Con tremila miliardi di stock e 100 miliardi di interessi da pagare ogni anno, il debito pubblico è il grande problema del paese. Ne inibisce la crescita e blocca ogni soluzione di miglioramento sociale. Ecco una proposta diretta a tutte le forze politiche
Non c’è dubbio che il debito pubblico rappresenti il principale vulnus del nostro Paese.
Oramai abbiamo superato la soglia psicologica del 3.000 miliardi di euro di stock e ci avviciniamo ai 100 miliardi di spesa annua dovuta per gli interessi.
La Fondazione Ave Verum, che ho fondato alcuni anni fa con la duplice finalità da un lato di sostenere i meno abbienti e dall’altro di condurre approfondimenti socio economici per una maggiore sostenibilità, ha promosso e sostenuto con determinazione in questo secondo solco, in partnership con l’Università Luiss Guido Carli e con il contributo di numerosi economisti che hanno condiviso l’utilità dell’iniziativa, il libro divulgativo “Nelle tasche degli italiani” – il Debito Pubblico spiegato bene, come funziona, come liberarcene (Newton Compton, 2024, Roma).
Nel libro, gli autori, guidati dal Prof Giorgio Di Giorgio, Direttore del CASMEF e Ordinario di Teoria e Politica Monetaria alla Luiss, spiegano con un linguaggio accessibile a tutti perché il tema del debito pubblico è “il” tema del Paese. Si inizia anche a delineare alcune ipotesi per affrontarlo.
In questi ultimi mesi, nei quali abbiamo divulgato il più possibile l’iniziativa con interviste televisive, sui giornali e in convegni che abbiamo tenuto nelle principali città italiane (a Roma alla Luiss, al Museo del Risparmio di Torino, alla Camera di Commercio di Genova, alla Bocconi di Milano, solo per citare i più recenti) mi sono sempre più convinto che ci sia bisogno di un “Patto per il Paese” dedicato a questo tema, perché il fenomeno del debito pubblico ci riguarda e coinvolge (alias travolge) tutti: aziende, giovani, anziani, di destra, di centro, di sinistra, malati, pensionati, lavoratori e così via.
Tutti, ed in termini oramai non più sostenibili.
Abbiamo inviato il libro ai parlamentari, al Presidente della Repubblica e alla Premier, nella speranza che si metta in movimento qualcosa di concreto.
Il Presidente Matterella, all’apertura del convegno di Cernobbio di quest’anno, ha pronunciato parole molto nette dichiarando che il debito pubblico va “abbattuto”.
Il verbo “abbattere” non è casuale, ma riflette la drammaticità del fenomeno e fa il paio con quanto da noi realizzato al fine di rendere edotto il maggior numero di cittadini sulla ineluttabilità della riduzione del debito, iniziando dal rapporto debito-Pil, ma anche e soprattutto con riguardo agli interessi annuali da pagare sul debito e, auspicabilmente e con la necessaria gradualità, allo stesso ammontare complessivo del debito.
Fino ad oggi, la classe politica, rivolta per lo più al proprio bacino elettorale e non al Paese intero, con iniziative spesso propagandistiche, non ha fornito le necessarie risposte. Di conseguenza, lo stock del debito pubblico ha superato i 3.000 miliardi di euro.
Ma come “liberarcene”, meglio: come iniziare ad affrontare il tema e cosa intendo per “Patto per il Paese”?
Intendo che le forze politiche, di centro, di destra e di sinistra, insieme alle unioni sindacali dei lavoratori e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, alle parti sociali, ai rappresentanti delle principali Istituzioni, alle migliori menti del Paese, dovrebbero dare vita ad un “Gabinetto” stabile che abbia come obiettivo un accordo su politiche bipartisan finalizzate al controllo e alla riduzione del debito, liberando risorse per tematiche improcrastinabili quali il rafforzamento del welfare, ad iniziare dalla sanità, l’investimento nella scuola e nell’università, il sostegno alla cultura e alla ricerca, il sostegno alle famiglie e alla natalità, il sostegno al mondo del lavoro, anche per frenare l’imponente flusso migratorio che vede coinvolti i nostri giovani.
Il libro, al quale hanno offerto il proprio contributo numerosi economisti (che sento di dover ringraziare anche in questa occasione: gli autori Giorgio di Giorgio, Alessandro Pandimiglio, Guido Traficante e i contributori o discussant Elsa Fornero, Lilia Cavallari, Paola Profeta, Giampaolo Galli, Stefano Micossi, Gustavo Piga, Alessandra Staderini, Ottavio Ricchi e Federico Arcelli), indica nella sua parte finale alcune “ricette” generali, ma non si spinge a tracciare una o più strade univoche e condivise, in termini di proposte concrete di policy, che a mio giudizio è l’obiettivo da perseguire.
Credo che il primo passo debba essere quello di una consapevolezza diffusa della improcrastinabile necessità di riduzione del rapporto debito-pil che, come afferma Giorgio Di Giorgio nel libro, potrà avvenire solo gradualmente, armandosi di una ritrovata serietà e stabilità, e, aggiungo io, di un piano condiviso a livello nazionale.
