approfondimenti/Mercato finanziario
Un varo difficile per Fincantieri

Ecco che cosa non ha funzionato nell’Ipo della società del Tesoro. Dalla domanda "ballerina" degli investitori istituzionali al prospetto per quelli retail. Dalla tecnica dell’open price bookbuilding al diritto di revoca. Nei prossimi collocamenti se ne dovrà tener conto.

Marco Maria Fumagalli
Fumagalli

1 Premessa

Il collocamento di Fincantieri S.p.A. (“Fincantieri”), conclusosi di recente, presenta aspetti interessanti per quanto riguarda la tecnica di svolgimento delle Initial Public Offer (“Ipo”), che meritano di essere analizzati, anche nella prospettiva di future privatizzazioni (Poste, Sace,…) da perseguire tramite quotazione in Borsa.

Ancorché si tratti di tematiche specialistiche esse vanno alla radice del processo con cui si svolgono queste operazioni, le quali, per l’interesse pubblico, l’ammontare delle risorse in gioco ed il coinvolgimento di migliaia di investitori al dettaglio (retail) debbono avvenire nella massima trasparenza e secondo le migliori prassi di mercato.

Quanto segue è basato esclusivamente su fonti pubbliche e, senza alcuna ambizione di completezza, vuole essere un contributo al dibattito su queste tematiche.

2 Come doveva andare

Fincantieri prima dell’IPO era una società quasi integralmente (99,36 %) controllata da Fintecna S.p.A. (“Fintecna”), holding facente capo alla Cassa Depositi e Prestiti e quindi, indirettamente, al Ministero dell’Economia e delle Finanza (“Mef”).

Per l’operazione Fintecna e Fincantieri sono state assistite ciascuna da un advisor1, mentre il consorzio di investment banks reclutato per il collocamento istituzionale è stato di rara ampiezza per un deal di dimensioni tutto sommato contenute: vi hanno fatto parte undici istituzioni2.

La ragione di tale numerosità non risiede in una differenziazione delle capacità di vendita (placing power) in capo ai vari intermediari: ciascuno avrebbe avuto da collocare al massimo una cinquantina di milioni di euro di “carta”, un ammontare modesto per istituzioni globali. Piuttosto è da ricercarsi nel desiderio di visibilità degli intermediari stessi e nel loro interesse di accedere alle classifiche delle league table3. L’interesse di Fincantieri e Fintecna (i “Promotori”) ad una così ampia partecipazione dovrebbe invece consistere nel più alto grado di certezza del buon esito del collocamento istituzionale e, più in generale, nel mantenimento di solidi rapporti con una ampia fetta del mondo delle banche d’affari.

La struttura dell’offerta prevista per l’Ipo (cfr. Tabella 1) comprendeva una Offerta in Sottoscrizione (“Os”) di 600 Mln di azioni ed una Offerta di Vendita (“Ov”) da parte di Fintecna per circa 104 Mln di azioni.

Pertanto l’operazione in discussione era una privatizzazione “sui generis”: lo Stato riduce la propria quota di partecipazione prevalentemente diluendosi e solo in piccola parte vendendo indirettamente azioni.

Inoltre, come consueto nelle Ipo, il socio di controllo ha garantito un’opzione di sovrallocazione alle banche del consorzio per circa 106 Mln di titoli.

L’opzione di sovrallocazione (overallotment option) consiste nella facoltà per le banche di prendere a prestito (stock lending) azioni da consegnare agli investitori nel caso di una domanda eccedente quella inizialmente prevista. Successivamente alla consegna di queste azioni e all’avvio delle negoziazioni sul mercato secondario, le banche del consorzio, nel caso in cui il prezzo scenda sotto quello di collocamento, possono acquistare azioni, “stabilizzando” l’andamento del mercato secondario stesso, e restituirle in seguito al prestatore. Qualora invece non sia necessario stabilizzare il titolo, perché il prezzo sul mercato secondario “regge”, rimanendo sopra il prezzo di collocamento, le banche del consorzio acquisiscono a titolo definitivo le azioni che avevano preso in prestito, esercitando una opzione di acquisto (greenshoe option, “Gs”) che il prestatore concede gratuitamente contestualmente all’avvio dello stock lending.

In estrema sintesi, la tecnica descritta consente alle banche collocatrici di avere una (relativamente opaca) elasticità circa la quantità di titoli da collocare. Fino al termine del periodo di stabilizzazione non vi è infatti certezza se le azioni oggetto dell’ overallotment option siano state davvero vendute.

D’altro canto è prassi generale di queste operazioni riservare ai Promotori (emittente e/o azionisti venditori) la facoltà di ridurre la dimensione dell’Ipo in funzione della domanda.

Tabella 1 – Struttura dell’Offerta prevista

 

Il collocamento Fincantieri (l’“Offerta Globale”) prevedeva due separate tranche: (i) una rivolta al pubblico retail (l’“Offerta Pubblica”), cioè ai risparmiatori individuali, attraverso gli sportelli delle banche commerciali, per minimo il 20% del totale e (ii) una rivolta agli investitori istituzionali (il “Collocamento Istituzionale”) per massimo l’80% delle azioni. I Promotori si erano riservati la facoltà di modificare tale impostazione, spostando (clawback) le azioni destinate all’Offerta Pubblica al Collocamento Istituzionale o viceversa, a seconda dell’andamento della domanda.

Nell’ambito dell’Offerta Pubblica, che ha visto l’adesione di pressoché tutte le rilevanti banche commerciali nazionali, era previsto un lotto minimo di acquisto (di 4.000 azioni) ed un lotto minimo maggiorato (di 40.000 azioni), quest’ultimo destinato prevalentemente al canale private banking o Hnwi (High net worth individuals). Una piccola quota dell’Offerta Pubblica era altresì riservata ai dipendenti del Gruppo, che usufruivano di alcune agevolazioni per la sottoscrizione.

Come frequente nelle privatizzazioni italiane, agli acquirenti retail è stato accordato il beneficio della c.d. bonus share: coloro che non movimentano i titoli acquistati per un anno dopo la sottoscrizione maturano il diritto a ricevere gratuitamente un’ azione “premio”, nel caso di specie, ogni 20 acquistate in Ipo.

Il processo attraverso il quale si giunge alla determinazione del prezzo nelle operazioni di Ipo è, da molti anni, quello del c.d. open price bookbuilding. Esso viene spesso rappresentato graficamente con una piramide (cfr. Figura 1).

Figura 1 – Open Price Bookbuilding

Nella fase iniziale le banche d’affari che competono (beauty contest) per ottenere l’incarico presentano della valutazioni preliminari della società quotanda, che sono basate su un limitato set informativo. Va da sé che l’emittente o l’azionista venditore non sceglieranno automaticamente la banca che esprime una valutazione più alta: con paragone semplicistico, non necessariamente il venditore di un appartamento si affida all’agente immobiliare più ottimista, ma a quello che affianca ad una valutazione credibile del bene per cui si impegna a cercare un acquirente una solida reputazione ed un apprezzabile track record.

