Non rivoluzionare l'attuale sistema fiscale alla radice, ma razionalizzare per non mettere in pericolo il gettito per lo Stato. Riducendo il carico fiscale soprattutto per chi ne porta più il peso. Per questo la flat tax può essere utile. Ma dipende da come si fa. Ecco come l'ha disegnata Antonio Ortolani, in rappresentanza dei dottori commercialisti, nel suo intervento al convegno di "Economia Italiana" alla Sapienza il 29 marzo.
Una riforma del nostro sistema fiscale non può non tener conto del fatto che un sistema efficiente è per sua natura complesso e sempre strettamente correlato con l’economia del Paese Italia. Il sistema attuale non può infatti essere smembrato o sostituito nei suoi principi fondanti con interventi atecnici o estemporanei.
Per altro, è certamente possibile intervenire per eliminare le degenerazioni che un sistema maturo, ma che complessivamente porta circa 500 miliardi anno nelle casse dello Stato, può aver accumulato nel tempo. E contemporaneamente strutturare il prelievo anche con finalità di utilità sociale, nonché quale stimolo all’economia, e quale semplificazione di un sistema che favorisca anche una sussidiarietà sociale.
Dalle considerazioni svolte può derivare una proposta suddivisa nelle seguenti parti, aperta a nuovi contributi e strutturata in modo da poter tener conto anche delle implicazioni conseguenti e delle modifiche e alternative di volta in volta suggerite :
Di tali temi i più rilevanti sono certamente il primo, nonché il terzo e il quarto, da trattare insieme in quanto correlati e interdipendenti .
Per ciascuno di essi si esamineranno, partendo dalla situazione attuale, gli obiettivi delle proposte, l’idoneità a raggiungerli o le alternative, con piena disponibilità all’esame dei miglioramenti possibili.
La volontà di ridurre l’imposizione sul reddito generato dalle imprese intende rispondere sia alla concorrenza (sovente anche sleale) generata persino nell’ambito della Comunità da sistemi fiscali meno onerosi e sovente più efficienti, con conseguente mancanza di appeal per l’Italia, sia alla convinzione che una minor pressione fiscale si traduca, nel tempo, in maggior capacità di spesa con conseguenti effetti benefici sul Pil, almeno nel medio periodo.
Va per altro considerato che in un sistema globalizzato e con sempre minori vincoli al trasferimento di beni e servizi, la variante imposta è sempre più percepita per quello che in effetti è: una componente di costo, che necessariamente incide anche nella determinazione del prezzo di vendita del prodotto e quindi sulla possibilità o meno di reggere la concorrenza del mercato.
Da qui trae origine la generalizzata proposta di riduzione dell’aliquota Ires dall’attuale 24% ( già 27,5% ex 30% ed ex 33% ) al 15 %, per quanto solo in funzione dell’utilizzo che verrà fatto dell’utile / base imponibile Ires. Per questo non è difficile prevedere che, così come ad oggi presentata, essa comporterà un’ulteriore complicazione al sistema. E quindi ulteriore contenzioso anziché semplificazione.
Una tale manovra, ancor più nell’ipotesi di detassazione del reddito aggiuntivo, che è di non semplice definizione se si vogliono evitare comportamenti elusivi, non pare idonea a colpire nel segno: è piuttosto complessa, e quindi foriera di abusi ed elusione. Soprattutto non è direttamente correlata con gli obiettivi voluti, onerosa quanto alla perdita di gettito (meno 9 punti percentuali, pari ad una riduzione del 37% anno 2019 sul 2018 e del 45% anno 2019 sul 2017), non coordinata con i soggetti percettori finali ( i soci ) né con i terzi, trascurando altresì l’utilizzo di altri strumenti antielusivi.
Va evidenziato come l’assunto che una maggiore possibilità di spesa (ad esempio il reddito di cittadinanza ) sia idonea da sola a creare un aumento del Pil è tesi ancora tutta da dimostrare, in quanto a tal fine necessitano anche investimenti che generino redditi da lavoro continuativi e non una tantum, e valore aggiunto. Necessitano altresì una struttura pubblica efficiente e servizi sociali adeguati, condizioni che ancora paiono essere obiettivi da raggiungere anziché fatti consolidati, con la conseguenza che probabilmente tali deficienze assorbiranno parte degli effetti sperati.
