniugare le esigenze di finanziamento dell’impresa con la tutela dei creditori, in riferimento alla certezza e ai tempi di realizzazione del diritto. Così da un lato si incentiva il credito eterogeneo all’attività di impresa attraverso rapporti di finanziamento; dall’altro si intende snellire le modalità formali di ristori del credito stesso, consentendo la soddisfazione del valore del bene ad opera dello stesso creditore.
Tale figura non è nuova agli ordinamenti dei Paesi di common law: in Inghilterra la creazione della fattispecie è risalente e ad oggi si riscontra declinata in una serie di garanzie mobiliari non possessorie, costituibili dalle società su beni determinati e/o sul proprio patrimonio universalmente considerato. Anche nelle legislazioni europee di civil law gli strumenti di garanzia reale mobiliari sono stati da tempo sistematizzati e, a ben vedere, la scissione fra titolarità della garanzia e situazione possessoria non era inedita neppure nel nostro ordinamento ed è funzionale alla necessità di mantenere la destinazione dei beni (strumentali o materiali) ancorata allo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
Così la forma di garanzia del pegno mobiliare non possessorio si giustappone a quella di cui all’art. 46 TUB, che ha introdotto un privilegio sui beni mobili destinati all’esercizio dell’impresa, la cui opponibilità è subordinata alla trascrizione nel registro di cui all’art. 1524 c.c. dell’atto da cui esso risulta, il tutto in assenza dell’elemento dello spossessamento.
Da tale breve e di certo non esaustiva disamina emerge che, là dove il legislatore, italiano o straniero, si sia trovato a disciplinare una forma di garanzia pignoratizia che non contemplasse l’elemento dello spossessamento, egli vi abbia affiancato – in un’ottica di bilanciamento degli interessi coinvolti – regole inerenti alla formalità e alla pubblicità della garanzia.
Ai sensi del disposto normativo italiano gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti (concessi a loro o a terzi), presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione dell’importo massimo garantito, inerenti all’esercizio dell’impresa.
Di qui si evincono i connotati di cui il legislatore ha inteso dotare la nuova forma di garanzia: (i) specialità, rispetto alla figura generale del pegno; (ii) inerenza all’impresa, sia dei crediti garantiti sia dei beni mobili oggetto del pegno, anche futuri (con l’eccezione di quelli registrati, soggetti ad ipoteca); (iii) assenza di spossessamento, estrinsecazione dell’assoggettamento della res al creditore nella figura generale del pegno (come noto, infatti, nella forma ordinaria di pegno è la datio rei che sancisce la costituzione del peso e inibisce materialmente eventuali atti dispositivi del debitore sul bene).
Così i beni/crediti che possono costituire tale garanzia devono essere caratterizzati sotto un duplice punto di vista: da quello soggettivo, il proprietario (debitore) deve essere un imprenditore iscritto nel registro delle imprese; da quello oggettivo(genetico o funzionale) essi devono afferire all’esercizio dell’impresa in questione, restando al di fuori del campo di azione della norma i crediti personali dell’imprenditore e quelli generatisi nell’ambito di una diversa attività di impresa rispetto a quella considerata.
Nell’ambito di applicazione soggettiva ricadono l’imprenditore commerciale e quello agricolo, anche se costituiti nelle varie forme di esercizio collettivo dell’impresa, ma non le società irregolari e quelle tra professionisti. Più discussa fra i commentatori è la possibilità che tale garanzia possa essere concessa da società a società, se appartenenti al medesimo gruppo, soprattutto nell’ipotesi in cui le stesse svolgano attività fra loro correlate. D’altra parte il beneficiario della garanzia (creditore) potrà essere un intermediario, una società di investimento ovvero ancora un soggetto che non abbia acquistato la qualità imprenditore. (Ambrosini)
I beni/crediti oggetto del pegno possono derivare da beni immateriali, essere presenti o futuri, determinati o determinabili, in forza della generalizzazione operata dal secondo comma dell’articolo 1 D.l. n. 59/2016.
Segnatamente potranno senza dubbio costituire oggetto del pegno tutti i beni funzionali allo svolgimento tecnico dell’attività aziendale, quali impianti e macchinari; ma anche materie prime e prodotti in corso di lavorazione.
