Osservatorio Banche
Un fiume di liquidità in cerca di impiego

Secondo le rilevazioni della Bce, nell’ultimo giorno di marzo 2021 le banche dell’eurosistema hanno registrato un eccesso di riserve pari a quasi 3.200 miliardi, il doppio di quanto rilevato nella parte finale del 2019. Questo vuol dire un ammontare di raccolta ben più ampio della domanda di impieghi. Che cosa può risvegliare l'uso di questa liquidità nel sistema economico finanziario?

Silvano Carletti
Carletti

In un periodo come l’attuale ricco di difficoltà e di incertezze c’è un problema che nel management bancario raccoglie meno attenzione del passato: il funding. Da tempo, infatti, le banche hanno a disposizione un ammontare di raccolta ben più ampio della domanda di impieghi con cui si confrontano e ad un costo particolarmente contenuto. Tutto fa pensare che questo scenario possa durare a lungo, anche quando l’auspicato risveglio economico post-Covid prenderà vigore.

Alla fine dello scorso febbraio, le istituzioni creditizie dell’area euro registravano nei loro bilanci depositi per 14mila miliardi, dei quali circa 8.500 raccolti presso le famiglie e 3.100  presso le società non finanziarie. La straordinaria crescita di questo aggregato può essere illustrata in molti modi. Uno dei più efficaci è il rapporto tra totale prestiti e totale dei depositi raccolti presso famiglie, imprese e istituzioni finanziarie non bancarie:  da 105,4 a fine 2017 questo rapporto è scivolato a 103,9 a fine 2018 e a 102,1 a fine 2019, per precipitare 96,3 alla fine dello scorso anno (ultimo disponibile). 

Tra i molti aspetti da evidenziare nell’andamento di questo trend, questi tre meritano forse più spazio: lo scoppio della pandemia ha esasperato tendenze già in atto da tempo; a determinare la dinamica del rapporto è stato il crescente differenziale tra la debole crescita del numeratore e l’intenso progredire del denominatore, anche se nell’anno della pandemia in molti paesi l’attività di prestito ha registrato un deciso risveglio; se nel 2018-19 le imprese hanno partecipato alla crescita dei depositi in misura analoga alla loro quota a livello di stock, nell’ultimo anno questo contributo è risultato molto più consistente. 

In Italia il quadro complessivo è simile a quello appena riassunto per l’insieme dell’area euro, ma con tratti ben più accentuati. Il rapporto tra totale prestiti e totale dei depositi del settore privato (definizione che comprende le istituzioni finanziarie non bancarie), dopo aver registrato una flessione di 13,2 punti percentuali tra il 2017 (a 101,7) e il 2019, ha perso altri 5,6 pp nell’anno della pandemia, scendendo ad appena 82,9 (quindi oltre 13 pp al di sotto della media dell’area euro) . 

Anche nel nostro Paese i depositi delle imprese sono cresciuti in misura molto intensa. Il fenomeno si è accentuato nell’ultimo anno con un aumento in valore dei depositi delle società non finanziarie simile a quello delle famiglie (quasi 90 miliardi). 

Nel caso delle famiglie la crescita dei depositi ha una forte motivazione precauzionale, in parallelo a una persistente debolezza dei consumi. Un ruolo importante è stato giocato dal livello decisamente modesto dei rendimenti finanziari prevalente da quasi un decennio, che ha favorito le forme d’investimento a elevata liquidità (depositi bancari su tutti).

Dal lato delle imprese la crescita dei depositi bancari si deve prima di tutto a un indebolimento della propensione all’investimento, fenomeno in Italia più accentuato che altrove. Nell’anno della pandemia la crescita della liquidità è stata accentuata dal doppio impulso proveniente da un lato dal congelamento dei progetti d’investimenti, dall’altro lato da un accesso al credito facilitato dalla messa a disposizione di ampie garanzie statali.  

