PROPOSTA
Ucraina, sanzioni e sistema monetario internazionale

La ricostruzione dell’Ucraina a seguito dell’ invasione russa costerà almeno 486 miliardi di dollari Usa. I beni russi bloccati sono pari, in dollari, a circa 320 miliardi. Ma toccare il capitale russo bloccato viene considerato, dai depositari degli asset russi, principalmente l’Euroclear, un vulnus alle regole del mercato. Perché non considerare che sia l’Ucraina ad avere pieno titolo (a differenza dei suoi alleati) a richiedere che i fondi russi presso terzi le siano conferiti, a parziale ristoro dei danni subiti?

Oliviero Pesce

    Premessa fattuale

1.1. Per giustificare la proposta che verrà avanzata oltre, è necessario illustrare brevemente il quadro nel quale si svolge la guerra in corso tra la Russia e l’Ucraina; guerra asimmetrica, nella quale la Russia è «autorizzata» a invadere e ad attaccare dal cielo l’Ucraina, mentre quest’ultima non può attaccare il suolo della Russia, perché nessuno, in Occidente, vuole una «escalation». Occidente che sarebbe il «mandante» di una «guerra per procura», dovuta al fatto che la NATO avrebbe «abbaiato alla Russia». Cerchiamo di mettere in fila una serie di fatti, che confutano radicalmente queste tesi, e questo approccio.

1.2. I negoziati per l’istituzione della NATO si conclusero il 4 aprile 1949 con la firma, a Washington, del Patto Atlantico, cui aderirono Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Portogallo, Italia, Norvegia, Islanda e Danimarca, che entrò in vigore il 24 agosto 1949.

Una spinta che contribuì a raggiungere tale risultato fu data dal blocco di Berlino, attuato dall’URSS a partire dal 24 giugno 1948. Al blocco l’Occidente reagì con un ponte aereo, in funzione per lunghi anni, la creazione di un’alleanza difensiva (che non reagì militarmente), e poderosi aiuti all’economia della città, dimostrata dal ben diverso tenore di vita di Berlino Ovest e di Berlino Est; come pure da quelli della ricostruita Germania occidentale – inserita poco dopo nelle Comunità europee, di cui fu cofondatrice – e della Germania Est, in mano a un governo fantoccio e alla Stasi (dove Putin fece le sue prime prove).

L’Unione Sovietica e la Germania Est, invece, perfezionarono il Blocco con l’erezione di un muro di 155 chilometri, alto più di tre metri e mezzo, che rimase in piedi ventott’anni, dal 1961 al 1989, quando si disfece assieme all’Unione sovietica, senza che vi fosse alcun intervento occidentale. L’anno dopo, ci fu la riunificazione delle due Germanie e quindi l’ingresso nella NATO della ex Repubblica Democratica Tedesca.

1.3. Dietro la Cortina di ferro, i tentativi di liberalizzazione di alcuni paesi furono sempre frustrati: dopo il colpo di Stato del ’48, tra il 1948 e il 1954 in Cecoslovacchia si ebbero oltre centomila vittime di processi politici; nel 1956 venne invasa l’Ungheria, a difesa di governi filosovietici; nel 1968 la Primavera di Praga venne bruscamente interrotta dall’invasione delle truppe di cinque paesi «fratelli»: Unione sovietica, Polonia, Ungheria, Bulgaria, e (in minor misura) Germania Est. Tutto con l’impiego iniziale di 250.000 soldati, che arrivarono più tardi a 500.000. Nessuna reazione dell’Occidente, o della NATO.

1.4. Nel 1962 l’URSS tentò di installare missili balistici, dotati di testate nucleari, a Cuba, causando una crisi che portò a un passo da una guerra nucleare, ma che si concluse con il fallimento del tentativo, cui gli Stati Uniti reagirono tacitamente – e unilateralmente – ritirando i propri missili Jupiter dall’Italia e dalla Turchia.