In seguito gli intermediari incaricati affinano la loro valutazione attraverso approfondimenti sulla situazione della società e sulle sue prospettive (due diligence), fino a determinare un fair value dell’impresa, che comunque si basa ancora sull’applicazione di modelli teorici. Tra questi è preferito quello dei multipli di mercato: per quanto grossolano nelle sue basi teoriche esso è apprezzato e quindi largamente utilizzato dagli asset manager per la sua semplicità e facilità applicativa. Inoltre il metodo dei multipli è eminentemente “comparativo” e pertanto adatto a selezionare titoli (stock picking) per chi gestisce un portafoglio.

E’ nella fase del c.d. pre-marketing che questo teorico fair value viene sottoposto ad una prima verifica esterna, di mercato, con un selezionato gruppo di investitori, spesso opinion makers. Sulla base del feed back di questa verifica si stabilirà l’intervallo di prezzo (forchetta o range) con cui presentarsi per la raccolta degli ordini definitivi nel periodo di vero e proprio svolgimento dell’offerta.

Tali ordini sono raccolti in un libro (book) e possono essere conferiti dagli investitori a diversi valori di prezzo (limit orders). In altri termini, ciascun investitore fornisce alle banche collocatrici una curva di domanda individuale4 che viene da esse aggregata in una curva di domanda collettiva. Il prezzo definitivo dell’Ipo viene quindi fissato al livello che consente di vendere la quantità desiderata. Anzi, in genere viene fissato leggermente sotto tale prezzo nella speranza che investitori insoddisfatti, perché non allocati (alloted) per l’intera quantità dell’ordine richiesto, siano compratori nelle prime sedute del mercato secondario, sostenendo così i corsi.

La domanda del pubblico retail non interagisce direttamente con il processo sopra descritto: i risparmiatori individuali prenotano le azioni al prezzo massimo della forchetta e non hanno la possibilità di esprimere indicazioni sul valore della società. Essi sono price takers, mentre gli investitori istituzionali svolgono il ruolo di price setters.

Le adesioni all’Offerta Pubblica sono irrevocabili5, anche sul presupposto che qualora il prezzo definitivo sia inferiore a quello massimo l’investitore non possa che esserne soddisfatto.

D’altronde giova ricordare che non solo gli investitori istituzionali sono certamente più attrezzati per esprimere una qualificata opinione sul valore della società, ma essi dispongono anche di un diverso set informativo. Mentre infatti il Prospetto Informativo, che è accessibile anche ai risparmiatori individuali, contiene pressoché esclusivamente dati storici, le banche collocatrici forniscono ai soli investitori istituzionali loro studi (equity research) sulla società quotanda che contengono dati finanziari prospettici (forward looking) e altre dettagliate analisi.

Il pubblico retail agisce anche sulla base di sollecitazioni pubblicitarie: nel collocamento Fincantieri il totale delle spese previste per l’Ipo, diverse dalle commissioni del consorzio, è di ben 13 Mln/€: la pubblicità, compresa quella televisiva ha rappresentato la stragrande componente di questo ammontare.

Le commissioni che Fintecna e Fincantieri si erano impegnate a riconoscere ai due consorzi bancari (istituzionale e retail) sono indicate nel Prospetto Informativo nell’ordine complessivo del 2.1% del controvalore collocato. Ovvero in un intorno di 11/15 Mln/€ (escludendo l’eventuale greenshoe ) al prezzo della forchetta, indicato tra 0.78 € e 1.00 € per azione, corrispondenti ad una valutazione dell’intera società tra 969 Mln/€ e 1.242 Mln/€.

La ripartizione delle commissioni tra consorzio per il Collocamento Istituzionale e consorzio per l’Offerta Pubblica non è indicata nel Prospetto. Le commissioni sono in genere divise in tre: (i) quella di direzione, che spetta solo ai Global Coordinators, (ii) quella di underwriting6, che spetta alle banche che garantiscono la raccolta od il regolamento degli ordini e (iii) quella di vendita, proporzionale agli ordini raccolti.

Per quanto qui rileva quello che, con qualche approssimazione, si può comunque affermare è che, sin dall’inizio, nell’Ipo di Fincantieri si era previsto di spendere in pubblicità tanto quanto in commissioni di vendita per le banche.

3 Come è andata

L’Offerta Globale si è svolta dal 16 giugno al 27 giugno, per due settimane. Al termine il prezzo definitivo è stato fissato al minimo della forchetta, ovvero a 0.78 € e la domanda, a tale prezzo, si è fermata a 578 Mln di azioni (cfr. Tabella 2). I Promotori hanno quindi “deliberato di non collocare     integralmente le azioni oggetto dell’Offerta Globale”7 e di “rideterminare” l’ammontare della stessa a 450 Mln di azioni8, più 50 Mln di azioni in overallotment option9.

Tabella 2 – Fincantieri risultati offerta

Evidentemente la domanda è mancata da parte degli investitori istituzionali, mentre, sollecitati dall’imponente campagna pubblicitaria, i risparmiatori individuali sono accorsi in più di 55.000 a sottoscrivere mediamente ben più di un lotto minimo10.

Il primo giorno di quotazione è stato il 3 luglio nel quale è anche cominciata l’attività di stabilizzazione che è durata trenta giorni di calendario. Il prezzo di riferimento è rimasto sul valore di collocamento per i primi due giorni di scambi successivamente ha cominciato a perdere, sino a toccare     un minimo di 0,685 € (-12.2%) a fine luglio.

Nei primi tre giorni sul Mercato Telematico Azionario (“Mta”) sono state scambiate 69 Mln di azioni, nei trenta giorni 100.8 Mln.

Al termine del periodo di stabilizzazione, l’opzione greenshoe è stata esercitata per 7.2 Mln di azioni. Ciò significa che il consorzio ha ricomprato sul mercato 42.8 Mln di azioni, un ammontare pari a poco più del 42% di tutti gli scambi. A “consuntivo” quindi l’operazione di Ipo è così rappresentabile, in maniera comparativa con quanto precedentemente esposto:

Tabella 3– Struttura dell’Offerta realizzata

Il flottante definitivo è pari al 27.4% del capitale, contro un 44.3% previsto all’avvio dell’operazione. I 13 Mln/€ di costi fissi dell’Ipo rappresentano il 3.6% sul collocato e, quindi, il costo complessivo dell’Ipo in termini percentuali è stato del 5.7%.

4 Profili critici ed osservazioni

4.1 La documentazione

Una prima riflessione riguarda la documentazione d’offerta. Il Prospetto Informativo è redatto secondo il Regolamento Europeo 809/2004 ed è stato approvato dalla Consob.

Quale sia l’esatto contenuto dell’attività che l’autorità deve svolgere nello scrutinio del Prospetto è da tempo argomento di dibattito11, anche perché essa impiega in genere tempi superiori a quelli stabiliti dalla Direttiva europea in materia per il proprio “nulla osta” alla pubblicazione12.

Sta di fatto che questo documento ha ormai una valenza prevalentemente di difesa legale dei Promotori nel caso di contenziosi: la dimensione ed il linguaggio ne fanno un testo inavvicinabile dal risparmiatore individuale, ma largamente trascurato anche dagli investitori istituzionali, che preferiscono analizzare le Offering Circular, contestualmente pubblicate e che hanno un formato standard più agevole.

Il Prospetto Informativo Fincantieri ha 699 pagine e, come tutti quelli italiani, segue lo schema di contenuti del Regolamento 809/2004, invece che procedere ad una rielaborazione che semplifichi la lettura, con il risultato che il solo indice occupa 11 pagine. Inoltre il linguaggio13 è volutamente legale, con eccessi spinti fino al parossismo14.Non è estranea a questa impostazione neanche la Nota di Sintesi15, che la normativa vorrebbe “in linguaggio non tecnico” e che “non dovrebbe superare le 2.500 parole”16.