Il tasso d’interesse riconosciuto sui depositi di famiglie e imprese è da tempo su livelli minimi (sostanzialmente zero sullo stock dei depositi in conto corrente, circa mezzo punto percentuale per i nuovi depositi con vincolo di durata).

A rendere il funding delle banche abbondante e a costo molto contenuto hanno contribuito anche le scelte monetarie della Banca Centrale Europea. Già prima della pandemia  l’autorità europea si è resa molto disponibile al rifinanziamento delle banche con l’obbiettivo di sostenere (nei limiti della politica monetaria) una dinamica economica continentale rivelatasi fragile (ancor più nel nostro Paese). Da molti anni la Bce attiva operazioni di rifinanziamento a lungo termine con pochi vincoli per quanto riguarda le modalità di impiego, a condizioni di particolare favore (tasso d’interesse facilmente negativo), con piena soddisfazione degli importi richiesti.

Secondo le rilevazioni della Bce, nell’ultimo giorno di marzo 2021 le banche dell’eurosistema hanno registrato un eccesso di riserve pari a quasi 3.200 miliardi, il doppio di quanto rilevato nella parte finale del 2019. Dell’importo appena indicato l’ammontare attribuibile alle banche italiane era (fine gennaio) pari a 238 miliardi, anche in questo caso grandezza più che raddoppiata rispetto a fine 2019.

Nella sua informativa giornaliera (https://www.ecb.europa.eu/mopo/liq/html/index.en.html) la Bce integra questa stima con quella più appropriata di liquidità in eccesso. Se l’ammontare di riserve in eccesso delle istituzioni di credito è dato dalla differenza tra giacenza sul conto corrente presso la Bce e ammontare di quanto dovuto per riserva obbligatoria, l’aggregato di liquidità in eccesso tiene conto anche delle giacenze sulla deposit facility (728 miliardi a fine marzo). Tra giacenza sul conto corrente e giacenza sulla deposit facility non esiste da tempo più alcuna differenza (in passato la seconda era remunerata, la prima no). In definitiva, la liquidità in eccesso collettivamente detenuta dalle banche dell’eurosistema è attualmente di poco inferiore a 4mila miliardi. 

Per favorire una reimmissione di questa liquidità nel circuito economico-finanziario la Bce da tempo applica a queste giacenze tassi d’interesse negativi. Il costo per le banche determinato da questo sistema è stato negli ultimi tempi mitigato in due modi.

Il primo è costituito dal sistema premiante ancor più generoso incorporato nelle operazioni di rifinanziamento T-LTRO III; il secondo è, invece, rappresentato dall’adozione di un sistema a due livelli per il trattamento della liquidità in eccesso. Secondo il two-tier system in vigore dall’ottobre 2019, una prima quota di riserve in eccesso (attualmente pari a 6 volte l’ammontare delle riserva obbligatoria) viene trattata in modo analogo alla riserva obbligatoria e remunerata allo 0,0%, mentre la parte restante resta soggetta allo stesso tasso (negativo) applicato alla deposit facility (attualmente -0,50%). Questo sistema elimina per gran parte delle banche l’onere derivante dal mantenimento di un eccesso di liquidità, onere che invece rimane consistente per molte banche di grandi dimensioni (in particolare francesi e tedesche). 

Si deve notare che un numero crescente di istituti di credito replica con la propria clientela questo sistema di trattamento differenziato della liquidità attraverso l’imposizione di un onere sui depositi di rilevante importo delle società non finanziarie. Nel caso italiano (con modalità diverse) da UniCredit, Intesa, Fineco.

Il sistema a due livelli del trattamento della liquidità in eccesso ha in qualche misura alleggerito le pressioni sul conto economico delle banche ma si è rivelato poco efficace nel determinare una più intensa interazione tra circuito bancario e circuito economico. Solo il superamento dei rischi e delle incertezze indotti dalla pandemia potrà avviare un ridimensionamento delle disponibilità liquide di famiglie, imprese e istituzioni creditizie. 

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