La manovra trascura inoltre, e totalmente, altri aspetti macroeconomici di primaria importanza per l’economia italiana, quali la sottocapitalizzazione delle nostre imprese e la necessità di aumentare l’equity, sia con mezzi propri che attirando capitale di rischio di terzi.
Quanto alla leva fiscale, si può osservare che parte delle criticità sopra indicate possono essere ridotte rivedendo il sistema proposto di agevolazioni e ricercando un approccio più semplice, che divida la tassazione del reddito conseguito dai soggetti Ires in due momenti:
Quanto alla Flat Tax per le persone fisiche, la proposta ragionevole è quella di prevedere, come vedremo, tre aliquote più contenute e riformare le deduzioni/detrazioni, così da non incidere troppo pesantemente sul gettito.
L’operazione che verrà qui proposta per le società di capitali può sembrare senza perdita di gettito per l’erario (Ires/Irpef socio), ma ciò è vero solo apparentemente, perché in realtà vi è un rinvio nel tempo di buona parte della tassazione (alla distribuzione ) e soprattutto perché viene proposta la deducibilità dell’Irap dall’Ires, riducendo ulteriormente il peso di quest’ultima imposta e conservando all’Irap la natura di imposta a favore degli enti locali come è oggi, ma arricchendola della funzione di “ Minimum Tax ,, in chiave antielusiva.
Sulla base dei dati ad oggi noti l’ammontare complessivo Irap per l’anno 2017 ammontava infatti a 25 miliardi di euro, pari a circa il 5% dell’intero gettito da imposte.
Per garantire tale finalità si renderà altresì necessario individuare un metodo di calcolo che tenga conto sia dei comportamenti ( es: operazioni nei confronti dei soci controllanti, ovvero delle controllate ) che di talune componenti di costo e dei ricavi, onde quantificare in ipotesi di Ires negativa un imponibile Irap minimo adeguato alla realtà del caso. Questo è però un discorso tecnico da sviluppare in altra sede.
Quanto alla manovra governativa che va delineandosi con la Flat Tax per le imprese, pare si voglia raggiungere anche l’effetto di trattenere in azienda quanto più possibile del reddito prodotto, ma si ricerca tale obiettivo secondo una logica punitiva e non a “sistema,,. Occorre invece dividere quanto più possibile il momento – e la tassazione – della produzione della ricchezza dal momento del consumo, per incidere di più sul passaggio alla sfera privata agendo in tale fase anche con incentivi/disincentivi.
Per tale via vi è anche la possibilità di attirare maggiori capitali dall’estero e soprattutto di patrimonializzare le imprese, rendendo così le aziende più valide anche più competitive, in uno scenario che non è più solo nazionale.
Va altresì considerato che l’ipotesi governativa di Flat Tax non è a costo zero, ma anzi è ben più onerosa per le entrate dello Stato di quella qui suggerita, nonostante l’abolizione dell’Ace.
L’ipotesi così tratteggiata è la seguente :
Riportare (invero solo apparentemente) l’attuale aliquota Ires del 24,0% al 27,5%, ma comprensiva dell’Irap da dedursi dall’Ires, e quindi di fatto senza aumento, anzi con una leggera riduzione rispetto ad oggi, ma con le seguenti previsioni :
A1 ) Deducibilità per tutti dell’Irap dall’imposta Ires dovuta, quale “assorbimento” di una imposta che deve costituire una minimum tax per disincentivare le attività in perdita sistemica o con redditi molto modesti. Ciò significa che sempre e comunque si paga almeno l’Irap, che va agli enti locali.
A2 ) Se vi è imposta Ires dovuta, rinvio della tassazione per il residuo 12,5% al momento in cui il reddito verrà distribuito, ma con obbligo di versamento alla distribuzione anche del 15% originario qualora venissero distribuiti utili che non abbiano scontato tale imposta al momento della loro formazione, salvo i casi di esenzione (quindi alla produzione si versa solo il 15% tra Ires e Irap = Flat Tax)
A3 ) Riduzione conseguente dal 26% al 18% dell’imposta sostitutiva sugli utili distribuiti (ma che perdono la franchigia non imponibile), e ciò anche per compensare la maggior imposta pagata dalla società al momento della distribuzione.