Un aspetto importante nel Prospetto Fincantieri riguarda la definizione di alcune grandezze finanziarie (ad esempio l’Ebitda o la Posizione Finanziaria Netta), usualmente utilizzate nell’analisi finanziaria, e quindi estremamente rilevanti nell’applicazione del metodo valutativo basato sui multipli, ma non definite dai principi contabili internazionali (Ifrs). Si tratta di quelle che in gergo tecnico sono chiamate Alternative performance measures (“Apm”) e sono state oggetto di attenzione da parte dei regolatori17.

In particolare nel calcolo dell’ Ebitda18 consolidato dell’esercizio 2013 vengono stornati i costi relativi (i) alla Cassa Integrazione (14.8 Mln/€), (ii) ai piani di riorganizzazione (11.1 Mln/€), (iii) ai contenziosi sull’amianto (23.9 Mln/€) e (iv) altri oneri e proventi non ricorrenti (23 Mln/€).

La posizione finanziaria netta esclude invece 700.8 Mln/€ di debiti per construction loans, una forma di finanziamenti tipica nel settore e glishipyards. Tali debiti sono invece presenti nel bilancio consolidato “statutory”.

Con grande chiarezza Fincantieri informa che:

“Gli indicatori analizzati (Free Cash Flow, investimenti, costi di ricerca e sviluppo, Roi, Roe, Rapporto Indebitamento finanziario/totale patrimonio netto, Rapporto Posizione Finanziaria Netta/Ebitda e Rapporto Posizione Finanziaria Netta/totale patrimonio netto) non sono identificati come misure contabili nell’ambito degli Ifrs e, pertanto, non devono essere considerate misure alternative a quelle fornite dagli schemi di bilancio della Società per la valutazione dell’andamento del Gruppo. La Società ritiene che le informazioni finanziarie di seguito riportate siano un ulteriore importante parametro per la valutazione della performance del Gruppo, in quanto permettono di monitorare più analiticamente l’andamento finanziario dello stesso. Poiché tali informazioni finanziarie non sono misure la cui determinazione è regolamentata dai principi contabili di riferimento per la predisposizione del Bilancio Consolidato Intermedio Abbreviato e del Bilancio Consolidato, il criterio applicato per la relativa determinazione potrebbe non essere omogeneo con quello adottato da altri gruppi e pertanto tali dati potrebbero non essere comparabili con quelli eventualmente presentati da tali gruppi.”

Tuttavia, nonostante la precisione dell’informazione, la rilevanza degli “interventi” apportati ai dati di bilancio per giungere alle Apm ha suscitato perplessità in alcuni investitori.

Per quanto qui interessa la parte del Prospetto più degna di attenzione è però quella che descrive il processo di pricing e la quantità dei titoli offerti. Preliminarmente si deve notare che il Prospetto contiene il range di valorizzazione:

“I Proponenti, anche sulla base di analisi svolte dai Coordinatori dell’Offerta Globale, al fine esclusivo di consentire la raccolta di manifestazioni di interesse da parte degli Investitori Istituzionali nell’ambito del Collocamento Istituzionale, hanno individuato, sentiti i Coordinatori dell’Offerta Globale, un intervallo di valorizzazione indicativa del capitale economico della Società compreso tra un minimo non vincolante ai fini della determinazione del Prezzo di Offerta, di Euro 969 milioni ed un massimo vincolante di Euro 1.242 milioni, pari ad un minimo non vincolante di Euro 0,78 per Azione ed un massimo vincolante di Euro 1,00 per Azione, quest’ultimo pari al Prezzo Massimo (l’“Intervallo di Valorizzazione Indicativa”).

Alla determinazione del suddetto Intervallo di Valorizzazione Indicativa e del Prezzo Massimo si è pervenuti considerando i risultati e le prospettive di sviluppo nell’esercizio in corso e in quelli successivi della Società e del Gruppo, tenuto conto delle condizioni di mercato ed applicando le metodologie di valutazione più comunemente riconosciute dalla dottrina e dalla pratica professionale a livello internazionale, nonché le risultanze dell’attività di investor education effettuata presso investitori istituzionali di elevato standing nazionale ed internazionale. In particolare, ai fini valutativi sono state considerate le risultanze derivanti dall’applicazione del metodo dei multipli di mercato, che prevede la comparazione della Società con alcune società quotate di riferimento, sulla base di indici e moltiplicatori di grandezze economiche, finanziarie e patrimoniali significative e, come analisi di controllo, il metodo finanziario di valutazione dei flussi di cassa (cosiddetto Discounted Cash Flow) basato sulla attualizzazione dei flussi di cassa prospettici”.

La modalità con cui si è giunti alla forchetta sembra coerente con la descrizione del processo del precedente § 2, fatto salvo che ormai da qualche anno l’attività di pre-marketing viene chiamata nei Prospetti di investor education, termine francamente poco coerente con la natura della stessa e teso forse a sminuirne la rilevanza nei casi in cui emergano indicazioni contraddittorie rispetto alla valorizzazione teorica.

Quanto alla fissazione del prezzo definitivo:

“Il Prezzo di Offerta, che non potrà essere superiore al Prezzo Massimo, sarà determinato dai Proponenti, sentiti i Coordinatori dell’Offerta Globale, al termine del Periodo di Offerta tenendo conto, tra l’altro, delle condizioni del mercato mobiliare domestico ed internazionale, della quantità e qualità delle manifestazioni di interesse ricevute dagli Investitori Istituzionali, della quantità della domanda ricevuta nell’ambito dell’Offerta Pubblica, dei risultati raggiunti dalla Società e delle prospettive della medesima. Il Prezzo di Offerta sarà il medesimo sia per l’Offerta Pubblica sia per il Collocamento Istituzionale”.

In questo paragrafo, che è standard nella prassi italiana, colpiscono due aspetti. Innanzitutto (cfr. Tabella 4, che prende ad esempio l’Ipo di Royal Mail Plc) il richiamo ai risultati raggiunti ed alle prospettive della società appare scarsamente conferente: a questo stadio del processo poco contano i risultati di Fincantieri, l’unica cosa rilevante è se gli ordini ci sono o non ci sono, se gli investitori hanno mal recepito i dati finanziari dell’emittente è ormai irrilevante.

Tabella 4 – Fattori presi in considerazione nella decisione sul Prezzo Definitivo di Offerta

In secondo luogo non vi è un criterio che invece è frequente nella prassi internazionale , ovvero quello che il prezzo deve essere fissato anche al fine di ottenere un ordinato mercato secondario.

Ma vi è una ulteriore peculiarità nella descrizione delle modalità di determinazione del prezzo nei prospetti italiani, a cui l’operazione Fincantieri non sfugge: l’inserimento di un elenco di comparables e dei relativi trailing multiples, ovvero dei multipli sui dati storici.

Questa prassi nelle intenzioni dovrebbe fornire un utile strumento di verifica all’investitore/lettore circa la congruenza del pricing e, comunque, sensibilizzarlo sul fatto che l’approccio comparativo del metodo dei multipli è quello più rilevante. Tuttavia la buona intenzione è tradita dal fatto che i dati sui multipli sono storici, quindi con scarsa valenza segnaletica: come ben sanno gli operatori, è sui leading multiples, cioè sui multipli calcolati con i dati finanziari attesi (futuri) che gli asset manager prendono le loro decisioni.

