Osservatorio Banche
Troppo risparmio fa male

Se all’inizio della pandemia si tendeva a percepire come prevalenti i problemi di riduzione dell’offerta ora a preoccupare sono quelli di grave carenza della domanda. Con tasso di risparmio e depositi bancari a livelli record: questi.

Silvano Carletti
Carletti

La celebrazione della Giornata del Risparmio alla fine di ottobre ha avuto quest’anno un andamento ben diverso dal passato e, ovviamente, non perché svoltasi online. Al centro dei principali interventi, infatti, non ci sono state considerazioni su come accrescere la capacità di risparmio o come migliorare la sua relazione con l’attività d’investimento. Al contrario, si è percepita forte la preoccupazione sul recente, significativo aumento appunto del tasso di risparmio.

Questo uno dei passaggi dell’intervento del governatore Visco: «In una fase come quella attuale, dominata dall’incertezza e dalla debolezza della congiuntura, l’aumento della propensione al risparmio, se non si accompagna a un’adeguata ripresa degli investimenti e dell’attività produttiva, può causare una diminuzione della domanda aggregata e dei redditi, alimentando, a sua volta, una ulteriore crescita delle intenzioni di risparmio per motivi precauzionali e innescando, così, un circolo vizioso». 

Più risparmi, meno consumi

Secondo quanto comunicato dall’Istat, nel secondo trimestre 2020 si è verificata una riduzione del 5,6% t/t del reddito disponibile delle famiglie, variazione prevedibile considerato il forte calo delle ore lavorate, pur attenuato da importanti misure di integrazione salariale. Parallelamente i consumi privati si sono contratti dell’11,4% t/t. Ne è conseguito un forte aumento della propensione al risparmio salita al 18,6%, livello non raggiunto da molti anni e più che doppio rispetto ai mesi precedenti la pandemia (7,9% a fine 2019).

La contrazione a/a della propensione al consumo potrebbe risultare in sede di consuntivo 2020 addirittura pari a 7 punti percentuali (stima Prometeia). Le indicazioni congiunturali e la necessità di contenere questa seconda ondata del Covid-19 fanno ritenere che le tendenze emerse nel secondo trimestre si protraranno per qualche tempo (secondo Prometeia non basterà un triennio per riportare la propensione al consumo al livello del 2019). 

Le famiglie italiane si trovano in una condizione finanziaria più solida di quanto riscontrabile altrove in Europa: in media, il rapporto tra indebitamento e reddito disponibile annuo è pari al 93% nell’eurozona, ma solo il 63% in Italia. Pur tuttavia, l’aumento della propensione al risparmio registrata in Italia è largamente simile a quanto registrato altrove nel vecchio continente: rispetto alla fine dello scorso anno, infatti, il tasso di risparmio delle famiglie risulta aumentato nell’area euro di 12 punti percentuali.

Non molto diverso è lo scenario negli Stati Uniti dove nel primo semestre dell’anno in corso il tasso di risparmio ha sfiorato il 18%, 10 pp in più rispetto ai valori del 2019. 

Diversamente dal passato, quindi, il risparmio non svolge per le famiglie il suo tipico ruolo di ammortizzatore delle congiunture sfavorevoli (sua riduzione per mitigare ricadute sui consumi di una contrazione del reddito). Nella fase successiva alla crisi finanziaria internazionale del 2008-09 è proprio questo quello che è avvenuto. 

Depositi di imprese e famiglie

Il complessivo clima di incertezza e il prevalere di aspettative non favorevoli trovano chiaro riscontro nei bilanci bancari. Malgrado privi di qualsiasi remunerazione effettiva, nei dodici mesi terminanti a settembre scorso nell’area euro i depositi delle famiglie risultano aumentati del 6,7%, quelli attribuibili alle imprese del 22%, con una variabilità tra i principali paesi relativamente limitata (solo la Francia si colloca per entrambi i settori sensibilmente al di sopra della media dell’eurozona, +8,2% e +30%). Nel caso dell’Italia i  depositi  delle  famiglie  risultano  cresciuti  del  5,6% a/a,  quelli  delle  imprese del 24,4%. In cifra assoluta i primi sono aumentati di 47 miliardi, i secondi di 71 miliardi per un totale quindi di 118 miliardi.

A spingere questi due aggregati sono motivazioni solo parzialmente diverse. Le ridotte possibilità di movimento e il rischio contagio limitano le occasioni di consumo delle famiglie e inducono a rinviare gli acquisti non di immediata necessità (beni durevoli e semidurevoli). 

Nel caso delle imprese non è irragionevole pensare (le indagini sul campo lo confermano ampiamente) che prima di impegnarsi in importanti operazioni d’investimento gli imprenditori vogliano attendere una stabilizzazione dello scenario, per capire se passata la pandemia ci sarà un rispristino del precedente normal o se, come è più probabile, si delineerà un new normal profondamente diverso dal precedente. 

La forte crescita di liquidità bancaria di famiglie e imprese pone problemi molto seri, perché determina uno scenario difficile da governare. Al di là delle circostanze prima rapidamente richiamate, s’intravede, infatti, una forte motivazione precauzionale che ha poche probabilità di essere indebolita in misura sostanziale in tempi contenuti. Come opportunamente evidenziato dal governatore della Banca d’Italia, la crescita dei depositi delle imprese «è in buona parte riconducibile alle misure governative di sostegno al credito, che hanno consentito alle aziende di accumulare fondi necessari per soddisfare le esigenze di liquidità che si manifesteranno nei prossimi mesi». Forse però sarebbe stato più corretto dire “esigenze di liquidità che gli imprenditori temono possano manifestarsi nei prossimi mesi”.

Lo stimolo monetario non funziona a dovere

Lo stimolo monetario di questi mesi risulta quindi in gran parte sterilizzato. Daniele Franco, direttore generale della Banca d’Italia, lo conferma: «Le politiche di bilancio e la politica  monetaria, ancorché fortemente espansive, possono solo mitigare la caduta del prodotto perché questa non è una recessione ‘normale’ (con cause economiche o finanziarie): è una recessione con cause di tipo sanitario che [riducendo la mobilità e le relazioni sociali] ostacola sia la produzione sia il consumo».

Gli effetti ad ampio raggio della pandemia condizionano negativamente i comportamenti non solo di chi ne subisce più direttamente le conseguenze, ma anche delle famiglie che non hanno subìto significative contrazioni di reddito. In definitiva, se inizialmente si tendeva a percepire come prevalenti i problemi di riduzione dell’offerta ora a preoccupare sono quelli di grave carenza della domanda. 

L’adozione di politiche monetarie fortemente accomodanti è stata un passaggio molto importante perché, al di là dei minori oneri finanziari che determina per governi e imprese, mantiene rilassate le condizioni dei mercati finanziari, rende più agevole la tenuta dei sistemi bancari, aumenta in definitiva in misura sostanziale la resilienza dei sistemi economici. Essendo però (parzialmente) inefficace nel correggere in senso positivo e in tempi contenuti la curva delle aspettative di una comunità (famiglie e imprese), non riesce a rimettere in moto il circuito produttivo.