Claudia Goldin è pioniera nel porre la questione dei divari di genere non come tema “femminista”, non solo come questione di diritti o pari opportunità, ma come tema economico centrale. Perché la mancata partecipazione delle donne al mercato del lavoro crea una perdita di talenti, un’allocazione sub-ottimale del lavoro, una riduzione degli incentivi per la metà della popolazione
Il Premio Nobel per l’Economia 2023 è stato assegnato a Claudia Goldin per i suoi studi sul lavoro femminile. Prima professoressa di Economia a Harvard, Goldin è la pioniera dell’economia di genere, che studia le differenze tra uomini e donne come elemento fondamentale dell’economia.
Comprendere la cause profonde e persistenti delle differenze di genere è il passaggio necessario per promuovere misure e azioni per la loro riduzione. Goldin ha dedicato la sua intera vita professionale a questo, utilizzando l’analisi storica e economica con rigore e precisione di dettagli, tanto da definire sé stessa una “economista detective”.
Le differenze di genere sono una delle dimensioni più importanti di disuguaglianza nel mondo. Globalmente, l’occupazione femminile è ferma a circa il 50% (contro l’80% di quella maschile), anche nei paesi sviluppati il differenziale salariale resta elevato (circa il 13% nella media dei paesi OCSE), il soffitto di vetro, ovvero gli ostacoli che le donne incontrano per raggiungere posizioni di vertice nelle imprese e nelle istituzioni- è ancora una realtà significativa.
Questi divari di genere non sono però solo un problema di disuguaglianza, ma anche di efficienza del sistema economico. Goldin è pioniera nel porre la questione non come tema “femminista”, non solo come questione di diritti o pari opportunità, ma come tema economico centrale. Perché la mancata partecipazione delle donne al mercato del lavoro crea una perdita di talenti, un’allocazione sub-ottimale del lavoro, una riduzione degli incentivi per la metà della popolazione. E anche una perdita di PIL. L’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (EIGE) ha recentemente stimato un possibile aumento fino al 12% di PIL in Italia se il lavoro femminile raggiungesse i valori maschili – ed è solo una delle tante stime ormai esistenti. E ovviamente i guadagni vanno ben oltre il PIL.
In un momento storico di bassa crescita economica, di guerra dei talenti, di crescenti disuguaglianze, accentuate dalla pandemia, di sfide della sostenibilità, il Nobel a Claudia Goldin ha un significato che va oltre il riconoscimento alla studiosa. Ci porta a pensare di ripartire dalle differenze di genere per pensare a un’economia più inclusiva, sostenibile e allo stesso tempo più efficiente.
Quali i contributi principali che hanno valso il Nobel a Claudia Goldin? Nel suo approccio storico, la studiosa ricostruisce 200 anni di storia degli Stati Uniti per mostrare che l’evoluzione del lavoro femminile nel tempo ha seguito una curva a U: le donne lavoravano di più nel periodo pre-industriale, poi l’occupazione femminile si è ridotta nel periodo dell’industrializzazione perché era difficile per le donne sposate combinare lavoro e famiglia, poi è risalita con l’espansione del settore dei servizi. Fondamentale è stata la tecnologia, in particolare l’introduzione della pillola anticoncezionale che ha permesso alle donne di pianificare le scelte di fecondità adattandole alle scelte di istruzione e lavoro.
La “rivoluzione silenziosa” – così definita da Goldin nella celebre lezione tenuta all’American Economic Association nel 2006 – ovvero la trasformazione del ruolo delle donne nell’economia e società, è stata la trasformazione più significativa della storia dell’ultimo secolo. Importante il ruolo delle aspettative: quando le donne investivano in istruzione aspettandosi di smettere di lavorare con il matrimonio o la nascita dei figli, come succedeva alle loro madri, gli investimenti erano di breve periodo.
La rivoluzione inizia quando, grazie al cambiamento tecnologico e strutturale dell’economia, per le donne investire in istruzione si associa a un rendimento di lungo periodo, ovvero di lavoro continuo, che va oltre la formazione della famiglia e la nascita dei figli. In questo modo il lavoro diventa parte della loro identità, così come è sempre stato per gli uomini. Di conseguenza, le scelte lavorative delle donne non sono più subalterne a quelle del partner, ma vengono prese insieme nella famiglia. La rivoluzione non è tuttavia del tutto compiuta e i passaggi sono molto lenti, proprio perché basati su aspettative di generazioni, e su cambiamenti che richiedono tempo.
Goldin sottolinea che la maggior parte dei divari di genere sul mercato del lavoro è legata alla penalizzazione delle madri. Alla nascita dei figli la forbice tra lavoro maschile e femminile si allarga e difficilmente ritorna al punto precedente. Possiamo quindi pensare che sia quello un momento cruciale di intervento per limitare l’ampliarsi dei divari di genere. Da qui quello che poi in tanti abbiamo studiato nei vari contesti come possibili soluzioni: condivisione del lavoro di cura tra uomini e donne, attenzione alla gestione della maternità, incentivi al rientro delle madri al lavoro…
L’ultimo capitolo della convergenza tra uomini e donne sul mondo del lavoro sta – sottolinea Goldin- nella flessibilità, ovvero la riduzione dei lavori “greedy”, che sono i lavori avidi di tempo, che richiedono una presenza costante, continua, in orari specifici, con agende imprevedibili, con scarsa sostituzione tra lavoratori di uno stesso tema. Questi sono i lavori che penalizzano le donne, su cui tradizionalmente ricade la maggior parte del carico di cura.
Da un lato dunque una maggiore condivisione tra uomini e donne potrebbe portare a una riduzione di questo svantaggio femminile, dall’altro riorganizzare il lavoro con maggiore flessibilità aiuterebbe a una riduzione del vantaggio maschile. In parte la pandemia potrebbe aver agevolato questi cambiamenti. Si tratta di processi lunghi e complessi, ma i benefici sono così ampi per tutta l’economia, tanto da essere riconosciuti da un premio Nobel.