Esistono, nell’ambito della questione del debito pubblico, due problemi fondamentali.
Il primo è dato dalla montagna degli interessi annuali che lo Stato deve pagare sul debito (prossimi ai 100 miliardi di euro all’anno ovvero pari a circa 3 manovre finanziarie impegnative), che sottrae ogni anno ingentissime risorse ad altre componenti della spesa pubblica per sostenere politiche economiche e sociali necessarie ed utili al paese; il secondo, dall’enorme ammontare dello stock del debito, che ha superato i 3.000 miliardi di euro e che espone, dovendolo rifinanziare, al rischio di fragilità qualora i tassi di interesse dovessero aumentare. Il rischio di un eventuale criticità di tenuta finanziaria del debito è esperienza che abbiamo già vissuto in passato, nel 1992 e nel 2011, e che abbiamo risolto solo grazie alla prontezza di due governi “tecnici” illuminati: i governi Amato e Monti.
Partiamo dal primo problema: gli interessi annuali sul debito.
Nessuno lo dice, ma questo è il vero problema.
Tutti parlano di necessità di risorse per la sanità, ad esempio, che non funziona più come un tempo e che richiede oggettivi urgenti ed imponenti investimenti, nell’ordine di varie decine di miliardi di euro.
Ma nessuno dice dove trovare le risorse, semplicemente perché non ce ne sono: troppe sono destinate agli interessi sul debito pubblico.
Così, nel 2024, ci si è accontentati di uno stanziamento addizionale per la sanità di soli 3 miliardi a fronte di una manovra di 30 miliardi di cui 20 miliardi “a deficit” (alias incrementando il debito pubblico di ulteriori 20 miliardi di euro), non risolvendo in alcun modo il problema della sanità e creando maggiore debito pubblico che è il contrario dell’obiettivo che dovremmo porci con urgenza.
Si parla di salari reali bloccati da trent’anni, ma nessuno indica dove trovare le risorse. E così via.
Inutile illudersi: si tratta di politiche strozzate, senza una visione utile per il Paese.
Nessuno dei problemi sul tavolo si risolve: denatalità, impoverimento della classe media, sacche di povertà assoluta oramai vicine al 10% della popolazione, crisi delle imprese, crisi del welfare, crisi dei giovani, dei lavoratori: è un vivacchiare, un sopravvivere.
Ecco perché il “Patto per il Paese” è necessario.
Ci troviamo in una fase storica che non esito a definire un secondo Risorgimento.
Occorre la spinta di allora, la visione politica di allora, il sacrificio e il coraggio di allora per voltare pagina.
Il tutto richiede impegni e sacrifici non indifferenti ma i risultati, a fronte di politiche serie, seguirebbero veloci.
Ad esempio, se i mercati percepissero una volontà concreta da parte del Governo di combattere e ridurre l’enorme evasione fiscale, premierebbero da subito il Paese, riducendo ulteriormente lo spread, rendendo meno onerosi gli interessi sul debito per importi rilevantissimi.
Queste disponibilità potrebbero essere subito impiegate per potenziare le politiche economiche e sociali necessarie.
Lo spread, in questi ultimi due anni, grazie alla difesa dei conti pubblici da parte dell’attuale Ministro dell’Economia, si è ridotto in modo tangibile, ma restano margini di ulteriore riduzione e temo che solo una politica di “unità nazionale” (il “Gabinetto”) con lo sguardo rivolto al concreto obiettivo di riduzione del debito pubblico possa essere utile a questo scopo.
Il secondo obiettivo da raggiungere, gradualmente, è quello di bloccare la crescita, anche assoluta, del debito.
Non possiamo più scommettere solo su rilevanti aumenti del PIL: troppe variabili esogene lo compromettono da tempo, ad iniziare dalle guerre, dalla crisi energetica, dalla crisi climatica, ora dalle minacce di dazi: ci sarà sempre una ragione che frenerà il PIL e quindi occorre creare i presupposti veri per una efficace riduzione del rapporto debito pubblico – Pil anche agendo sul numeratore.
Il nostro Paese vanta da molto tempo un avanzo primario, ovvero le entrate fiscali e tributarie nel Paese sono superiori alla Spesa Pubblica al netto degli interessi sul debito.
Se si riuscisse nell’intento di diminuire la spesa per interessi sul debito, e si riuscisse davvero, come esempio di concreta iniziativa, a potenziare la lotta all’evasione fiscale recuperando ulteriore gettito da utilizzare in parte per investimenti infrastrutturali e politiche sociali davvero utili, gradualmente si potrebbe ridurre prima e magari arrestare poi la crescita del debito nominale. In prospettiva, in anni felici, anche una sua riduzione sarebbe raggiungibile, attraverso il conseguimento di un avanzo complessivo (non solo primario) di bilancio.
Ma serve una visione molto forte e una volontà politica ferrea, piena determinazione, spirito di sacrificio, serietà da parte di tutti, in primis da parte del Governo, che dovrà bandire promesse e regalie elettorali, e una ritrovata unità nazionale su questo fondamentale ed ineludibile obiettivo.
È questo il “Patto per il Paese” che propongo e chiedo come cittadino.