approfondimenti/regolazione
Un restyling per la consulenza finanziaria

Gli intermediari devono comunicare se la consulenza offerta è o meno indipendente. A stabilirlo la Mifid2. Che sceglie la via del compromesso tra le diverse osservazioni formulate. Ma solleva nuovi interrogativi, specie per coloro che decidono di prestare entrambe le forme del servizi.

Massimo Scolari
Massimo-Scolari

La nuova normativa che verrà introdotta con la Direttiva Mifid2 prevede l’obbligo per gli intermediari di comunicare al cliente se il servizio di consulenza viene prestato con modalità indipendente o non indipendente.

Il servizio di consulenza è definito “indipendente” se vengono rispettate due condizioni: la considerazione di una gamma di strumenti finanziari, sufficientemente ampia e diversificata ed il divieto di percezione di incentivi monetari e non monetari dalla case prodotto.

Il compromesso della Mifid2

La declinazione del servizio di consulenza in materia di investimenti, prevista da Mifid2, tra consulenza “indipendente e non” è frutto di un compromesso tra diverse visioni in merito alle modalità di prestazione e soprattutto di remunerazione del servizio.

Da un lato, nella proposta originaria della Commissione europea del 2011, il servizio di consulenza si sarebbe distinto tra “indipendente” e “ristretto”, fornendo a quest’ultima modalità una qualificazione a priori di minor qualità, se non addirittura un’accezione negativa.

Nei lavori parlamentari, in particolare con le proposte contenute nel Rapporto Ferber, vi era la previsione di cancellare il termine di “consulenza indipendente” e di introdurre una maggiore trasparenza sugli incentivi ricevuti dall’impresa di investimento che fornisce il servizio di consulenza.

La soluzione finale adottata dal legislatore, pur abolendo il termine “consulenza ristretta”, ha tuttavia mantenuto la distinzione del servizio di consulenza “indipendente”, accogliendo in gran parte le raccomandazioni del Parlamento in tema di maggiore  trasparenza per il cliente retail.

Come tutti i compromessi anche quello contenuto nella Mifid2 si presta a numerose critiche e ad interpretazioni divergenti.

Cosa accade se un’impresa di investimento o una banca decide di fornire entrambe le tipologie di servizio di consulenza? Lo può fare? Come deve informare il cliente prima dell’erogazione del servizio? Come deve essere organizzato?

Che lo possa fare è implicito nella scelta del legislatore. Il requisito di indipendenza non è di carattere soggettivo, non viene quindi attribuita al soggetto, alla banca, alla rete di promotori ecc., ma definisce una modalità del servizio di consulenza che può essere declinata – in astratto – dalla medesima istituzione.

Alle altre domande ha cominciato a rispondere l’Esma nel documento di consultazione del 22 maggio 2014. In particolare, Esma sostiene che, se un’impresa di investimento decide di fornire il servizio di consulenza in entrambe le modalità, essa non potrà presentarsi al cliente come “indipendente”. In secondo luogo, Esma suggerisce di introdurre un obbligo di separazione tra le strutture che erogano e che distribuiscono alla clientela i due servizi di consulenza, indipendente e non.

Questa impostazione sposta la qualificazione di indipendenza dalle caratteristiche del servizio di consulenza alle connotazioni soggettive dell’impresa, delle sue strutture e del suo personale commerciale.

Al documento di consultazione dell’Esma sono pervenute numerose risposte da parte delle associazioni e degli intermediari. Entro la fine dell’anno l’Authority europea definirà la versione finale dei Technical Advice che verranno inviati alla Commissione europea che, a sua volta, sulla base delle Opinion dell’Esma, elaborerà il testo della Direttiva di Esecuzione della Mifid2.

Un’opportunità per gli intermediari italiani

I due anni che ci separano dall’entrata in vigore della nuova regolamentazione vedranno gli intermediari italiani impegnati alla ridefinizione del servizio di consulenza in materia di investimenti da offrire alla propria clientela.

Numerosi cambiamenti ed adattamenti dovranno essere messi a punto: l’informativa precontrattuale, i contratti di consulenza, le procedure di valutazione di adeguatezza, le informazioni sui costi ed oneri, le procedure informatiche.

Tutti i cambiamenti dei processi sono tuttavia sottoposti ad una decisione strategica da parte dell’Alta Direzione degli intermediari: quale tipo di consulenza vogliamo offrire ai nostri clienti? La decisione verrà prese tenendo in considerazione alcuni elementi di valutazione:

  • Estensione del servizio di consulenza. Dall’introduzione della prima Direttiva Mifid il servizio di consulenza in materia di investimenti (soprattutto nella versione di base) è stato proposto ed erogato ad un’elevata quota della clientela retail. I dati forniti dalla Consob nel Bollettino Statistico confermano che, nel primo trimestre 2014, la quota degli strumenti finanziari in custodia presso gli intermediari italiani e oggetto del servizio di consulenza era del 66,9%.
  • Valutazione di adeguatezza. Nel “Consumer Market Study on Advice within the Area of Retail Investment Services” preparato da Synovate per la Commissione Europea nel 2011, mediante un sondaggio effettuato sul servizio di consulenza alla clientela retail nei diversi

poneva in rilievo che in Italia vi era la maggiore proporzione di raccomandazioni di investimento su strumenti finanziari “adeguate”, circa il 65% contro una media europea vicina al 30%.

  • Architettura aperta. L’Italia è uno dei paesi europei ad avere adottato con maggiore convinzione il modello dell’architettura aperta nel collocamento dei prodotti finanziari e nel servizio di consulenza. In particolare nelle reti di promotori finanziari il collocamento di prodotti del risparmio gestito “di terzi” è di poco inferiore al 30%.
  • Il futuro della regolamentazione. Il divieto di applicare un sistema di remunerazione basato sulle retrocessioni delle commissioni, pur essendo limitato alla sola modalità della consulenza indipendente, trova riscontro sempre maggiore nelle regolamentazioni nazionali di alcuni paesi europei e potrebbe in futuro estendersi.

Questi motivi dovrebbero, a mio avviso, indurre la maggioranza degli intermediari italiani alla decisione di adottare il modello della consulenza finanziaria indipendente, lasciando alla modalità di consulenza non indipendente un ruolo residuale.

Infatti il sistema degli intermediari italiani, che ha già fatto molto per applicare la regolamentazione Mifid sulla consulenza (anche grazie al supporto delle Autorità di Vigilanza), si trova in una condizione migliore, rispetto ad altri paesi europei, per fare un ulteriore passo avanti, adottando un modello di servizio di qualità e riducendo i conflitti di interesse.

La necessaria revisione del sistema di remunerazione, ad oggi in gran parte strutturato sulle commissioni, rappresenta certamente un ostacolo da superare che tuttavia non deve essere l’elemento determinante nella scelta del modello di servizio da adottare.

Si dovranno quindi individuare, anche mediante un confronto con le Autorità di Vigilanza, forme di remunerazione del servizio di consulenza che, pur nel rispetto della disciplina comunitaria, consentano una transizione progressiva al nuovo sistema, come del resto è avvenuto anche nel Regno Unito dopo l’entrata in vigore della Retail and Distribution Review.

Infine, poiché il pagamento diretto di una parcella per il servizio di consulenza potrebbe risultare troppo oneroso per i clienti di minore dimensione patrimoniale, si renderà opportuno individuare delle modalità di pagamento che consentano anche a questa classe di clientela di beneficiare del servizio di consulenza su base indipendente.