I leading multiples sono però calcolati su previsioni di risultati (in generale utilizzando il consensus sui dati finanziari futuri, ovvero una media delle stime di tutti gli analisti finanziari che seguono la società). Tali previsioni non sono “ufficiali” né univoche e, pertanto, non vengono riportate nel Prospetto Informativo.

Il risultato di questa prassi è però di fornire informazioni spesso misleading.

Infine, un profilo critico messo in luce nel Prospetto e peraltro ripreso in sede di road show sia dal management di Fincantieri che da quello della controllante Cassa Depositi e Prestiti è quello dei dividendi. La società non prevede di distribuire dividendi nel prossimo periodo, preferendo destinare l’eventuale utile al rafforzamento patrimoniale, in funzione della auspicata crescita dell’attività. Si tratta, evidentemente, di un aspetto non particolarmente attraente per il pubblico al dettaglio, che desidera godere di un, sia pur limitato, flusso di risorse dal proprio investimento.

4.2 La determinazione del prezzo definitivo

La tecnica dell’open price bookbuilding si è imposta da molti anni come standard di mercato per le operazioni di Ipo in quanto in uno scenario di mercati altamente volatili e negoziazioni telematiche, nessun intermediario si assume più il rischio di una garanzia “a fermo” ad un prezzo prestabilito.

L’open price bookbuilding è ritenuto da molti studiosi superiore in efficacia della price discovery rispetto ad altre possibili alternative (si pensi a meccanismi d’asta19) proprio per il coinvolgimento diretto di un vasto numero di investitori, “filtrati” tuttavia dagli intermediari che, anche grazie alla discrezionalità nell’allocazione degli ordini pervenuti (allotment), possono costruire un book ben equilibrato dal punto di vista della qualità e dimensione degli ordini, della natura degli investitori, della loro nazionalità, del loro orizzonte temporale.

Ovviamente il presupposto affinché questa interazione sia efficace è quello che non vi siano influenze esterne (fallimenti di mercato si potrebbe forse dire): che gli investitori non colludano per abbassare il prezzo, che non vi siano garanzie di riacquisto implicite od esplicite, che gli asset manager non vengano influenzati da benefici personali di nessun tipo e così via.

Inoltre va da sé che, essendo la domanda del retail inelastica ed esterna alla costruzione del book, minore è la percentuale di ordini raccolti da investitori istituzionali ed il loro numero, meno significativo è l’esito del bookbuilding e quindi, in definitiva, il processo di pricing.

Anche la dimensione dell’offerta è un aspetto critico. I fondi raccolti dovrebbero avere una precisa destinazione (use of proceeds) e non è irrilevante per l’interesse degli investitori e la valutazione della società se a conclusione del processo ne vengono raccolti meno: si pensi a progetti di investimento di grandi dimensioni non finanziabili a debito. Una minore raccolta significherebbe dovervi rinunciare.

Nel prospetto di 699 pagine dell’ Ipo di Fincantieri all’use of proceeds vengono dedicate 9 righe che non contengono alcuna indicazione precisa, se non un generico obiettivo di “rafforzare la struttura patrimoniale e finanziaria del Gruppo e di supportarne gli obiettivi di crescita”.

Attualmente le condizioni a cui vengono svolte le Ipo non prevedono né un limite inferiore alla riduzione dell’offerta, né un limite al clawback tra Offerta Pubblica e Collocamento Istituzionale. Sorprendentemente, neanche in termini di comunicazione questi due aspetti sono particolarmente curati: nelle 83 pagine del Prospetto Fincantieri in cui si segnalano 54 rischi per l’investitore non si parla del fatto che la riduzione dell’offerta potrebbe comportare insufficienti risorse per lo sviluppo della società né che un eccessivo clawback dalla quota destinata agli istituzionali verso quella retail potrebbe generare un non efficiente meccanismo di pricing.

Quasi superfluo aggiungere che, una riduzione dell’offerta è critica anche dal punto di vista della struttura di controllo: sotto un certo flottante non è possibile accedere a segmenti qualificati del listino (es. Star), la presenza di importanti soci istituzionali può generare meccanismi virtuosi dal punto di vista della corporate governance, garantendo ad essi alcuni diritti (si pensi alle soglie per la presentazione di liste di minoranza per l’elezione degli organi sociali20) ed accresce comunque la reputazione del titolo.

4.3 La determinazione della quantità definitiva

Ma vi è una questione ancora più sostanziale. Il sottoscrittore che credeva il collocamento raggiungesse un certo ammontare e si ritrova con un flottante minore e ridotte risorse nelle casse sociali, quali strumenti ha per mitigare il proprio rischio? In particolare, può revocare la propria adesione?

La disciplina della revoca delle adesioni ad una Offerta Pubblica è di recente introduzione nell’ordinamento. Essa è contenuta nell’art. 95bis del Tuif, il quale è stato aggiunto dal D.Lgs. 184 del 11.10.2012 in recepimento della Direttiva 2010/73.

In estrema sintesi, l’aderente ha diritto a revocare l’acquisto o la sottoscrizione dei prodotti finanziari in due casi:

qualora il Prospetto non contenga21 il “prezzo d’offerta definitivo” e la “quantità dei titoli che verranno offerti al pubblico”. La revoca tuttavia non è possibile qualora “il prospetto indichi i criteri e/o le condizioni in base ai quali i suddetti elementi saranno determinati o, nel caso del prezzo, il prezzo massimo”;

qualora venga pubblicato un supplemento al Prospetto Informativo. Quest’ultimo è richiesto, tra l’altro, qualora un nuovo “fatto significativo … atto ad influire sulla valutazione” dei prodotti finanziari sopravvenga o sia rilevato prima che l’offerta sia “definitivamente chiusa”.

Questi principi regolano operazioni con caratteristiche diverse tra loro (aumenti di capitale, secondary offers, Ipos,…) ma possono essere sempre interpretati facendo riferimento ad una finalità di tutela degli investitori e di efficienza dei mercati22. Sotto questo profilo il diritto di revoca rappresenta uno strumento di garanzia dell’investitore qualora venga ad evidenza che le condizioni dell’investimento si sono modificate in misura rilevante prima della conclusione dello stesso.

Circa la prima ipotesi descritta, l’Esma23 ha avuto modo di esprimersi24 in merito alle caratteristiche che debbono avere i sopracitati criteri con riguardo al prezzo: “…must be precise enough to make the price predictable and ensure a similar level of investor protection. This would also allow investors to check if the final price has been calculated properly by the issuer or the financial intermediaries acting on behalf of the issuer. It means that a mere reference to the bookbuilding method is not acceptable as “criteria”…”. Si tratta quindi di una impostazione piuttosto rigida: per evitare il diritto di recesso i criteri debbono essere puntuali, “ricostruibili”.

Nella recente prassi italiana, dove il prezzo massimo è sempre noto e vincolante, è comunque pacifico che non vi è diritto di revoca qualunque sia il prezzo definitivo, che non potrà essere superiore a quello massimo.

