Il sistema bancario europeo è ancora fortemente frammentato lungo i confini nazionali. È il giudizio di Panetta. E la storia delle OPA recenti lo conferma. Per andare oltre servirebbe un convinto impulso politico
È da tempo condivisa la percezione che il processo di integrazione europea abbia perso slancio. Negli ultimi anni il mondo è molto cambiato e l’Europa deve ripensare un po’ se stessa. Per alcuni è ora in una fase di (temporaneo) stallo, per altri (più numerosi e preoccupati) è entrata in una fase di arretramento. Vale per molte attività, quella bancaria non esclusa.
Nel suo intervento a luglio all’assemblea dell’ABI, il governatore Panetta ha sottolineato come “sullo sviluppo del mercato dei capitali europeo grava soprattutto un’altra debolezza: la frammentazione del sistema finanziario lungo i confini nazionali. Si tratta di un limite profondo e persistente: oggi il grado di integrazione delle piazze finanziarie europee resta paragonabile a quello – relativamente basso – di vent’anni fa”.
Oltre a intermediari finanziari non bancari e investitori istituzionali, di ogni piazza finanziaria sono componente importante le banche. La realtà europea è fortemente bancocentrica ed è quindi soprattutto (ma non solo) alle banche che si riferisce il governatore.
Se si guarda al circuito bancario dei principali paesi europei, si constata come essi siano dominati da pochi (2-3) grandi operatori, con quote di mercato molto rilevanti e quindi limitati spazi di ulteriore crescita in quel contesto. Se invece si assume come riferimento il mercato continentale, il peso dei gruppi maggiori risulta ridotto: le prime cinque banche in Europa e nel Regno Unito detengono solo il 24% degli attivi bancari rispetto al 57% degli Stati Uniti.
Le banche (soprattutto quelle maggiori) hanno quindi forti motivazioni per impegnarsi in fusioni e acquisizioni. Peraltro, hanno completato il rafforzamento patrimoniale, non si vedono nubi particolarmente minacciose all’orizzonte, esiste l’esigenza di un profondo riposizionamento strategico. L’imponente flusso di utili annuali che ancora per qualche tempo si prospetta ha solo due possibili destinazioni: essere trasferito agli azionisti (alti dividendi e/o operazioni di buyback), oppure essere investito (almeno in parte) nella costruzione di nuove, intelligenti aggregazioni.
Negli ultimi anni sono stati decisamente rari gli annunci di nuove aggregazioni bancarie di un qualche rilievo, uno scenario che però sarebbe in rapido cambiamento. Secondo un recente rapporto della società di consulenza Oliver Wyman, tra il 2023 e il 2024 il valore delle acquisizioni e fusioni bancarie in Europa è cresciuto di circa il 20%, trend proseguito anche nella prima parte del 2025 (+47% a/a).
Se si guarda ai valori assoluti si percepisce subito l’effettiva dimensione del fenomeno: il valore delle acquisizioni e fusioni bancarie in Europa è stato pari a 28mld nel 2023, a 33mld nel 2024, a 24mld nel primo quadrimestre del 2025. Si tratterebbe di valori significativi se relativi ad un singolo mercato, poco rilevanti invece quando riferiti al circuito continentale. Per memoria, l’acquisizione di Mediobanca da parte del Monte Paschi ha un valore di di circa 14mld, l’OPA (poi ritirata) di UniCredit su BPM un valore intorno a 10 mld. Comunque lo stesso rapporto di Oliver Wyman segnala che il dato 2024 è inferiore a quello del 2022 e solo ¾ di quello del 2021.
Molto modesto si conferma il flusso di operazioni cross border, prova che la frammentazione lungo i confini nazionali non è solo un dato di fatto ma anche un problema non in via di superamento. Benché non vi siano restrizioni legali, poche banche operano nel mercato di altri Stati membri. All’origine di questo vuoto c’è un nodo irrisolto: “In Europa la semplificazione deve iniziare dall’armonizzazione normativa tra gli Stati membri, evitando che gli operatori attivi su più mercati debbano confrontarsi con regole diverse. Nel settore bancario l’obiettivo deve essere la predisposizione di un corpus normativo coerente a livello europeo, fondato su un “testo unico” valido in tutti i paesi”. La citazione è tratta dalle ultime Considerazioni finali del governatore Panetta, ma sono parole spesso presenti anche negli interventi di molti esponenti ai vertici istituzionali europei.
Sarebbe troppo lungo ricostruire come e perché il corpus normativo in essere rende arduo il completamento di operazioni bancarie cross border, e come e dove bisognerebbe intervenire (le proposte sono molte). Quello che preme qui segnalare è come con preoccupante frequenza un altro fattore tenda ad ostacolare il concretizzarsi di nuove aggregazioni, tanto più (ma non solo) se di natura transfrontaliera: l’intervento dei governi nazionali. Le istituzioni europee sono impegnate a contrastare il fenomeno ma per adesso riescono solo a limitarne qualche effetto.
Come è noto, in Italia nell’arco di meno di un anno sono state proposte numerose OPAs, tutte nella forma carta-contro-carta con un’integrazione cash nella fase di rilancio finale. Di esse tre si sono concluse non uscendo dai binari consolidati nella prassi (BPM Vita su Anima; Banca Ifis su Illimity Bank; Bper su Popolare Sondrio), sviluppo che si può prevedere anche per una quarta operazione, l’ultima avviata (Banca CF su Banca Sistema). Si tratta di operazioni di valore relativamente contenuto, nell’insieme fisiologiche al funzionamento del sistema.
