BEN BERNANKE, DOUGLAS DIAMOND E PHILIP DYBVIG PREMIATI DALL'ACCADEMIA SVEDESE
Un Nobel per affrontare le crisi

Il contributo dei tre nuovi premi Nobel per l'economia ha migliorato nel concreto la nostra capacità di comprendere i fattori determinanti delle crisi finanziarie e di predisporre opportuni strumenti di rimedio e di intervento a beneficio delle autorità di politica monetaria, di regolamentazione e vigilanza

Giorgio Di Giorgio
g-di-giorgio

Il Premio Nobel per l’economia assegnato a Ben Bernanke, Douglas Diamond e Philip Dybvig premia tre studiosi che hanno contribuito a migliorare la nostra comprensione in merito alle cause, alle dinamiche endogene e alle possibili risposte di policy relative alle crisi bancarie e finanziarie. 

Il più noto, all’esterno degli ambienti accademici, è ovviamente Bernanke (nella foto), che è stato alla guida della Federal Reserve dal 2006 al 2014, e ha dovuto gestire uno dei momenti più difficili della recente storia finanziaria mondiale: quello della crisi innescata dai mutui subprime, che portò al fallimento di Lehman Brothers e al salvataggio di altri colossi bancari e finanziari, quali Bear Sterns,  AIG, Merril Lynch, Freddie Mac, Fannie Mae ed altri.

Prima di cimentarsi come banchiere centrale, Bernanke aveva dato contributi accademici di grande rilievo su diversi temi. Il lavoro che probabilmente gli è valso il premio è relativo alla rilettura della spirale perniciosa deflazionistica che può essere provocata da una grave crisi economica e finanziaria, come quella del 1929.  Bernanke propone l’approfondimento delle originali intuizioni a riguardo, dovute ad Irving Fisher, un economista della prima metà del secolo scorso noto anche per avere formalizzato nell’“equazione degli scambi” la famosa teoria quantitativa della moneta, in cui si suggerisce un nesso di causa effetto tra variazioni della quantità di moneta in circolazione e variazioni del livello generale dei prezzi coerente con la successiva visione “monetarista” dell’inflazione. 

La prolungata stagnazione economica degli anni 30 e il fortissimo aumento della disoccupazione, che nel giro di quattro anni passò negli USA dal 4% a valori superiori al 20%, porta Bernanke ad individuare nel funzionamento del sistema finanziario un meccanismo fondamentale che non si deve mai lasciare inceppare. Nelle crisi, le banche centrali devono saper garantire “ossigeno” agli operatori e ai mercati finanziari, intervenendo prontamente a fornire tutta la liquidità necessaria per mantenere il sistema in funzione. E la pronta e massiccia risposta delle banche centrali alla crisi dei subprime, promossa appunto dalla FED a guida Bernanke, è stata probabilmente la causa principale per cui non abbiamo rivissuto dopo il 2008 una seconda grande depressione.  

L’analisi accademica di Bernanke ha poi approfondito molti altri temi correlati. Dal ruolo dei fattori finanziari come acceleratori del ciclo economico in modelli caratterizzati da imperfezioni e asimmetrie nella distribuzione delle informazioni rilevanti per le scelte di consumo e investimento, alle conseguenze che l’interazione tra fattori finanziari e cicli reali determinano ai fini del meccanismo di trasmissione della politica monetaria.

Bernanke è stato uno dei pionieri e dei maggiori contributori al filone di ricerca sul canale “creditizio” di trasmissione della politica monetaria, che amplia in modo straordinario la nostra comprensione di come un determinato impulso di politica monetaria produca effetti sulle più rilevanti grandezze macroeconomiche. Il canale creditizio consente di spiegare come lo stesso impulso di policy possa avere effetti eterogenei sia sugli agenti economici che in diversi paesi (a seconda delle caratteristiche del sistema finanziario di un paese e della sua struttura prevalente in termini di impresa). Il contributo di Bernanke, in questo ambito, è stato notevole anche da un punto di vista metodologico nell’analisi empirica della politica monetaria: a fine anni ’90 ha proposto di utilizzare la conoscenza dell’assetto istituzionale ed operativo della banca centrale di un paese al fine di identificare correttamente uno “shock” puro di politica monetaria, per analizzarne gli effetti attraverso simulazioni rigorose.  

Con il passare degli anni, l’interesse teorico ed accademico diventa sempre più strettamente collegato alle sfide concrete di policy che le banche centrali devono affrontare, e l’approccio preferito di Bernanke alla definizione di un corretto regime di politica monetaria è decisamente quello dell’inflation targeting, di cui riuscirà, da Chairman della FED, a introdurre nel gennaio 2012 una versione coerente con il cosiddetto “dual mandate” della banca centrale statunitense, pubblicando uno Statement ufficiale sugli obiettivi di medio-lungo periodo della politica monetaria, che per la prima volta enuncia esplicitamente in termini numerici l’obiettivo di price stability. 

A Douglas Diamond si devono invece i due modelli esistenti più noti in grado di spiegare come endogenamente nascano e si sviluppino intermediari bancari e finanziari. E, ovviamente, anche di spiegare come e perché tali intermediari – e di conseguenza il sistema in cui operano in modo fortemente interconnesso – possano entrare in crisi.

Uno studio pubblicato nel 1984 enfatizzava il ruolo della distribuzione asimmetrica delle informazioni rilevanti sui progetti di investimento, come determinante della convenienza di centralizzarne il finanziamento presso intermediari specializzati, in grado di analizzare e controllare gli stessi. Le banche assumono il ruolo di “controllori” (o “agenti”)dei prenditori di fondi (le imprese principalmente) su delega dei finanziatori esterni (i depositanti, o “principals”). Gli impieghi bancari vengono visti come attività “speciale” all’interno del sistema economico, proprio perché fornita da specialisti efficienti nell’analisi e nel controllo dei progetti.

Ma Diamond non trascura neanche la funzione “monetaria” delle banche stesse, e proprio insieme a Dybvig elabora nello stesso periodo un modello che enfatizza quest’ultima. La liquidità dei depositi bancari offre un servizio “assicurativo” importante rispetto a necessità di consumo che risultano difficili da prevedere perfettamente da parte dei risparmiatori. Poiché tuttavia la liquidità dei depositi (rimborsabili a vista) si coniuga nelle banche con impieghi a medio-lungo termine, un elemento di intrinseca instabilità può emergere e produrre “corse agli sportelli” anche quando non giustificate dai fondamentali, ma solo a causa di profezie che si autoavverano o “self fulfilling prophecies”. Da questo studio emerge l’importanza di includere nella rete di protezione del sistema finanziario una solida ed estesa assicurazione dei depositi bancari, in grado di ridurre l’instabilità endemica del sistema bancario.

In effetti, molte riforme istituzionali sono state realizzate negli ultimi 30 anni a livello internazionale per introdurre, in paesi che ne erano privi, schemi espliciti di protezione dei depositanti come uno degli elementi principali della rete complessiva posta a presidio della stabilità finanziaria. Partendo da modelli teorici eleganti e raffinati, il contributo dei tre nuovi premi Nobel ha avuto il merito di migliorare fortemente nel concreto la nostra capacità di comprendere i fattori determinanti delle crisi finanziarie e di predisporre opportuni strumenti di rimedio e di intervento a beneficio delle autorità di  politica monetaria e di regolamentazione e vigilanza.