L’invasione dell’Ucraina sta determinando un radicale cambio di scenario. In senso decisamente sfavorevole per tutte le banche ma soprattutto per i due gruppi leader, Intesa e UniCredit
I positivi risultati ottenuti dalla campagna di vaccinazione nel contenimento del Covid e una congiuntura produttiva più vivace delle attese avevano fatto ipotizzare una diffusa e sostenibile ripresa economica. L’invasione dell’Ucraina, invece, ha determinato un repentino cambio di scenario. Ai morti e al congelamento delle relazioni economico-sociali causati dal Covid sono seguiti i morti e le distruzioni prodotti dalle bombe, mai così vicine al cuore dell’Europa dalla Seconda Guerra Mondiale (se si escludono i conflitti in Jugoslavia negli anni ‘90).
Il recupero economico rispetto alla situazione pre-pandemia risultava nell’eurozona alla fine del 2021 sostanzialmente completato, con solo la Spagna in ritardo. Nell’arco di poche settimane la prospettiva è drasticamente cambiata, con un rapido oscuramento del brillante rimbalzo del 2021 (crescita media eurozona sopra il 5%), seppure con un rallentamento nell’ultimo trimestre. Illustrando (10 marzo) le decisioni del suo Consiglio Direttivo, la Bce ha comunicato di aver affiancato alla previsione base (+3,7% nel 2022, +2,8% nel 2023) una previsione moderatamente sfavorevole (adverse, +2,5% nel 2022, +2,7% nel 2023) ed una decisamente negativa (severe, +2,3% nel 2022 e nel 2023). Il raffreddamento della dinamica economica si accompagnerebbe nell’anno in corso ad una impennata dei prezzi: +5,1% nello scenario base, +5,9% in quello adverse per superare il 7% in quello severe.
Queste previsioni vanno lette con una cautela superiore all’ordinario. Al loro interno s’intravedono tre messaggi chiari, largamente condivisibili. Il primo è che da un quadro dominato da una crescente certezza (uscita dalla pandemia) si è passati ad una situazione di profonda incertezza (per il conflitto in atto è molto difficile sia posizionarne la fine sia le conseguenze, per le parti direttamente in causa e per gli altri attori dello scenario).
Il secondo messaggio è che alla gestione di questa difficile congiuntura si dovrà provvedere senza poter fare molto affidamento sulla politica monetaria perché da un lato già molto accomodante, dall’altro lato chiamata a mutare di tono per spegnere l’inflazione. L’ultimo messaggio è che la guerra e le connesse sanzioni economiche hanno accresciuto le incrinature del mercato globale già evidenziatesi nella fase della pandemia (ma anche prima) lasciando intravedere un arretramento verso una regionalizzazione degli scambi e intaccando anche il più globale dei circuiti, quello finanziario.
Netto il mutamento di clima anche nello specifico italiano. Dopo aver chiuso il 2021 con un rimbalzo record (+6,6%) si era ipotizzato (ottobre 2021) un rallentamento al 4,7% per l’anno in corso, stima che la Banca d’Italia a inizio febbraio (Congresso ASSIOM FOREX) ha ridimensionato al 4% e che il governo posiziona ora al di sotto del 3% (Documento di Economia e Finanza). Stime preliminari suggeriscono che la crescita congiunturale (t/t) del primo trimestre dell’anno potrebbe essere negativa. Parallelamente, la dinamica dei prezzi ha conosciuto un’esplosione (+6,7% il dato provvisorio di marzo) solo di poco inferiore al dato medio europeo.
Come considerare questi sconvolgimenti dal punto di osservazione delle banche? In una situazione così in movimento sarebbe azzardato andare al di là di qualche riflessione. Un primo dato di cui prendere atto è che l’apporto al conto economico dell’attività d’intermediazione creditizia sarà minore di quanto ipotizzabile solo qualche settimana fa. Il raffreddamento della congiuntura economica determina una revisione al ribasso della previsione sul volume dei prestiti. Inoltre, la riapertura della forbice dei tassi che sarebbe potuta derivare da una correzione al rialzo dei tassi ufficiali è probabilmente rimandata (difficile stabilire di quanto in senso sia temporale che quantitativo).