1.5. Negli anni successivi alla dissoluzione dell’Unione sovietica, su richiesta del membro principale della NATO, venne imposto all’Ucraina (non più parte dell’URSS) di consegnare alla Russia le 1.900 testate nucleari dislocate sul suo territorio. Cosa che avvenne, e a seguito della quale la stessa Russia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, cui si associarono successivamente Cina e Francia, ne garantirono l’integrità territoriale, con un memorandum formalizzato a Budapest il 5 dicembre 1994 e più volte violato dalla Russia e disatteso dai «garanti», che la stanno assistendo esclusivamente con interventi di carattere materiale, spesso, come abbiamo potuto sperimentare, successivi a defatiganti negoziati che hanno ritardato la possibilità di difendersi del paese.

Nell’invadere l’Ucraina, quindi, la Federazione Russa ha violato non solo una serie di norme di diritto internazionale e lo Statuto delle Nazioni Unite, ma anche precisi impegni assunti nei confronti dell’Ucraina stessa, rendendosi inadempiente nei suoi confronti. E ciò è avvenuto dopo che la Crimea era già stata invasa, e conquistata, nel 2014, senza che né la NATO, né i «garanti» muovessero un dito. L’Ucraina difende quindi – oltre l’Occidente – prima di tutto sé stessa.

1.6. Non va trascurato che, quando l’Unione Sovietica si dissolse, non solo la Russia venne aiutata, e non poco, dalle potenze occidentali, anche con la creazione di una banca di proprietà di numerosi Stati, inclusa la stessa Russia, e che in un raro momento di saggezza, la Russia (anche di Putin) ha partecipato a esercitazioni della NATO, nel quadro di un Partenariato per la pace (Partnership for Peace), programma di cooperazione bilaterale con la Nato cui la Russia aderì negli anni Novanta, allo scopo di rafforzare le relazioni reciproche e incoraggiare la collaborazione nel campo della sicurezza; con la creazione, tra l’altro, nel 1998, di un Consiglio congiunto permanente NATO – Federazione russa. Negli stessi anni le sue forze, assieme alle forze della NATO, intervennero in Kosovo.

1.7. Nel frattempo, senza mai intervenire nei confronti della Russia, perennemente in guerra su diversi fronti e paese, come lo definisce Iosif Brodskij, «carnivoro»,  la NATO si è sostanzialmente allargata verso l’Est. Nel 1997 ne sono entrate a far parte Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia, la prima delle quali anche a seguito di un referendum nel quale si espressero a favore dell’adesione l’85,3% dei votanti; nel marzo 2004, altri sette paesi: Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania; nel 2008, Croazia e Albania, anno nel quale si ipotizzò l’adesione di Ucraina e Georgia; nel 2017, il Montenegro; nel 2020, la Macedonia del Nord; e infine, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Finlandia, nel 2023, e la Svezia, nel 2024, portando in numero degli stati membri a 32.

L’allargamento – oltre ad essere stato sempre osteggiato dalla Russia, è stato considerato un errore politico anche in Occidente, in alcuni quartieri. Tuttavia l’adesione è stata voluta da paesi che erano stati succubi dell’Unione Sovietica, e anche da paesi a lungo neutrali, ma che hanno visto i rischi che la Russia rappresenta per la loro indipendenza e la loro integrità. E la cui adesione è avvenuta liberamente, in base al principio di autodeterminazione che qualsiasi paese dovrebbe poter esercitare. Su questo principio concordava persino Lenin. D’altronde, può diventare membro della NATO, «qualsiasi altro Stato europeo in condizione di soddisfare i principi del trattato istitutivo e di contribuire alla sicurezza dell’area nord-atlantica».

1.8. Dimenticate le garanzie, l’Ucraina è rimasta sola a difendersi, e a difendere noi, ricevendo dall’Occidente esclusivamente aiuti materiali, a lungo bloccati, negli USA, dal Congresso, e in discussione, per questioni finanziarie, in una Unione nella quale un qualsiasi Orban è in grado di imporre veti; senza che nessuno suggerisca una cooperazione rafforzata, almeno militare, tra gli altri Stati membri. Malgrado la consapevolezza diffusa del fatto che, nella guerra (e nei tentativi di pace) il tempo stringe.