Confronto:
I ° Ipotesi con Flat Tax al 15% nominale, ma di fatto al 20% ( aliquota effettiva minima, se si tiene conto dell’ Irap dovuta, della sua indeducibilità, e dei recuperi a tassazione)
Ipotesi reddito (imponibile) 100 Imposta Ires Irap 20
netto distribuibile: 80 al 26% (a regime); in capo al socio: 20,80
totale incasso per il socio 80-20,80 = 59,20
totale imposta incassata dallo Stato (20+20,80) = 40,80
totale = Stato 40,80 + Socio 59,20 =100,00
II° Ipotesi alternativa ( Irap deducibile ) con due momenti impositivi
Reddito imponibile 100 Ires + Irap = 15%
con prelievo immediato: 15,00
Dovuto alla distribuzione : il 12,5% già accantonato 12,5
netto distribuibile: 100 – 15 – 12,5 = 72,5
tassazione in capo al socio : 75,5 al 18% = 13,05
Totale incassato dal socio 72,5 – 13, 05 =59,45
Totale imposta incassata dallo Stato 27,50 + 13,05 =40,55
totale 100,00
Come si può notare, la differenza in termini di gettito è minima: 0,25 % che va a favore del socio percipiente, ma anche con altri rilevanti vantaggi, mentre la riduzione dell’Ires e la deducibilità Irap vale, teoricamente e a valori 2017, circa 28 miliardi.
Inoltre si potrebbe ottenere un ulteriore potenziamento qualora venisse riconosciuto un modesto bonus (es. 5%) al socio, da far valere anche su altre imposte dovute dallo stesso, nell’ipotesi in cui il reddito non distribuito venisse portato a capitale o vincolato per un lungo periodo (5-10 anni), con eventuale previsione antielusione sulla cessione delle partecipazioni.
In tal caso si avrebbero effetti moltiplicatori dei benefici già indicati sub. 3) ma a fronte di una perdita di gettito per lo Stato del 12,5% , e la tassazione del reddito prodotto dalla società sarebbe effettivamente solo del 15% (con un eventuale ritorno del 5% ai soci) con un costo annuo da stimarsi in 16 miliardi.
È così dimostrata la sostanziale invarianza complessiva di gettito a livello globale tra le due ipotesi, ma con un gettito inferiore a quello conseguito con le attuali aliquote, mentre il minor gettito annuo è da stimarsi in circa 12/15 miliardi nell’ipotesi alternativa illustrata.
In ogni caso, a livello di principio due sono le vie da privilegiare.
La prima: la riduzione dell’imposizione in capo alla società con la riduzione o al momento della produzione del reddito (primo prelievo, e si amplificano gli effetti positivi già visti), ovvero al momento della distribuzione, sempre in capo alla società. Anche in tal caso il beneficio per la società è duraturo e strutturale, per quanto successivo, mentre per il socio può essere incentivante solo se vi è distribuzione, in quanto aumenta il dividendo disponibile, ma in controtendenza con l’interesse della società.
La seconda: la riduzione dell’aliquota dell’imposta sostitutiva in capo al socio in ipotesi di distribuzione, con ciò rendendola anche più “logica”, dato che si tratta dell’ultimo passaggio di un processo di produzione del reddito che ha già visto precedenti prelievi.
La via più equilibrata pare essere quella di una azione più contenuta, ma che vada a premiare ambedue le ipotesi.
La tassazione del reddito da lavoro dipendente (pensioni, collaborazioni, etc ) si è arricchita nel tempo di ipotesi sempre più numerose di detrazioni dall’imposta in misura fissa (es. carichi di famiglia, quote esenti, etc ), o in misura percentuale rapportata all’imponibile ( es. spese mediche, previdenziali, assicurazioni, mutui, ristrutturazioni, beneficienza, etc. ), confondendo i due concetti e portando fuori controllo la manovra di tali benefits, il cui costo può essere noto solo a posteriori, anche se tali benefits paiono generalmente utilizzati al di sotto della loro potenzialità.
Ciò non di meno le stime per il 2017 indicano in poco meno di 50 miliardi il gettito non percepito e corrispondente al totale del mancato prelievo per detrazioni e deduzioni.
Il loro utilizzo può invero essere considerato più un mezzo di contenimento della tassazione, che non uno strumento di indirizzo premiale e di vantaggio sociale per i benefici che ne possono derivare.