Resta il problema della “quantità dei titoli che verranno offerti al pubblico”. Come detto, la prassi domestica, ed il caso Fincantieri la rispecchia perfettamente, è di indicare la quantità “massima” di titoli, con facoltà per i proponenti di ridurre l’offerta o ritirarla in caso di adesioni inferiori.

Se si assegna particolare rilevanza all’interpretazione letterale di quel tempo futuro “verranno”, si può sostenere che l’informazione richiesta dalla Direttiva sia quella del numero di titoli che si intende offrire, ovvero proprio quella “massima” stabilita all’inizio del periodo di offerta e, quindi, non sorga un diritto di revoca dell’adesione se quella collocata ex-post ne differisca, anche in maniera rilevante.

Un’interpretazione più sistematica potrebbe invece suggerire che con “quantità dei titoli che verranno offerti al pubblico” ci si voglia riferire al valore definitivo del collocato, che si determina (o “ridetermina” vedi il precedente § 3), congiuntamente al prezzo definitivo, al termine del periodo di offerta.

Sta di fatto che la prassi di altre giurisdizioni differisce da quella italiana: si indica in Prospetto non solo un range di prezzo, ma anche un range di quantità, riconoscendo agli aderenti un diritto di revoca quando il prezzo definitivo sia superiore al limite superiore del range25 o la size dell’offerta risulti al di fuori del range ad essa relativo26.

Questa linea interpretativa appare più coerente con le finalità di tutela della Direttiva: poco senso avrebbe preoccuparsi della formalizzazione di un ammontare teorico, incerto, modificabile, riducibile per mancanza di domanda o per volere dei proponenti27. A sostegno della tesi contraria si deve d’altronde far notare che la facoltà di riduzione è chiaramente indicata nel Prospetto Informativo e, benché non esplicitamente indicato, è anche conoscibile il livello minimo di flottante, che è notoriamente quello richiesto da Borsa Italiana del 25%.

Venendo ora alla seconda ipotesi, qualora non si ritenesse applicabile la prima al caso della riduzione dell’offerta, bisogna chiedersi se tale riduzione, o comunque la si voglia chiamare, non rappresenti un “nuovo fatto significativo” che necessiti della pubblicazione di un supplemento al Prospetto Informativo.

L’art. 16 della Direttiva ben chiarisce che il supplemento deve riguardare eventi rilevati “tra il momento in cui è approvato il prospetto e quello in cui è definitivamente chiusa l’offerta al pubblico o, qualora successivo, il momento di inizio della negoziazione in un mercato regolamentato”. Al di là della differente formulazione rispetto al già citato art. 95bis Tuif è pacifico che un supplemento, se necessario, deve essere pubblicato anche dopo la chiusura del periodo di adesione all’offerta28.

Il problema si riduce quindi a valutare se la “rideterminazione” dell’effettivo ammontare collocato è o no in grado di influire sulla valutazione dei titoli. Al riguardo vi sono argomenti a favore: oltre a quelli più propriamente di analisi finanziaria (l’annullamento o la riduzione degli investimenti programmati, parte del cui valore attuale è stata incorporata nel prezzo di offerta; il mancato miglioramento del rating che avrebbe portato ad una riduzione del costo dei finanziamenti…) vi sono quelli più squisitamente di mercato (la diminuzione della liquidità, con aumento del relativo sconto, l’esclusione da indici float weighted, con riduzione della domanda…).

Tuttavia anche in questa seconda ipotesi in senso contrario al riconoscimento del diritto di revoca militano valide ragioni. Oltre alla necessità di bilanciare gli interessi degli investitori con quelli dell’emittente (che pure nell’efficienza dei mercato primario sono interessi collettivi) vi è un importante dato di fatto: ESMA nelle recentissime “Draft Regulatory Technical Standards on specific situations that require the publication of a supplement to the prospectus”, non prende in considerazione l’ipotesi della modifica della quantità.

Si tratta certamente di una materia complessa e non di univoca interpretazione, con implicazioni tecniche di varia natura. Ad esempio: se i collocatori non garantissero29 a fermo il rischio di revoca, l’offerta potrebbe non considerarsi conclusa fino allo scadere del periodo in cui tale diritto si può esercitare (non inferiore a due giorni secondo la Direttiva) con conseguente modifica del calendario.

In conclusione si debbono però formulare tre osservazioni:

  • l’Ipo di Fincantieri è stata la prima Ipo azionaria su di un mercato regolamentato dall’entrata in vigore della nuova disciplina che sia giunta a conclusione con una riduzione dell’ammontare collocato. Pertanto l’approccio assunto in questa occasione non mancherà di formare un precedente per il futuro;
  • al di là dell’interpretazione del quadro normativo e del sussistere o meno di un approccio comune a questa problematica in ambito Ue, vi era forse una ragione di opportunità nel consentire agli investitori retail di rivalutare la propria adesione alla luce del diverso scenario;
  • quanto fin qui descritto rappresenta un ulteriore elemento di differenziazione nel trattamento di investitori istituzionali ed investitori al dettaglio. Senza addentrarsi nella qualificazione dal punto di vista giuridico dell’ordine inviato ad un membro del consorzio da parte di un investitore istituzionale e nel suo livello di vincolatività, è però frequente prassi in caso di riduzione dell’offerta che i sales degli intermediari ricontattino gli asset manager per avere conferma del loro interesse.

4.4 Il taglio della domanda istituzionale

Già si è detto che l’allotment, ovvero la scelta degli investitori istituzionali a cui consegnare le azioni è solitamente una scelta discrezionale degli intermediari bookrunner.

Si tratta di una attività complessa, oltre alla costruzione di un book equilibrato, bisogna tenere conto di molti aspetti: investitori che non vogliono ordini “tagliati”, ordini che potrebbero giungere mediati da altri soggetti celando il beneficiario finale, soggetti scarsamente conosciuti che potrebbero prestarsi a operazioni speculative (es. prestito titoli a ribassisti).

Inoltre, un profilo molto delicato è quello commissionale: i manager del collocamento istituzionale di norma guadagnano le loro commissioni in funzione degli ordini che “portano”, pertanto scartare l’ordine della banca X e allocare quello della banca Y significa spostare ricavi da una all’altra30.

Quello che però stupisce l’osservatore terzo è il fatto che la domanda istituzionale viene “tagliata” abbondantemente anche in situazioni, come quella Fincantieri (allocazione solo del 56% della domanda istituzionale), dove c’è disperatamente bisogno di ordini.

Il dubbio è che non solo molti investitori mettano ordini controvoglia, per dovere relazionale, ma che vengano sollecitati a metterli per importi superiori alla vera disponibilità all’acquisto. Tanto, è la “promessa” dei venditori, “stai tranquillo che te ne daremo di meno”.

Questa malevola interpretazione del comportamento dei sales31 in verità è traslabile anche al caso di Ipo di successo: “… la domanda è eccezionale, nell’allocazione favoriremo gli ordini più grossi, quindi… se ne vuoi 100, chiedimene 1.000 !”.

Ovviamente la realtà è più complessa, non fosse altro che la maggior parte degli investitori ha al suo interno definite politiche e procedure per decidere in merito agli investimenti e, tra questi, in particolare agli ordini di una Ipo.

La gestione del book è esclusiva pertinenza degli intermediari e anche quando i Promotori di una offerta si riservano decisioni sull’allocazione lo dovranno fare d’intesa con le banche, che sole conoscono davvero gli investitori e le loro strategie.