Un’altra OPA (UniCredit su Banco BPM) è stata ritirata a luglio con la motivazione che le prescrizioni governative del Golden Power la rendono incerta e/o non più conveniente. La contestazione in sede giudiziale (TAR) ha portato ad una limatura di queste prescrizioni. Molto più profondi sono i rilievi espressi dalla Commissione Europea. Se l’avvenuto ritiro della proposta non determina effetti a breve termine, conseguenze a medio termine sono invece probabili, e non solo per il caso italiano. Secondo alcune anticipazioni, la Commissione Europea boccia la decisione italiana e non esclude l’apertura della procedura d’infrazione delle norme europee.
Tralasciando i dettagli, a motivare le prescrizioni del Golden Power è stata soprattutto l’evidente volontà dell’attuale governo di agire come king maker, lo stesso spirito che ha ispirato il visibile sostegno espresso all’altra OPA sul tappeto (quella di MPS su Mediobanca), operazione per la quale non è stata formulata alcuna prescrizione e che si è conclusa con successo a fine settembre.
All’inizio del tentativo di OPA su BPM, autorevoli esponenti del governo hanno espresso una aperta contrarietà qualificando UniCredit un gruppo straniero, circostanza non vera essendo la sua sede legale a Milano. Sotto il profilo dell’azionariato è una public company, controllata per oltre l’85% da investitori istituzionali, per la maggioranza non residenti nei confini nazionali, situazione riscontrabile per la quasi totalità dei maggiori gruppi bancari europei.
UniCredit è certamente il gruppo bancario italiano con la più forte proiezione internazionale, ma al suo interno la Divisione Italia è di gran lunga la più importante (nella prima metà del 2025, 45% dei ricavi totali e 36% dei prestiti a clientela). Peraltro, in parallelo al rifiuto dell’offerta di UniCredit si è assistito al rafforzamento in BPM del gruppo francese Crédit Agricole (ora poco sotto il 20% ma avendo già richiesto alla Bce l’autorizzazione per salire al 30%, limite oltre il quale scatta l’obbligo di OPA).
Anche in Germania il governo ritiene opportuno intervenire per influenzare operazioni di M&A bancarie. Ne è evidente prova il caso UniCredit-Commerzbank. Esponenti dell’esecutivo tedesco hanno manifestato spesso e senza spazio di trattativa la loro opposizione al tentativo di scalata di UniCredit, ora al 26%, con un ulteriore 3% detenuto sotto forma di derivati. Poche settimane dopo la sua nomina, il capo del governo, Mertz, ha definito quella di UniCredit un’offerta “non amichevole e non coordinata”. Il proseguimento di questa operazione si presenta di conseguenza molto incerto.
Un altro anello di questa sequenza lo si ritrova in Spagna. Lanciata nell’aprile 2024 l’Opa del BBVA sul Banco Sabadell è stata sin dall’inizio apertamente osteggiata dal governo spagnolo che a giugno 2025 l’ha autorizzata a condizione che per tre anni (prorogabili per altri due) le due banche mantengano distinte personalità giuridica, patrimonio e autonomia gestionale. Dissentendo da queste prescrizioni, a metà luglio la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione contro la Spagna. Ad agosto, pur confermando la proposta, il BBVA ha presentato ricorso alla Corte Suprema spagnola contro le prescrizioni governative. L’operazione è in questi giorni alle battute finali, con esito non pronosticabile.
Per completare questa rapida ricognizione del mercato delle M&A in Europa, si deve anche evidenziare che un paio di proposte cross border di un certo rilievo non sembrano aver trovato significativi ostacoli.
Nella prima di queste operazioni il BPCE (Banque Populaire Caisse d’Epargne, terzo gruppo francese per attivo, controlla anche Natixis) ha acquisito il controllo (75%) di Novo Banco, il 4° gruppo portoghese. Il restante 25% rimane in mani pubbliche (Fondo di risoluzione Nazionale). Valutazione della banca 6,4mld. Il Novo Banco è nato nel 2014 dalle ceneri del Banco Espírito Santo, di cui ha rilevato la parte sana. Nella seconda operazione UniCredit ha portato al 26% la sua partecipazione in Alpha Bank, seconda banca della Grecia, scalata finora accolta con favore dalle autorità di governo.
Caratteristica di queste operazioni è che l’acquirente è un gruppo con sede in uno dei principali paesi del vecchio continente mentre il gruppo di cui si acquisisce il controllo opera in uno dei paesi del Sud Europa. È da sottolineare che la differenza con le precedenti operazioni non è l’assenza di interferenze governative ma il loro segno favorevole.
Infine, de segnalare in controtendenza la recente iniziativa di 9 importanti gruppi di 8 paesi europei (UniCredit e Banca Sella, tra loro) di combinare le forze per mettere a punto una stablecoin in euro.
Nell’insieme, pienamente fondata risulta la preoccupazione del governatore Panetta e di gran parte dei vertici europei sulla perdurante frammentazione del sistema bancario lungo i confini nazionali. Lo sviluppo transfrontaliero nella dimensione finanziaria europea si scontra peraltro anche con altre mancate armonizzazioni, quali quelle nel campo delle normative societarie e fallimentari e dei regimi fiscali. In definitiva, per arrivare a intravedere un mercato bancario e finanziario europeo sarebbe necessario un forte e convinto impulso politico che oggi purtroppo non si vede.