Un contributo del presidente dell'Arbitro per le Controversie Finanziarie
All'ACF non arrivano solo i casi di microconflittualità tra risparmiatori e intermediari ma anche controversie che, in assenza dell’Arbitro, sarebbero decise in un’aula di tribunale. Dal questionario di profilatura, all'informativa precontrattuale, alla valutazione di appropriatezza, ecco i fronti più caldi...
Operativo da gennaio 2017, l’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF) ha oramai alle spalle oltre cinque anni di attività. Questo mi induce a delineare, anzitutto, un rapido bilancio dell’attività svolta.
Nel quinquennio 2017/2021 sono pervenuti 8.695 ricorsi da risparmiatori residenti in tutte le regioni d’Italia; segno, questo, di una conoscenza dello strumento oramai radicatasi sul territorio. Alta l’età media, con quasi il 70% dei ricorrenti ultra cinquantacinquenni. Ancora significativo il gap di genere, con oltre 2/3 di ricorrenti uomini, pur intravedendosi apprezzabili segnali di riequilibrio tra le fasce di ricorrenti under 40.
Elevato il valore dei risarcimenti richiesti, con una media di circa 55.000 euro a ricorso, oltre un terzo dei quali oscillanti tra i 50.000 e i 500.000 euro (quest’ultimo limite massimo di competenza ACF). Altrettanto elevati i risarcimenti riconosciuti per i ricorsi (67% dei casi) accolti, con un importo unitario medio superiore ai 30.000 euro, per complessivi 120 milioni di euro, di cui quasi 40 nel solo 2021. La rilevanza economica del contenzioso trattato fa dell’ACF un Adr atipico, a cui sono devoluti non solo i casi di cd. microconflittualità che sono il terreno d’elezione dei sistemi stragiudiziali ma anche controversie che, in assenza dell’Arbitro, sarebbero decise in un’aula di tribunale.
Va evidenziato, poi, che in oltre il 70% dei casi esaminati i ricorrenti hanno optato per l’assistenza di un legale, nonostante il sistema ACF si caratterizzi per il fatto di consentire agli utenti di agire direttamente, in modo del tutto gratuito e senza particolari formalità. Questo dato assume valenza segnaletica delle difficoltà che molti investitori retail incontrano nel tutelare direttamente i propri interessi e, più in generale, del tuttora deficitario livello di alfabetizzazione finanziaria nel nostro Paese.
Al di là dei dati, l’attività dell’Arbitro si sta rivelando preziosa soprattutto perché consente di intercettare le concrete dinamiche relazionali tra clienti ed intermediari, tanto da aver consentito al Collegio di delineare in questi anni numerosi orientamenti di carattere generale, di cui mi limito a richiamare alcuni per le loro implicazioni di carattere generale.
Va detto che il contenzioso sottoposto all’ACF trova radice soprattutto in alcuni snodi del rapporto cliente/intermediario: tra questi, la redazione del questionario di profilatura, l’informativa che deve precedere l’investimento, la valutazione di adeguatezza/appropriatezza.
Il questionario di profilatura è la carta d’identità del risparmiatore. Anzi, a dirla tutta, rappresenta qualcosa di più perché, oltre a riprodurre la sua immagine di oggi, esso deve essere capace di proiettarla nel futuro, per il tramite degli obiettivi finanziari perseguiti. Per questo è fondamentale che entrambe le parti contribuiscano alla sua stesura consapevoli del rilievo che assume il documento, assicurando la veridicità delle informazioni riportate e sterilizzando i rischi insiti nell’autovalutazione da parte del cliente, che troppo spesso non è il miglior conoscitore di sé stesso.
Superfluo sottolineare, poi, la centralità che l’informativa precontrattuale assume per consentire al risparmiatore, soprattutto se caratterizzato da un profilo non evoluto, di fare scelte d’investimento consapevoli. Nonostante ciò, si registra la tendenza da parte di molti intermediari ad un adempimento solo formale dell’obbligo, mediante cioè la mera messa a disposizione della documentazione informativa.
Questo, però, quasi mai trasferisce conoscenze sufficienti per operare in modo avveduto, tanto che in numerose decisioni è stato fissato il principio che occorre somministrare al cliente un’informativa adeguata “in concreto”, per tale intendendosi quel set informativo modulato tenendo conto del profilo del singolo investitore. In definitiva, ciò di cui l’investitore al dettaglio ha bisogno sono informazioni migliori e opportunamente selezionate, non maggiori ed esaustive informazioni.
Investire, infine, è un percorso a tappe, in cui la valutazione di adeguatezza/appropriatezza resa dall’intermediario è adempimento che incide fortemente sulla decisione finale del risparmiatore sul “se” effettuare l’investimento. È per questo che va assolto non colorando l’adempimento di routine, come non di rado si registra nella pratica, ma mettendo in campo tutta la professionalità di cui l’intermediario deve essere depositario. Dunque, non clausole di stile ma un giudizio fondato sulle caratteristiche del singolo cliente e sui suoi obiettivi d’investimento, perché è questo che consente all’intermediario di operare in modo corretto, perseguendo l’obiettivo di servire al meglio l’interesse del cliente.
Sono fortemente convinto – concludendo – che operare in coerenza con i principi che ho fin troppo sinteticamente qui richiamato (ma meglio fruibili accedendo al sito www.acf.consob.it) recherebbe il beneficio di sterilizzare a monte buona parte dei motivi di conflitto. Ed è questo uno degli obiettivi che l’ACF perseguirà, con ancora maggiore dedizione, nel suo secondo quinquennio di attività.