Tre messaggi dalla Spagna
Leonardo Morlino
MORLINO

Al di là di problemi specifici (la domanda catalana di indipendenza), le elezioni spagnole erano molto attese perché potevano dare una qualche risposta a tre domande rilevanti per le democrazie in questi anni. 

La crescita ed affermazione di partiti populisti in numerosi paesi europei e non, Spagna compresa, portavano a chiedersi: è possibile rovesciare il trend e portare di nuovo gli elettori moderati e riformisti dall’astensione o dal voto ai populisti a preferire partiti di centro-sinistra o di centro-destra? Ovvero in Europa, dopo le reazioni alla Grande Recessione (2008-14) a cui è seguita una sostanziale stagnazione, si sta ricostituendo un centro moderato, in senso ampio, politicamente attivo? 

La seconda domanda riguarda il potenziale successo dell’estrema destra: dopo che per decenni la destra autoritaria non ha avuto voce nei paesi con precedenti fascisti e autoritari, ora può ricomparire, condizionando il gioco politico a causa della scomparsa delle generazioni testimoni di quegli anni e gradualmente anche della relativa memoria? 

La terza domanda: in contesti politici che rimangono divisi e in cui formazioni estremiste sono forti e presenti, come si fa a governare? 

Tutte e tre le domande ci riguardano da molto vicino. Vediamo la risposta data dagli elettori spagnoli e le riflessioni conseguenti sull’Italia.

In Spagna i votanti moderati sono tornati a votare, e lo si può vedere da due cifre che vanno considerate insieme: la crescita di circa dieci punti percentuali nella partecipazione al voto e il successo (atteso) del PSOE, che guadagna il 6 per cento in voti e molto di più in seggi (da 85 a 121). 

Inoltre, una parte del voto ai socialisti torna indietro dopo essere stato dato ai populisti di Podemos. Dunque, le elezioni spagnole dicono che il trend dei partiti anti-establishment, di protesta con caratteri populisti, si può fermare senza che si diano condizioni particolarmente eccezionali come quella portoghese o quella francese. Infatti, anche in Portogallo i populisti sono stati fermati sin dall’inizio e non hanno avuto mai successo, ma in quel paese un’alta alienazione antipolitica e una buona presenza della sinistra radicale hanno paradossalmente avvantaggiato i partiti moderati (socialisti) ed escluso sin dall’inizio i populisti. 

In Francia, con l’aiuto del sistema istituzionale (iperpresidenzialismo ed elezioni maggioritarie a doppio turno) è stata possibile la creazione in pochi mesi di En Marche, cioè di un partito che prometteva cambiamento ed ha avuto successo, anche se poi il disagio e l’insoddisfazione, non trovando canali istituzionali di espressione, si sono fortemente manifestati con il movimento dei Gilet Gialli.

Il successo (anch’esso atteso) dell’estrema destra di Vox va capito. Ovvero, sicuramente la scomparsa delle generazioni che avevano memoria della Guerra Civile (1936-39) e degli anni del franchismo è quasi completamente avvenuta. Ma qui – e altrove – si tratta in realtà di altro. Sono domande neo-autoritarie che sono state sempre presenti in questi anni nella società spagnola – e in altre società – e che trovano ora espressione di fronte alle nuove sfide nazionaliste. 

In assenza di novità ideologiche, i leader di questi partiti rispolverano le vecchie identità che hanno il vantaggio di richiamare un passato pret-à-porter che viene reinventato e rilegittimato. Fino a circa dieci anni fa, questa destra non ha superato il 10% circa in diversi paesi europei. Vox conferma questo risultato, ma in altri paesi a cominciare dalla Francia, dalla Finlandia, recentemente o anche, in prospettiva, dall’Italia, questo risultato è stato o potrà essere notevolmente superato sulla base di fattori specifici dei relativi paesi. 

In breve, al di là di certe affermazioni degli stessi leader, il riemergere del neofascismo è più un sintomo di assenza di idee e di progetto della destra, sulla base di un voto autenticamente non democratico, che non un’effettiva nostalgia del passato.

In questa situazione, caratterizzata da frammentazione, radicalizzazione anche su altri temi (l’indipendentismo) e ancora da un sistema partitico multipolare, come si possono creare governi di maggioranza, in assenza di soluzioni presidenziali? Su questo le elezioni spagnole – le terze in quattro anni – non hanno dato esiti risolutivi. Sia pure per poco, i socialisti e i neopopulisti di Podemos (42) insieme non riescono ad avere la maggioranza necessaria (176 seggi). Dunque, non potendo allearsi con Ciudadanos, più radicalizzati a destra, devono appoggiarsi alle forze regionaliste. Ma questa è una partita difficile e tutta da costruire. 

Va aggiunto che il sistema parlamentare spagnolo potrebbe consentire un governo di minoranza per qualche anno, cioè permetterebbe di governare senza risolvere il problema. Ma poi, come nel gioco dell’oca, si tornerebbe alla base, e a nuove (le quarte?) elezioni. In breve, occorrerà trattare e trovare compromessi (con i regionalisti).