Essi si contraddistinguono poi per la complessità di applicazione, plafond, tempi di utilizzo frazionato e sovente decennale, alto tasso di abuso e di contenzioso, tanto che da più parti si ipotizza una loro radicale revisione.
La rimodulazione molto aggressiva degli scaglioni Irpef prevista dalla Flat Tax consente il totale ripensamento di tale impostazione e una sua sostituzione più virtuosa con una no – tax area a fronte dei costi diretti forfetizzati e connessi alla produzione del reddito (esclusi quindi i redditi d’impresa, di partecipazione in società di persone e lavoro autonomo ), con la limitazione delle deduzioni dall’imposta per i soli carichi di famiglia e con la riduzione a poche ipotesi specifiche, tutte di rilevanza sociale o di beneficio per la collettività, delle detrazioni più significative dall’imponibile, e la forfetizzazione per tutte le altre, il tutto pur sempre entro determinati massimali .
Più in dettaglio :
Fino ad euro 10.000,00 di reddito imponibile: aliquota zero = no tax area
Da 10.001,00 a 30.000,00 di reddito imponibile: 15%
Da 30.001,00 a 100.000,00 di reddito imponibile: 20%
Oltre 100.000,00 euro di reddito imponibile: 25 %
Come già indicato, la no tax area trova giustificazione a fronte della indeducibilità dei costi propri connessi alla produzione del reddito da lavoro dipendente, anche indiretti, generalmente sostenuti e non rimborsati dal datore di lavoro, quantificati forfettariamente. Essa vale da 1.500 a 2.500 euro anno di spesa a seconda del reddito imponibile, e non si differenzia quindi di molto dalla situazione attuale.
Ne consegue che, come già anticipato , la no tax area non si deve applicare ai redditi da partecipazione in società di persone, per le ditte individuali e per il reddito da lavoro autonomo, in quanto i relativi costi sono deducibili nella determinazione a monte del reddito imponibile.
e quindi :
Pertanto l’eventuale beneficio non assorbito dal reddito del familiare a carico non potrà non superare, qualora privi di reddito, euro 500,00 ciascuno.
La logica è quella di premiare le famiglie, soprattutto le più numerose, ma a condizione che le persone a carico e conviventi costituiscano un effettivo aggravio/costo per il capofamiglia dichiarante.
Infatti, in tale nuova impostazione la tassazione risulta pari a zero qualora il familiare a carico disponga di un reddito inferiore a 10.000,00 euro ciascuno, dato che la deduzione (pari all’imposta al massimo di euro 2.500,00) copre in ogni caso fino al maggior imponibile.
La franchigia non opera più sopra i 10.000,00 euro di reddito individuale, ma opera in suo luogo lo split payement familiare corretto, e quindi con tassazione direttamente proporzionale/progressiva al crescere del reddito: tutto ciò è coerente con i principi costituzionali di tutela della famiglia e di progressività e capacità contributiva. La previsione ha anche una funzione antielusiva in quanto ammettendo una specie di split payment familiare corretto, neutralizza anche le false separazioni e convivenze.
Ciascuno viene così a godere di una no –tax area di 10.000,00 euro tramite l’azzeramento dell’imposta fino a concorrenza di tale imponibile, sia che sia giuridicamente (i minori) o anche solo fiscalmente a carico (redditi fino ad euro 10.000,00), ma senza l’elusione derivante dal trasferimento a terzi della sua no – tax area eccedente l’imponibile a lui imputabile.
La deduzione comunque riconosciuta di euro 500,00 per ciascun soggetto a carico può essere infatti considerata uno sgravio, a fronte di un minimo forfettario di costi non analiticamente deducibili sostenuti dal capofamiglia dichiarante nell’interesse del familiare a carico.
Ovviamente le deduzioni possono solo ridurre, fino anche a zero, l’imposta dovuta, ma non possono mai comportare un credito, se non a fronte – e nei limiti – di eventuali versamenti effettuati o ritenute subite, esclusi in ogni caso i versamenti/ritenute per imposte sostitutive.