1.9. Si sono avuti nei giorni scorsi alcune dichiarazioni politiche e di intenzioni che sono state viste come importanti risultati politici nell’interesse dell’Ucraina. Il Comunicato finale dei leader del G7 tenutosi di recente in Puglia contiene la seguente clausola:

«Standing in solidarity to support Ukraine’s fight for freedom and its reconstruction for as «long as it takes. In the presence of President Zelensky, we decided to make available «approximately USD 50 billion leveraging the extraordinary revenues of the immobilized «Russian sovereign assets, sending an unmistakable signal to President Putin. We are «stepping up our collective efforts to disarm and defund Russia’s military industrial «complex».                                                                                                                                                  

[Solidali nel nostro sostegno alla lotta dell’Ucraina per la libertà e alla sua ricostruzione sin quando sarà necessario, in presenza del Presidente Zelensky abbiamo deciso di rendere disponibili circa 50 miliardi di dollari facendo leva sui redditi straordinari dei beni sovrani russi immobilizzate, inviando un segnale inequivocabile al presidente Putin. Stiamo rafforzando il nostro sforzo collettivo per disarmare e privare di mezzi il complesso militare-industriale della Russia].

1.10. I termini dell’accordo, non ancora del tutto chiari, sarebbero i seguenti: gli interessi, o extra profitti [cosa ci sia di «extra» negli interessi derivanti da un capitale finanziario, non è affatto chiaro: serve solo a far credere, prima di tutto ai firmatari del Comunicato, non certo ai russi, che i fondi bloccati non vengono toccati], dei miliardi russi sequestrati, faranno da garanzia e ripagheranno un prestito collettivo, probabilmente spalmato su dieci anni o dodici anni [quindi di cinque-sei miliardi l’anno, del tutto insufficienti ai fini dichiarati].

Per il prestito Washington è pronta a contribuire 50 miliardi, il Canada 5, il Giappone 2 (che andranno al Bilancio di Kiev e non in armamenti, lo vieta la Costituzione di Tokyo), mentre Italia, Francia e Germania hanno rimandato al prossimo Consiglio europeo con pieni poteri, una volta decise le nuove cariche dell’Unione, la definizione del contributo dell’Ue. Londra invece parteciperà con un suo strumento finanziario e deve ancora decidere la cifra. Si tratta, quindi, di una dichiarazione di scarso momento, anche se l’Ucraina ha fatto buon viso a cattivo gioco, dichiarandosi soddisfatta del sostegno ricevuto, più politico che non reale.

1.11. La dichiarazione congiunta del Summit per la Pace in Ucraina, firmata da 80 degli Stati partecipanti (ma non da Armenia, Brasile, Colombia, Vaticano, India, Indonesia, Libia, Messico, Arabia Saudita, Sud Africa, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti, assenti Russia e Cina), chiede, come premessa per la fine della guerra, «l’integrità del territorio ucraino». Dichiarazione, anche questa, utile sul piano negoziale e del sostegno politico occidentale all’Ucraina, (mentre Putin chiede – per trattare – non solo di restare in possesso dei territori occupati, ma di ottenere anche più ampie aree di interesse russo, incluse quelle nelle quali è dislocata la centrale nucleare di Zaporizhzhya; il dialogo è tra sordi), ma lapalissiana in base al diritto internazionale, alla Carta delle Nazioni Unite, e ai vari impegni illustrati innanzi.

L’intenzione sembra quella di trattare da una posizione di forza, ma anche la Russia intende fare lo stesso: il Dipartimento di Stato americano, infatti, ha contato «decine di missili balistici e oltre 10.000 container carichi di proiettili di grosso calibro» spediti dalla Corea del Nord alla Russia. In totale, finora si tratterebbe di circa cinque milioni di proiettili di grosso calibro, che hanno pesato sul teatro di guerra ucraino, dando ai russi superiorità nel volume di fuoco, considerando che gli europei sono stati in grado solo di promettere a Zelensky l’invio di un milione di colpi entro la fine dell’anno e gli americani hanno ritardato per mesi le loro forniture.   Lo US State Department sembra consolarsi osservando che Putin «dev’essere disperato se cerca forniture belliche in Nord Corea e in Iran».

1.12. Il fatto è, in verità, che toccare il capitale russo bloccato viene considerato, dai depositari degli asset russi, principalmente l’Euroclear, un vulnus alla propria integrità e alla fiducia del mercato nei suoi confronti. La società è un fornitore globale di infrastrutture per i servizi finanziari (Financial Market Infrastructure – FMI), facilita la liquidazione delle transazioni in titoli, domestiche e internazionali, e tiene in deposito gli investimenti di terzi.