Ma se quanto fin qui descritto è anche solo parzialmente corrispondente ai meccanismi di mercato, sorge spontaneo un quesito: perché pubblicare i dati sulla domanda istituzionale? Le norme europee non lo richiedono, Consob ha a sua volta modificato i propri regolamenti32.

Vi è il concreto rischio che tali dati siano misleading, lanciando segnali che lasciano sperare in un andamento sul mercato secondario che poi non si realizza.

4.5 La stabilizzazione

L’attività di stabilizzazione è una pratica di manipolazione di mercato. Come è chiaramente indicato in tutti i prospetti delle Ipo infatti: “tale attività potrebbe determinare un prezzo di mercato superiore al prezzo che verrebbe altrimenti a prevalere e generare utili o perdite che saranno ripartiti tra i membri dei consorzi di collocamento”

Essa é disciplinata a livello comunitario, dal Regolamento CE 2273/200333. È una pratica ammessa34 se svolta all’interno di precisi parametri (gli acquisti non possono superare il 15% dell’offerta, debbono essere effettuati sempre sotto il prezzo di collocamento e per un periodo non superiore a 30 giorni), in quanto: “… nell’interesse degli investitori che hanno sottoscritto o acquistato i valori mobiliari nel quadro di una distribuzione significativa, nonché degli emittenti. In tal modo, le operazioni di stabilizzazione possono contribuire ad accrescere la fiducia degli investitori e degli emittenti nei mercati finanziari”.

Il Regolamento 2273 prevede che al termine dell’offerta vengono resi pubblici i seguenti dati in merito all’effettuazione della stabilizzazione: “entro una settimana dalla fine del periodo … i soggetti che … effettuano le operazioni di stabilizzazione comunicano …: a) se le operazioni di stabilizzazione sono state effettuate; b) la data di inizio delle operazioni di stabilizzazione; c) la data dell’ultima operazione di stabilizzazione; d) la forchetta di prezzo nell’ambito della quale la stabilizzazione è stata effettuata per ognuna delle date in cui sono state effettuate operazioni di stabilizzazione”.

Non è richiesto di rendere noti i volumi di stabilizzazione giorno per giorno, informazione che consentirebbe di valutare l’impatto del riacquisto sugli scambi della giornata35. Inoltre, benché la disciplina Consob36 imponga che le informazioni vengano riassunte in un modello, quest’ultimo è spesso irrintracciabile o parzialmente compilato.

Nel caso Fincantieri l’unica informazione che è stata rinvenuta37 è quella relativa all’esercizio della green shoe già indicata nel precedente § 3. Ragionevolmente, visto l’andamento delle quotazioni si deve presumere che nessuna delle azioni acquistate sia stata rivenduta sul mercato38 nel periodo dei 30 giorni e quindi l’effettivo svolgimento della stabilizzazione dovrebbe essere quello riassunto nella Figura 2.

Figura 2 – Svolgimento stabilizzazione Fincantieri

Una prima interessante osservazione è relativa proprio all’esercizio della greenshoe. Perché visto il cattivo andamento delle quotazioni non sono stati riacquistati anche gli ultimi 7.2 Mln di azioni? Non esistono regole di best practice sullo svolgimento dei riacquisti, e, comunque sarebbero necessari tutti i dettagli per poter valutare l’azione dello stabilisation manager, tuttavia il quesito è più che legittimo.

Ma la domanda più insidiosa è: da chi sono state ricomprati i 42.7 Mln di azioni ? Ovviamente non c’è risposta “ufficiale”: gli scambi sul mercato telematico sono anonimi.

Qualche indizio si può forse trarre analizzando i singoli contratti conclusi nel mese con la prudenza dettata dal fatto che la stabilizzazione ha pesato     per il 42% degli scambi. La Figura 3 (elaborazione su dati Bloomberg) divide il turnover delle sedute del primo mese per dimensione del contratto:     fino a 4.000 azioni (lotto minimo per il retail) da 4.000 a 40.000 (lotto minimo maggiorato) e sopra i 40.000. Sembrerebbe ragionevole sostenere che i contratti del terzo gruppo possano provenire solo da investitori istituzionali, mentre è probabile che anche nei contratti tra 4.000 e 40.000 azioni ci sia una componente rilevante di coloro che hanno acquistato nel Collocamento Istituzionale.

Nei primi tre giorni, le vendite del terzo gruppo sono state oltre 28 Mln di pezzi ed il 41% del totale. Vi è quindi la sensazione che molti investitori istituzionali siano usciti subito dall’investimento, sostanzialmente senza perdite. Il che confermerebbe che vi erano entrati più per “relazione” che non per volontà.

Sia ben chiaro: ciò non rappresenta una particolare novità, né una peculiarità dell’Ipo Fincantieri. Si tratta di un fenomeno conosciuto e studiato anche in letteratura. Si dice che gli intermediari, che curano in maniera ripetitiva Ipo propongono una “bundle offer”: gli investitori qualche volta accettano di sottoscrivere offerte che poco apprezzano, in cambio della promessa di essere allocati in future offerte più promettenti39.

Ma quanto sopra descritto assume profili decisamente critici nel caso di una offerta dove la tranche istituzionale, su cui si costruisce il prezzo, sia ridotta. Quale valore ha il prezzo indicato nel bookbuilding da un investitore che ha già deciso che si libererà delle azioni nei primi giorni di trading? O, ad una interpretazione ancora più malevola: che garanzia di indipendenza ha l’ordine di un investitore a cui si può “promettere” il riacquisto nei primi giorni di stabilizzazione?

Figura 3 – Analisi scambi nel periodo di stabilizzazione per dimensione contratto

 

4.6 I consorzi di collocamento

Un ulteriore spunto di riflessione dalla vicenda Fincantieri concerne i rapporti tra Promotori e banche d’affari.

Il coinvolgimento di queste ultime e l’assegnazione dell’incarico avvengono sempre dopo una fase dialettica in merito alla valutazione, ma il mandato rimane un impegno di mezzi e non di risultato.

È noto che, nelle prime fasi del processo di pricing, le banche tendono ad essere più “commerciali” assumendo un atteggiamento positivo in merito     al successo dell’operazione ed al prezzo realizzabile. Tuttavia, dopo il pre-marketing, soprattutto se ampio e articolato, l’idea sul prezzo dovrebbe essere relativamente chiara e quindi, il momento della definizione della forchetta potrebbe, in qualche misura, anticipare l’eventuale “disillusione” di emittente ed azionisti venditori rispetto alle loro attese di valore.

Un range molto ampio fornisce al mercato un segno di debolezza e ai Promotori la sensazione che le banche del consorzio abbiano già deciso di posizionarsi al minimo, ma tengano il massimo solo per ritardare la “disillusione” fino alla epica “notte della firma”. Viceversa un range troppo stretto non garantisce la flessibilità necessaria anche a fronte della volatilità del mercato durante il periodo di offerta.

Certo è che proprio un caso come Fincantieri pone di fronte al quesito: sono stati i Promotori ostinati a tenere un prezzo e delle quantità difficilmente realizzabili o sono stati i bookrunner a ritardare il faccia a faccia con la dura realtà “annacquando” i risultati del pre-marketing?