2. Detrazione limitata dall’imponibile di taluni dei costi sostenuti, e quindi con vantaggio effettivo che varia dal 15% al 25%, ma per un numero limitato di tipologie di costo, quali :
Ed inoltre la deduzione dall’imposta, e non dall’imponibile, delle spese, ogni anno diverse e che ogni anno verranno stabilite per settori di attività ai fini della lotta all’evasione, nella misura del 30% della somma pagata (imponibile ) più il 50% dell’Iva pagata e con il massimo di euro 7.500,00 anno complessive per soggetto.
Ovvia la finalità della proposta: su un arco di due anni l’Amministrazione Finanziaria è in grado di ricostruire perfettamente i costi e i ricavi effettivi di quel settore, anche con ricadute sui fornitori, dato che chi deve fatturare è costretto ad acquistare con fattura. Ciò che viene così evidenziato su un periodo di due anni può essere un sicuro indice di riferimento sia per i due – tre anni precedenti (termine di accertamento per l’Ufficio) che per i successivi; inoltre, una volta costretto all’emersione, il settore può essere monitorato in modo certamente più efficiente.
La rotazione periodica dei settori consente poi la costruzione – fondata su dati concreti – di indicatori validi nel tempo con copertura sempre più ampia delle attività produttive finalizzate alla cessione di beni e prestazione di servizi a consumatori finali.
Non dobbiamo mai dimenticare che l’Iva è l’imposta che tutti noi dobbiamo pagare, ma che registra anche il maggior tasso di evasione.
Tale ipotesi ha in particolare la funzione di rendere più conveniente per il privato consumatore richiedere la fattura con Iva (di cui è – per legge – l’effettivo debitore), piuttosto che accettare la prestazione senza fattura (e quindi in nero) non pagando l’Iva. Il totale del recupero (50% dell’Iva pagata + 30% dell’imponibile) è infatti ad oggi pari al 41% del totale pagato, e quindi tale da rendere non conveniente la transazione senza fattura anche in caso di sconto considerevole, e il limite massimo di deduzione di euro 7.500,00, pari ad una spesa di 15.000,00 più Iva, è a garanzia dell’Erario.
Qualora poi tale provvedimento fosse accompagnato, per la sola durata temporale dell’agevolazione, anche dalla riduzione dell’Iva su quella tipologia di prestazione, potrebbe essere ulteriormente ridotta la percentuale di detrazione con un duplice effetto positivo:
Anche nel caso delle detrazioni vale il principio che esse possono solo ridurre, fino ad azzerare, l’imposta dovuta, ma non possono mai comportare un credito, se non a fronte e nei limiti di eventuali pagamenti effettuati o ritenute subite, escluse in ogni caso le imposte dovute quale tassazione sostitutiva.
L’ipotesi da Flat Tax Irpef che precede comporta secondo logica una minor riduzione di gettito rispetto alla proposta governativa: ciò non di meno sarebbe utile, onde rafforzarne la fondatezza, condurre anche una simulazione quantitativa sia rispetto alla situazione attuale che rispetto alla Flat Tax ufficiale, e ciò sia quanto alle aliquote che per le detrazioni e deduzioni, comparazione che ovviamente non ha potuto essere svolta in questa sede per mancanza dei dati di riferimento.
È in ogni caso opportuno ricordare che l’impatto di minor gettito Irpef per l’anno 2017 è stato stimato in euro 35,5 miliardi quanto alle deduzioni da imposta (quota esente, persone a carico, etc) e in euro 70 miliardi di minor imponibile quanto alle numerosissime detrazioni dall’imponibile, con un costo in termini di imposta superiore a 13 miliardi.
Il sistema tributario italiano ha affinato nel tempo strumenti sempre più efficienti per individuare, quantificare e sottoporre a tassazione le più svariate ipotesi di reddito: ne è prova la categoria dei redditi diversi.
Con le aliquote ad alta progressività e con il mancato riconoscimento dell’elemento temporale del periodo di ininterrotto possesso quale strumento di riduzione della base imponibile, il sistema si avvia verso sempre più probabili giudizi di incostituzionalità sul punto.
L’introduzione della Flat Tax, anche nella forma più temperata finora proposta, rappresenta l’occasione per una rilevante semplificazione sia della tassazione che di una diversa determinazione dell’imponibile, strada assolutamente necessaria.
Tutto ciò porta ad individuare nelle imposte sostitutive la soluzione più pratica e psicologicamente più gradita, capace di far emergere aree di evasione e di aumentare anziché ridurre il gettito, purché a fronte di una aliquota di imposizione “accettabile”.