Ha in deposito presso di sé 1,7 milioni di titoli, per un totale di 37,7 migliaia di miliardi di assets in custodia, per oltre 2.400 clienti, e ha regolato nell’anno 299 milioni di transazioni, per un valore di un milione e 72.000 miliardi (1.072 trilioni). In realtà essa è un enorme back office, un incrocio tra un deposito bagagli e un ufficio postale, ma con le cifre appena esposte, la stringente regolamentazione (belga) che la riguarda, e azionisti che comprendono le maggiori banche e holding internazionali, anche di stato, incluse la Bank of China (indirettamente), la Caisse des Dépôts et Consignations e il gruppo Morgan, e che collabora con l’intero sistema bancario mondiale, incluso il Fondo monetario internazionale, detiene un potere enorme. E si trincera dietro il risibile argomento che la Federazione russa potrebbe tornare in bonis, e che quindi in futuro potrebbe avere diritto a rientrare in possesso dei propri assets.

A loro volta le banche sostengono che un uso più massiccio dei fondi russi potrebbe mettere a repentaglio la fiducia della propria clientela nei confronti del sistema; come se non bastasse per raggiungere tale risultato il mero fatto del sequestro, e della appropriazione dei frutti del capitale sequestrato. Atteggiamento analogo a quello di quelli che fumavano marijuana, ma «senza inalare». D’altronde è ovvio che questi «timori» non potrebbero riguardare che entità o persone che pensano di poter iniziare guerre ingiuste, o attività criminali, e che non sarebbe male se corressero qualche rischio in più nella loro operatività.

1.13. Mentre noi nutriamo dubbi, la  Federazione Russa, in barba al diritto internazionale, assegna la Ariston Thermo Rus, impresa italiana produttrice di elettrodomestici, e la filiale russa della tedesca Bosch, alla società del gruppo statale Gazprom.

La proposta.

2.1. Ma veniamo alla proposta. Circa 300 miliardi di EURO di attività della Banca centrale di Russia sono stati bloccati nelle giurisdizioni dei partner del G7, dell’UE e dell’Australia, sotto forma di titoli e fondi, con oltre due terzi di tali beni bloccati nell’UE. Questi Stati, o enti sovranazionali, come abbiamo visto, hanno effettuato sequestri a danno della Federazione Russa o di altre entità o persone russe, ma non si vede quale altro titolo abbiano per utilizzare tali fondi, o i frutti che ne derivano, per garantire operazioni finanziarie proprie, sia pure nell’interesse dell’Ucraina.

2.2. La Banca Mondiale, e altre entità internazionali hanno stimato che la ricostruzione dell’Ucraina a seguito dell’ invasione russa costerà almeno 486 miliardi di dollari USA. I beni russi bloccati, pari, in dollari, a circa 320 miliardi, sono pari a meno di due terzi dei danni subiti dall’Ucraina sino ad ora, e quindi largamente inferiori ad essi in base a perizie di enti indipendenti (come appunto la Banca Mondiale), dei quali fa spesso parte anche la Federazione Russa.

2.3. L’Ucraina ha quindi pieno titolo (a differenza dei suoi alleati) a richiedere che i fondi russi presso terzi le siano conferiti, a parziale ristoro dei danni subiti, danni che continuano quotidianamente a verificarsi, in primo luogo a seguito delle illegittime invasioni subite nel 2014 e dal 2022 a oggi, e in secondo luogo per le inadempienze di cui la Russia si è resa responsabile nei suoi confronti. In realtà l’Ucraina avrebbe titolo ad aggredire beni russi in qualsiasi altra giurisdizione, ma in questo caso le sue pretese sarebbero difficilmente azionabili; come avrebbe titolo a pretendere non solo i beni bloccati, ma anche quelli derivanti da pagamenti in corso di effettuazione a favore della Federazione Russa o di enti pubblici russi, a qualsiasi titolo. Rivolgendosi a tutti i Tribunali, statali o sovranazionali, competenti.

2.4. L’adozione di tale approccio risolverebbe in radice i problemi derivanti dalle incertezze degli alleati, a seguito di divergenze di opinione, interne o internazionali, diritti di veto, procrastinazioni e simili.