Visto lo standing delle banche coinvolte non prendiamo nemmeno in considerazione l’ipotesi che il pre-marketing sia stato condotto inadeguatamente, né risultano eventi di mercato nel periodo di offerta che abbiano modificato all’ultimo momento il market sentiment.

Il quesito è importante. Perché l’ampiezza del consorzio istituzionale con la presenza di ben otto banche internazionali stride con un consuntivo in cui i 50.000 clienti retail che hanno chiuso l’Ipo sono certamente clienti delle banche commerciali italiane.

Queste ultime si trovano in una curiosa posizione: partecipano sempre ai grandi consorzi di distribuzione al retail in quanto si tratta di un “servizio” prestato alla propria clientela; pur non sollecitando in alcun modo l’adesione40 all’Ipo subiscono l’effetto di traino della pubblicità dei Promotori; si vedono assorbite masse con un ritorno molto modesto anche quando sono decisive per il successo; salvo le due maggiori non hanno strutture di investment banking che consentano loro di guadagnare in altro modo dal deal.

5 Conclusioni

La chiusura di un’Ipo con il decisivo contributo del retail non è fatto nuovo nella recente storia del mercato finanziario italiano.

Clamorosa fu, nel novembre 2010, l’Ipo di Enel Green Power S.p.A.: una operazione da 3 miliardi di €, tutta in vendita, da parte della controllante Enel S.p.A.. A fronte di una quota destinata al retail del 15%, al termine del collocamento fu assegnato all’Offerta Pubblica l’ 89% (esclusa lagreenshoe). Il prezzo finale (1,6 €) fu stabilito al di sotto del range pubblicato (1,8 € – 2,1 €), ma il numero di azioni offerte non venne ridotto. Anche in quella operazione l’investimento pubblicitario, incluso quello televisivo, fu imponente.

Non è affatto detto che a distanza di tempo questo tipo di claw back si riveli necessariamente “un cattivo affare” per i risparmiatori retail, ma un iniziale disimpegno degli investitori istituzionali rende più difficile poi l’acquisizione di posizioni significative per quelli tra loro che volessero “rientrare”: il flottante è molto parcellizzato.

Di fronte alla prospettiva di altre operazioni che vedranno un’ampia partecipazione del retail, prima fra tutte Poste Italiane, la cui rete di vendita ha una capacità di placement ineguagliabile e per vari motivi è candidata ideale ad un azionariato “popolare”, si può stilare un elenco di materie sensibili a cui prestare attenzione:

procedere alla redazione di un Prospetto Informativo tripartito, innovativo nello schema e nel linguaggio, ove la Nota di Sintesi, separata, sia strumento di trasparenza nei confronti degli investitori retail;

definire un range di size dell’offerta;

stabilire un limite massimo al clawback verso l’Offerta Pubblica, ovvero un limite minimo di quota al Collocamento Istituzionale (es. 25%);

riservare ai Promotori la facoltà di prezzare l’operazione sopra il Prezzo Massimo, concedendo in tal caso il diritto di revoca ai sottoscrittori dell’Offerta Pubblica;

rispettare le norme ex post di trasparenza esistenti sull’attività di stabilizzazione e, incrementare la visibilità dell’attività nei confronti dei Promotori.

Si tratta di spunti di riflessione sul funzionamento dell’open price bookbuilding , il quale è sotto accusa proprio a seguito della privatizzazione di Royal Mail più volte citata: l’azione il primo giorno di trading ha guadagnato il 38% e giustamente il governo inglese si è accorto che la “money left on the table” è stata forse un po’ troppa.

1 Rispettivamente Rothschild e Equita Sim.

2 Cinque in qualità di Joint Global Coordinators (Banca IMI, Credit Suisse, J.P.Morgan, Morgan Stanley e Unicredit), mentre sei in qualità di Joint Bookrunners (BNP Paribas, Citigroup, Deutsche Bank, Goldman Sachs, HSBC e Mediobanca).

3 Come noto le league table sono statistiche curate da operatori specializzati (Dealogic, Bloomberg, Thomson-Reuters,…) che indicano gli intermediari più attivi in termini di volumi su determinate tipologie di operazioni. Non avendo i citati operatori visibilità sul collocato di ciascun membro di un consorzio, in genere, procedono a riconoscere a ciascun partecipante una quota fissa del totale collocato, in funzione della seniority nel consorzio stesso.

4 Ovviamente la curva è inclinata negativamente: al prezzo x l’investitore si dice disposto a sottoscrivere la quantità A, al prezzo y>x la quantità B<A, fino al prezzo z>y>x al quale non acquista alcuna azione.

5 Salvo il caso vi siano rilevanti nuove notizie nel periodo dell’offerta, che devono essere diffuse tramite la pubblicazione di un supplemento al Prospetto Informativo, si veda § 4.3.

6L’underwriting relativo all’Offerta Pubblica viene firmato prima dell’avvio della stessa ed è (teoricamente) una garanzia perfetta (ovvero le banche sono obbligate a sottoscrivere in proprio nel caso raccolgano ordini inferiori all’ammontare garantito), ma condizionata alla chiusura delCollocamento Istituzionale. Nel caso dovesse venirmeno quest’ultimo decade anche l’impegno delle banche del consorzio retail. L’underwriting    del Collocamento Istituzionale è invece firmato dopo la conclusione dell’offerta, pertanto dopo che sono stati raccolti gli ordini dei clienti istituzionali, stabilito il prezzo definitivo, allocate le azioni. La natura di questa garanzia è quindi di regolamento (settlement): gli intermediari dovranno sottoscrivere in proprio solo nel caso di inadempimento di un investitore.

7 Cfr. Avviso Integrativo del 3 luglio 2014.

8 Si noti che la “rideterminazione” dell’ammontare dell’Offerta Globale implica che l’ammontare espresso in Prospetto non fosse definitivo.

9 Il fatto che possa essere stato esercitato un overallotment dopo che l’Offerta Globale è stata ridotta potrebbe apparire ad un lettore attento contraddittorio con quanto scritto nel § 2. E in verità lo è. Nel Prospetto, con una tecnica redazionale “circolare”, si dice che l’opzione di sovrallocazione (in italiano) potrà essere esercitata in caso di “over allotment” (in inglese). In nessun punto del documento è però definito “over allotment”. In particolare non sembra indicato il fatto che, anche in caso di riduzione dell’offerta, vi potrà essere un prestito titoli al servizio della stabilizzazione.

10 Il richiesto medio è infatti di 6.000 azioni esclusi dipendenti e lotti minimi maggiorati.

11 Nel marzo del 2009 la Consob ha emanato una comunicazione (DEM/9025420 del 24-3-2009) nella quale definisce, a suo avviso, le attività che in base alle norme sarebbe chiamata a svolgere.

12 La Direttiva 2003/71 prevede 20 giorni per società che non abbiano già strumenti finanziari quotati e 10 giorni negli altri casi. E’ poi stabilito che nel caso (che in Italia sempre si verifica) in cui l’autorità ritenga necessarie informazioni supplementari la domanda prenderà data solo dal ricevimento di tali informazioni. Consob nel Regolamento 11971/99, al fine di porre un limite ad un processo che altrimenti potrebbe protrarsi indefinitivamente, ha stabilito che l’istruttoria dovrà comunque concludersi entro 40 o 70 giorni lavorativi.

