Osservatorio Banche
Tutti i nodi del 2024

I consuntivi 2023 si prospettano brillanti per le banche italiane. L’aumento del costo raccolta, la diminuzione dei volumi del credito, il possibile aumento delle rettifiche e la necessità di qualche aggiustamento patrimoniale prospettano però un futuro impegnativo

Silvano Carletti
Carletti

Tra pochi giorni (prima decade di febbraio) la maggior parte delle banche italiane presenterà il consuntivo 2023. Per quelle di maggiore dimensione i risultati dei primi tre trimestri indicano una nuova, forte crescita dell’utile netto (+80% nei primi 9 mesi), determinata dalla favorevole evoluzione dei ricavi trainati dal margine d’interesse in presenza di una sostanziale stabilità dei costi. Quanto è probabile che nell’immediato futuro lo scenario si mantenga  così favorevole?

Un primo punto da verificare riguarda gli accantonamenti a difesa del portafoglio prestiti. A fine settembre quelli dei due gruppi maggiori risultavano ridotti a/a di circa il 60%, riflesso delle elevate svalutazioni sulle esposizioni verso Russia e Ucraina effettuate nel primo trimestre del 2022; per gli altri tre gruppi maggiori (Bpm, Bper e Mps), invece, la contrazione è limitata a pochi punti percentuali. Difficile ipotizzare come le banche si orienteranno nel loro rendiconto annuale. Da un lato il positivo risultato contabile lascia spazio per interventi anche importanti, dall’altro lato le statistiche a livello sistema non segnalano apprezzabili novità sul versante del deterioramento del portafoglio: il flusso dei nuovi prestiti irregolari è su livelli contenuti, sia dal lato delle imprese (1,5% dei prestiti in bonis, tasso annualizzato) sia da quello delle famiglie (0,9%). Ma è noto che questi indici risentono con ritardo di un eventuale mutamento sfavorevole del quadro economico.

In questo momento la lettura della congiuntura economica porta a conclusioni incerte. Le stime per l’area euro contenute nell’ultimo Bollettino della Bce indicano un rallentamento al +0,6 % nel 2023 e un modesto +0,8% nel 2024, dati entrambi corretti al ribasso rispetto alla previsione precedente.

Sullo scenario europeo pesa la Germania che nel 2023 avrebbe registrato una contrazione (-0,3%), con un dato negativo nell’ultimo trimestre e nessuna aspettativa di rimbalzo nel 2024 (al più pochi decimi di punto). Più favorevole il quadro in Spagna e Francia e in misura più limitata in Italia. Nell’insieme, sembrerebbe un indebolimento congiunturale piuttosto che la vigilia di una correzione negativa importante. Sulla solidità di questa conclusione pesano dinamiche globali cui il vecchio continente può difficilmente sottrarsi e che altrettanto difficilmente può condizionare in misura significativa.

Una vulnerabilità significativa sembra individuabile dal lato della raccolta. Nell’arco di 12 mesi (dati a novembre 2023) i depositi in c/c sono diminuiti di circa il 10% (-134 mld), mentre quelli a durata prestabilita sono aumentati di quasi il 40% (+70 mld). Il forte mutamento nel mix nella raccolta (diminuzione della raccolta in c/c, crescita di quella più onerosa a durata prestabilita e più oneroso rifinanziamento presso la banca centrale) hanno determinato un rilevante aumento del costo marginale del funding: al 2,2% a novembre rispetto al 2,0% ad agosto e a poco più di zero alla fine del 2021. [nb: il costo marginale della raccolta è il costo che la banca sosterrebbe ricorrendo alle diverse fonti di finanziamento in misura proporzionale alla composizione del passivo in quel momento]

La crescita del costo della raccolta è fenomeno che non si può ritenere esaurito. Secondo stime della Banca d’Italia il cosiddetto pass-through sui depositi (rapporto tra la variazione del tasso medio praticato sui depositi alla clientela e variazione dei tassi ufficiali) sarebbe stato nel periodo giugno 2022-giugno 2023 pari ad appena il 10%. La dinamica italiana appare più lenta di quella osservata a livello europeo, contesto comunque non reattivo.