Premesso che ovviamente i redditi tassati con imposta sostitutiva sono solo quelli imputabili a persone fisiche non conseguiti nell’esercizio di impresa o di lavoro autonomo, e che essi non vanno a formare la base imponibile, tali redditi devono comunque essere dichiarati onde consentire il loro controllo e la loro corretta determinazione.
Una tale impostazione ha anche le seguenti due conseguenze :
Qualora poi il pagamento delle imposte sostitutive avvenga in sede di dichiarazione annuale, tale effetto psicologico viene meno, ma resta la percezione reale di quanto si paga, per cui l’aliquota deve essere ragionevole.
Si possono formulare le seguenti ipotesi :
Tali redditi possono essere determinati sulla base delle regole attuali, ma quando determinati in base ai corrispettivi pattuiti, e non sulla base dei dati catastali, per essi si propone la tassazione con imposta sostitutiva nella misura del 20%.
Si rammenta che con i nuovi scaglioni non è poco, in quanto il riferimento è necessariamente ad una base imponibile netta da 30.000,00 a 100.000,00 euro, e quindi l’ aliquota del 20% pare equa in quanto tali redditi (da cui va esclusa la casa di abitazione che è tassata catastalmente) generalmente sono detenuti da soggetti abbienti e sono aggiuntivi ai redditi ordinari.
Per altro, l’aliquota sostitutiva del 20% è inferiore alla tassazione ordinaria attuale, che in analoga ipotesi ed essendo progressiva, può andare dal 38% al 43% incentivando l’evasione, mentre è in linea con la sostitutiva attuale, che era però sino al 2018 di applicazione molto limitata.
Pare opportuno differenziare i redditi da dividendo (partecipazione in società di capitali, e già tassati in parte in capo alla società) dagli altri redditi da capitale.
Le aliquote che si devono ipotizzare sono quelle del 18% in capo al percettore per i dividendi, e a tal proposito si rinvia a quanto già evidenziato al precedente punto sulla tassazione delle società (Ires), e l’aliquota del 20% negli altri casi. Valgono anche per tali ipotesi le altre considerazioni già svolte per l’imposta sostitutiva sui redditi immobiliari.
È la categoria più eterogenea e che più necessiterebbe di un temperamento in funzione del periodo di possesso.
Anche per tale ragione la soluzione dell’imposta sostitutiva pare la più equa e corretta, da collegarsi però anche a più alternative nella determinazione della base imponibile allorché l’origine del bene che genera l’imponibile, o il suo costo iniziale, non siano determinabili.
Si possono proporre in proposito più soluzioni, con facoltà di scelta della più conveniente da parte del contribuente :
Va ovviamente escluso l’immobile abitato dal contribuente, purché da un numero minino di anni (esempio cinque), onde evitare comportamenti elusivi.
Quanto all’aliquota, il 20% pare la più coerente per le ragioni già evidenziate.
Quanto precede vuole incidere anche in misura significativa sul sistema attualmente in essere, ma senza stravolgerlo, ed anzi rendendolo più efficiente anche in termini di semplificazione e consentendo quindi di mantenere in funzione la “macchina fiscale”, seppur orientandola su una strada in parte diversa che ci si augura sia però anche facilmente percorribile.
Quanto al gettito, non pare che con quanto proposto esso debba risultare significatamente compromesso rispetto ad oggi, e ciò per le seguenti ragioni :
Per contro andrà considerato il maggior gettito proveniente dalla riduzione delle deduzioni e detrazioni, oggi 48 miliardi anno che, se solo fosse pari ad 1/2, già coprirebbe interamente le riduzioni precedenti.
3. C’è poi da considerare il maggior gettito derivante dalle imposte sostitutive e per il contrasto dell’evasione (operazione Iva), per concludere quindi che di fatto quanto proposto non dovrebbe (il condizionale è sempre d’obbligo) comportare alcuna riduzione di gettito, ma forse aumentarlo.
Una analisi più puntuale in merito, per altro non possibile in questa sede, sarebbe certamente opportuna, anche per un confronto con le altre proposte di Flat Tax integrale, continuamente annunciate, da più parti e spesso con caratteristiche di volta in volta differenti e che certamente comportano una significativa riduzione di gettito.