13 Il problema della leggibilità dei documenti finanziari è ben noto anche all’estero, dove è stato talvolta affrontato. La SEC (Securities and Exchange Commission USA), ad esempio, già alla fine degli anni novanta ha avviato un progetto di largo respiro per rendere comprensibili e leggibili le informazioni che debbono essere rese pubbliche. Il risultato è un Plain English Handbook (http://www.sec.gov/pdf/handbook.pdf ) a cui si attengono i soggetti vigilati e che si apre con la massima aristotelica: “One must consider also the audience…the reader is the judge.”

14 A mero titolo di esempio, i rimandi ad altri capitoli dello stesso documento, specificano trattarsi di capitoli “del Prospetto Informativo”.

15 La Direttiva sul Prospetto prevede che il documento sia composto da tre parti: (i) Documento di Registrazione (informazioni sull’emittente), (ii) Nota Informativa sugli strumenti finanziari (informazioni sui titoli offerti) e Nota di Sintesi (un breve riassunto destinato al pubblico retail) . Le tre parti possono circolare anche separatamente purché su ciascuna sia indicato dove reperire le altre.

16 Misurata con il programma word la dimensione è di circa 6 volte quella suggerita dalla Direttiva.

17 Cfr. CESR Recommendation on APM (CESR/05-178b) o comunicazione Consob DEM/6064293 del 28-7-2006.

18 Earning Before Interest Depreciation and Amortization, una grandezza fondamentale in quanto proxy della produzione di cassa ed utilizzata nel calcolo del multiplo EV/EBITDA.

19 Peraltro non sconosciuti: l’IPO nel 2004 di Google Inc. è sicuramente il caso più famoso.

20 Fincantieri in occasione dell’IPO ha integrato il proprio C.d.A., composto fino ad allora di 5 membri, di cui 1 indipendente, con ulteriori 4 consiglieri indipendenti.

21 Merita segnalare che tutti questi elementi debbono essere presenti nella versione del Prospetto approvata dall’autorità competente. Pertanto (cfr. Comunicazione Consob 10807 del 10-02-2014) se oggetto di una integrazione successiva, prezzo di offerta e quantità dovranno essere recepite in un supplemento al Prospetto.

22 Cfr. Il decimo considerando della Direttiva stessa.

23 L’European Securities and Market Authority che ha un importante ruolo nel dettare gli standard tecnici relativi alle Direttive

24 Cfr. ESMA Q&A n° 58 on Prospectus Directive 21st version January 2014.

25 Si noti che in questa impostazione, il limite superiore del range non rappresenta un Prezzo Massimo vincolante: ciò è un notevole vantaggio per i Promotori nel caso in cui l’offerta abbia esiti migliori del previsto, ovvero il range sia stato fissato con eccessiva prudenza. Invece che essere vincolati dal Prezzo Massimo, si potrà stabilire il prezzo definitivo sopra tale limite, correndo il rischio delle revoche, più teorico che effettivo, dato il successo dell’IPO.

In questa modalità le adesioni del pubblico retail non sono fatte per quantitativi multipli di un lotto minimo, ma per ammontari fissi, a cui corrisponderanno poi un numero di azioni in funzione del prezzo definitivo.

26 Dal Prospetto di Royal Mail: “If the Offer Price is set above the Price Range and/or the number of Ordinary Shares to be sold by the Selling Shareholder is set above or below the Offer Size Range (subject to the minimum free float requirements of the UK Listing Authority), […] and prospective investors would have a statutory right to withdraw their offer to purchase Ordinary Shares in the Offer pursuant to section 87Q of FSMA”.

27 Si noti infatti che la facoltà dei Proponenti di ridurre l’ammontare collocato è totalmente discrezionale e non legata al livello della domanda.

28 La “definitiva” chiusura dell’offerta è peraltro ragionevolmente identificabile con il regolamento (settlement) che ha luogo il primo giorno di negoziazione.
Si veda su queste tematiche il documento di consultazione del MEF in occasione del recepimento della Direttiva (http://www.dt.tesoro.it/it/regolamentazione_settore_finanziario/consultazioni_pubbliche_online_corrente/consultaz_pubb_schema_decreto.html)

29 Paradossalmente invece la recente prassi dei contratti di underwriting italiani è quella di consentire alle banche di recedere a loro volta dalla garanzia prestata in occasione della pubblicazione di un supplemento al Prospetto.

30 Per evitare questi tipi di conflitto, che rischiano di non giovare al placement, nelle grandi operazioni con consorzi molto ampi, talvolta viene stabilito che gli investitori riconoscano (designation) il proprio ordine ad un certo intermediario ai fini delle commissioni, indipendentemente da quello che lo ha materialmente raccolto, solo dopo la chiusura dell’offerta.

31 All’interno di un intermediario sono chiamati “sales” i dipendenti che si occupano della vendita ad investitori istituzionali e che mantengono relazioni continuative con gli asset manager (gestori).

32 Avendo modificato l’Allegato 1F al Regolamento Emittenti. Consob richiede invece per sé il dettaglio analitico di tutti gli investitori allocati con la rispettiva domanda.

33 Tale Regolamento è attuativo della Direttiva 2003/6/CE relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato). Quest’ultima verrà sostituita dal nuovo Regolamento 596/2014 il quale è altrettanto chiaro in merito al perché la stabilizzazione può essere ammessa: “Trading in securities or associated instruments for the stabilisation of securities […] can be legitimate for economic reasons and should, therefore, in certain circumstances, be exempt from the prohibitions against market abuse provided that the actions are carried out under the necessary transparency, where relevant information regarding the stabilisation […]is disclosed”.

34 Più precisamente, se la stabilizzazione è svolta all’interno dei tre citati limiti del Regolamento 2273/2003, gli attori non potranno essere ritenuti responsabili dell’illecito consistente nella manipolazione di mercato. Si tratta di un approccio simile a quello che nel diritto anglosassone viene chiamato safe harbour. Peraltro interventi al di fuori dei limiti non necessariamente configurano un illecito.

35 La scarsa disclosure sulla stabilizzazione è storicamente frutto di un compromesso a livello comunitario in cui è prevalsa l’impostazione UK, decisamente favorevole agli intermediari e quindi poco trasparente.

36 Art. 34 septies del Regolamento Emittenti (11971/99).

37 Comunicato Stampa Fincantieri del 1 agosto 2014 per conto di Credit Suisse Securities (Europe) Limited, lo stabilizing manager, ovvero la banca del consorzio che effettua anche in nome e per conto di tutte le altre le operazioni si riacquisto sul mercato.

38 Se le quotazioni nel mese di stabilizzazione risalgono è possibile che lo stabilizing manager venda azioni prima acquistate ”ricaricando” la capacità di acquisto (refreshing the greenshoe).

39 Per comprendere bene si rammenti che il book non è visibile agli investitori istituzionali: mentre i collocatori bookrunner hanno il ”polso” di come procede l’offerta, gli investitori non dovrebbero (condizionale!) avere informazioni al riguardo.

40 Le banche commerciali nel partecipare ad un consorzio forniscono il servizio di investimento consistente nel collocamento, il quale, come noto, può essere prestato anche separatamente da quello di consulenza. Pertanto esse non debbono effettuare il c.d. test di adeguatezza, ma il più semplice test di appropriatezza, teso a verificare che il cliente abbia le conoscenze sufficienti a comprendere il prodotto ed i suoi rischi.