A rendere impegnativa la gestione della raccolta è anche il previsto completamento del programma di rimborso alla Bce dei fondi TLTRO3 (per le banche italiane 137 mld entro fine anno).  Le banche sono da tempo consapevoli di questa scadenza. La Banca d’Italia segnalato tuttavia che diversi intermediari, per lo più di piccola dimensione, non dispongono di adeguate risorse e quindi per effettuare i rimborsi dovranno reperire fondi sul mercato e/o ricorrere a nuova provvista di banca centrale e/o ridurre le proprie attività.

Sul versante della dinamica del credito, la realtà italiana diverge in modo non trascurabile da quella continentale. Nell’insieme dell’eurozona la crescita dei prestiti alle imprese è entrata in territorio negativo lo scorso ottobre (-0,3% a/a). In Italia i prestiti alle imprese sono in fase di contrazione da circa un anno e in misura ben più intensa (-5,3% a/a ad ottobre, -4,8% a novembre); la flessione dei prestiti alle imprese accomuna Italia, Germania e Spagna. Questi paesi mostrano una simile tendenza all’attenuazione del fenomeno proprio nei mesi più recenti, tendenza ancora difficile da valutare.

L’osservazione della realtà italiana suggerisce che a determinare la riduzione dei finanziamenti alle imprese sarebbero stati sia la maggiore cautela delle banche nelle politiche di affidamento sia la propensione delle imprese a non rinnovare debiti in scadenza e/o ad anticipare i rimborsi di quelli in essere, alla luce della loro maggiore onerosità. La riduzione risulta molto pronunciata per le imprese minori, più contenuta per quelle di grande dimensione. La tendenziale contrazione della liquidità disponibile delle imprese è parte del fenomeno.

Poco favorevole per il nostro Paese anche il confronto per quanto riguarda l’andamento del credito alle famiglie. Nell’area euro questo aggregato risulta ancora in crescita, seppure in rallentamento (+0,6% a/a ad ottobre). In Italia si è registrata a novembre una crescita del 2,8% a/a ma si tratta della prima variazione positiva dopo un anno. Malgrado gli elevati tassi d’interesse richiesti, tonico risulta l’andamento del credito al consumo, soprattutto nella scadenza più lunga (oltre 5 anni); stabile la consistenza dei prestiti per l’acquisto di abitazioni; in chiara contrazione la terza componente (altri prestiti).  

Nell’insieme lo stock dei finanziamenti a famiglie e imprese risulta in Italia ridotto in 12 mesi di circa 50  mld (-4%).

Diverso l’impatto di un terzo fattore messo in evidenza da una nota della nostra banca centrale (L’andamento delle attività ponderate per il rischio delle banche italiane ed europee nell’ultimo triennio). Il documento muove dalla constatazione che nel triennio 2020-22 il livello di patrimonializzazione è aumentato, seppure in misura diversa, sia per le banche italiane sia per quelle del resto dell’eurozona vigilate dalla Bce.

Per questo secondo insieme di istituti, a fronte di un incremento della esposizione complessiva si è conseguito un miglioramento patrimoniale per effetto dell’aumento del capitale di migliore qualità. Per gli intermediari italiani, invece, il miglioramento degli indici patrimoniali è dipeso esclusivamente dalla flessione delle attività ponderate per il rischio (RWA), conseguenza di un intenso processo di riclassificazione.

Oggetto prevalente di questa riclassificazione sono stati i crediti verso il settore privato non finanziario che, a seguito della pandemia, hanno beneficiato della concessione della garanzia pubblica. A giugno 2023 i finanziamenti in essere con garanzia Covid-19 erano in Italia circa un quinto dei prestiti alle imprese. La quota di capitale rimborsata entro la fine del 2023 dovrebbe ammontare a poco meno del 45%; nel 2024-25 sono previsti rimborsi per un altro 35%, così da raggiungere l’80% alla fine del 2025.

La sostituzione di queste attività con altre con ponderazione diversa da zero determinerebbe un aumento delle RWA. Se così fosse e tenuto conto che da inizio 2025 dovrebbe divenire effettivo l’aggiornamento di Basilea 3 (meglio noto come Basilea 4), potrebbe rendersi necessario un aggiustamento patrimoniale, con riflessi sulle politiche di gestione e sulle scelte sul fronte dei dividendi.