Il collegamento ai beni immateriali inserito dalla legge di conversione, postulando che il genus “beni mobili” includa la species “beni mobili immateriali”, sembra porsi in contrasto con l’esclusione dei beni mobili registrati dall’ambito di applicazione della fattispecie. Il punto è stato colto dagli interpreti (Ambrosini, Zanotelli), che hanno evidenziato come la rilevanza economica dei beni immateriali sia strettamente correlata proprio alla loro inclusione in pubblici registri, dalla cui iscrizione ne dipende presumibilmente il valore.
In riferimento alla costituzione di pegno mobiliare non possessorio di cosa futura, invece,si richiede, quale elemento della fattispecie, la presenza della formalità pubblicitaria dell’iscrizione nel registro dei beni possessori, con tutte le conseguenze che la legge riconduce alla data della prima iscrizione.
Ciò vale anche per pegno non possessorio costituito su beni determinabili mediante riferimento a una o più categorie merceologiche o a un valore complessivo. Per tale ipotesi, è appena il caso di ricordare che anche il pegno ordinario può essere concesso su cose generiche, e la garanzia viene in essere solo a seguito dell’individuazione.
In riferimento al nesso oggettivo intercorrente fra bene ed attività imprenditoriale, rileva la destinazione ovvero la derivazione dall’esercizio dell’impresa. In mancanza si prefigurerebbe l’invalidità del pegno per contrasto con norma imperativa. Dunque il nesso è necessario e deve presentare una duplice connotazione: formale da un lato (l’iscrizione nel registro di cui all’art. 2188 c.c.), sostanziale dall’altro (il concreto svolgimento di un’attività di impresa). (Ambrosini)
In mancanza di espressa previsione contrattuale, il debitore o il terzo concedente il pegno possono trasformare o alienare nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque disporre, del bene o dei beni oggetto del pegno mobiliare in analisi: in questa facoltà risalta massimamente la specialità che distingue il nostro dal pegno ordinario, in cui il debitore non può usare la cosa data in pegno, né trasferirne il godimento.
Sull’alienazione si è osservato (Ambrosini) che l’autorizzazione alla trasformazione e all’alienazione del bene parrebbe escludere la facoltà di concessione in locazione o in noleggio, attività che, però, consentirebbero all’imprenditore/debitore di trarre utilità dal bene, senza pregiudicare l’oggetto della garanzia. A favore della risposta affermativa sottesa alla questione, basti rammentare che, ai sensi del comma 7, lett. c), il creditore che escuta il pegno previa intimazione notificata, ha diritto, ove pattuito fra le parti e debitamente iscritto nel registro dei pegni non possessori, a concedere in locazione il bene oppegnorato, imputandone però i canoni a decurtazione (e fino alla concorrenza) del proprio credito.
Per quanto attiene alla trasformazione, invece, si evince come l’istituto sia congegnato per favorire i finanziamenti alle imprese prevedendo l’eventuale trasferimento del peso da una materia prima al prodotto finito e finanche al ricavato della vendita. Difatti, in tal guisa, il pegno trasmigrerebbe senza soluzione di continuità, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con il corrispettivo derivante dal passaggio (a titolo oneroso), e senza che a questo consegua una novazione della garanzia: sostanzialmente si consente la c.d. rotatività dei beni gravati, funzionale alla dinamicità fisiologica del contesto dell’attività di impresa su misura del quale è disegnato l’istituto, secondo un meccanismo invalso in materia di strumenti finanziari, combinando i disposti degli artt. 5, comma 3, D. Lgs. n. 170/2004, 34, comma 2, D. Lgs. n. 213/1998 e 87, comma 1, TUF, e recentemente avallato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 13508/2015). A tal proposito è stato autorevolmente rilevato (Lamanna) che il pegno non possessorio debba considerarsi ontologicamente rotativo, proprio perché non vi si configura un interesse al possesso del bene, che viene in rilievo non per la sua materialità, ma per il suo valore.
Infine, in sede di conversione, è stato apposto all’articolo 1 il comma 10-bis, quale norma di chiusura che estende l’applicazione delle disposizioni dettate per il pegno ordinario, in via residuale e per quanto compatibili, alla nuova figura del pegno mobiliare non possessorio.