Ad una svolta restrittiva di politica monetaria sono già approdate sia la Federal Reserve (al rialzo appena deciso ne seguiranno altri entro l’anno) e la Bank of England (tre rialzi da dicembre ad oggi). La Bce procede in maniera più cauta ed è improbabile che adotti provvedimenti di questo segno prima della fine dell’anno. A parte l’articolato ventaglio di posizioni nel Consiglio Direttivo, si deve considerare che la fiammata inflazionistica trae origine negli Stati Uniti prevalentemente dal lato della domanda mentre in Europa è alimentata in misura decisiva dal rincaro dei prodotti energetici e di altri componenti produttivi.
È poi ragionevole attendersi che lo sfavorevole cambio di scenario verificatosi da metà febbraio accresca il rischio di credito. Russia e Ucraina non sono per le imprese italiane mercati di sbocco particolarmente rilevanti (9-10 mld l’anno) ma la declinazione settore/territorio ha già evidenziato situazioni con contrazione dei ricavi a doppia cifra. Questa volta, comunque, sono soprattutto gli effetti indiretti quelli che potrebbero destabilizzare un ampio numero di imprese (ad esempio, quelle dei settori ad alto assorbimento di energia).
Nel complesso, per quanto riguarda l’intermediazione creditizia le banche sono passate da una scenario reddituale favorevole (crescita apprezzabile del volume dei prestiti + riposizionamento verso l’alto dei tassi attivi) ad una prospettiva molto più grigia (nel migliore dei casi, solo contenute variazioni dell’ammontare dei prestiti e della forbice dei tassi), con l’aggiunta di un deterioramento della qualità del portafoglio prestiti.
Probabile, inoltre, che si indebolisca il flusso commissionale riconducibile alla gestione del risparmio. L’incertezza prodotta dal conflitto e quella associabile alla risposta dei governi (dalle sanzioni alla possibile manovra dei tassi) accrescono la volatilità dei mercati finanziari, situazione che induce molte categorie di investitori ad accrescere la preferenza per la liquidità.
Nell’insieme appare improbabile che le banche possano riproporre nel 2022 i brillanti consuntivi dello scorso anno. Rispetto al 10 febbraio (massimo relativo più vicino all’inizio delle ostilità) i titoli delle banche italiane risultano (1 aprile) ridimensionati in media del 27%, quasi 4 volte il ripiegamento dell’indice generale. Nelle stesso periodo l’indice delle maggiori banche europee (Euro Stoxx Banks) risulta diminuito del 20%. All’origine di questa sfavorevole differenza la flessione dei due gruppi leader, Intesa (-28%) e soprattutto UniCredit (-37%), gruppi più penalizzati per la loro significativa esposizione a Russia e Ucraina.
A poco più di un mese dall’inizio dell’invasione il censimento dell’esposizione delle banche dell’eurozona nei confronti di Russia e Ucraina porta ad un totale di 95-100 mld di euro, concentrati in 5 banche: un quarto circa di competenza di Raiffeisen Bank International (Austria); poco meno di 20 mld attribuibili alla francese Société Générale; UniCredit e Intesa avrebbero un’esposizione complessiva di circa 20 mld; ING (Paesi Bassi), infine, ha comunicato un’esposizione di circa 7 mld verso i due paesi belligeranti.
Secondo alcune elaborazioni la riduzione del rapporto patrimoniale CET1 (Common Equity Tier 1) di UniCredit e Intesa sarebbe nell’ipotesi peggiore prossima, rispettivamente, a 200 e 150 punti base. Rispetto ad un minimo regolamentare del 9% circa, alla fine del 2021 entrambi i gruppi erano sopra il 15%. Un impatto, quindi, decisamente importante ma comunque gestibile.
Sulla base di questi dati c’è chi ritiene che la flessione della quotazione dei due gruppi sia andata al di là del dovuto (overshooting). Chi scrive consiglia cautela per almeno due ordini di considerazioni. La prima è che la storia della comunicazione aziendale è ricca di esempi in cui le vicende negative sono comunicate “a rate”. In secondo luogo, si devono considerare le inevitabili ripercussioni strategiche. La caduta differenziata dei titoli, infatti, mette in discussione ipotesi di aggregazione che in Italia negli ultimi anni sono quasi sempre avvenute attraverso scambi di titoli (carta contro carta). A questo si deve necessariamente aggiungere che un processo di aggregazione può essere preso in considerazione da un’entità in salute, non da chi è costretto ad ammettere perdite significative. Ne derivano conseguenze soprattutto per UniCredit, meno per Intesa, concentrata nel rendere effettiva l’integrazione di UBI.