CLIMA&FINANZA/LO STRESS TEST DELLA BCE
Transizione energetica e clima: spendi oggi, rischi meno domani

È il messaggio dello stress test della Bce con i dati su 1600 banche e 4 milioni di imprese. Mentre la finanza ha già diviso le imprese da mettere in portafoglio tra "ice cubes" e "burning logs"

Paola Pilati

Il messaggio è forte e chiaro: la transizione energetica richiesta dall’impegno di ridurre il riscaldamento globale (sotto i 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, secondo gli accordi di Parigi) e le politiche conseguenti avranno un impatto pesante sul contesto industriale. Ma c’è un altro rischio climatico da non sottovalutare, quello degli eventi disastrosi – allagamenti, frane, incendi – che si stanno moltiplicando e che possono mettere a rischio la produzione e condannare al fallimento molte attività particolarmente esposte.

“Queste due categorie di rischi creano un nuovo fronte di rischio sistemico, in quanto sono in grado di destabilizzare il corretto esercizio dei servizi da parte delle istituzioni finanziarie e il corretto funzionamento dei mercati finanziari, con un effetto a cascata sull’economia reale”, avverte la Bce.

L’allarme viene dai risultati, appena pubblicati, di un esercizio di stress test che non ha pari per struttura e apparato di dati utilizzato: non solo prende in considerazione quelli di 1600 banche europee che rappresentano l’80 per cento dei prestiti al sistema produttivo europeo e quelli di 4 milioni di aziende nel mondo, ma combina in un orizzonte di trent’anni l’evoluzione climatica e finanziaria, e arriva a costruire un modello per identificare i canali attraverso cui quei rischi – transizione energetica e clima – si trasmettono a banche e imprese.

Un lavoro che supera molti lavori prodotti finora da diverse banche centrali (la BoE, la Banque de France) e soprattutto arriva a formulare dei consigli molto chiari: che agire subito costa meno che temporeggiare; che se non si investe subito nella transizione il rischio climatico aumenterà, e diventerà quello più distruttivo per l’economia; che alcune aree del mondo sono più esposte delle altre (e noi siamo tra queste).

Uno scenario che la finanza ha già ben chiaro, visto che ha già scelto dove mettere il denaro: i portafogli vanno a caccia degli “ice cubes”, i cubetti di ghiaccio, cioè quelle imprese che oggi producono forti emissioni di CO2, ma si sono convinte che è urgente imboccare la strada della transizione energetica e hanno deciso di investire massicciamente per arrivare velocemente al “net-zero”, l’obiettivo delle emissioni zero nel 2025: sono quindi come dei cubetti di ghiaccio immersi nel pianeta in riscaldamento.

Si tratta spesso di imprese che appartengono ai settori dove l’operazione di pulizia delle emissioni è più difficile e costosa: un esempio è la Nippon Steel, una delle acciaierie più inquinanti del pianeta, che ha deciso di investire nella tecnologia dell’idrogeno. Un’altro esempio è la Volkswagen, che ha sposato la produzione di auto elettriche. Un altro ancora è il gruppo cementiero svizzero Lafarge, che nel 2030 metterà in funzione un impianto a emissioni zero.

Ma gli esempi di “ice cubes”, per quanto in crescita, sono rari. Il loro opposto sono i “burning logs”, gli accendifuoco, quelle imprese che producono emissioni a go-go e non hanno ancora capito la sfida della transizione, né che sarà molto difficile per loro vivere e prosperare in un contesto di riduzione della CO2. Rischiano quindi di aumentare la temperatura – e il rischio – di un portafoglio finanziario che guarda al futuro.

I burning logs dovrebbero studiare il report della Bce a memoria, e così anche le banche che li finanziano. L’esposizione delle banche con le imprese grandi – minori di numero ma con un peso maggiore in termini di produzione di emissioni inquinanti – è infatti uno degli aspetti cruciali del rapporto. Soprattutto considerando la concentrazione del rischio in alcuni settori ben precisi.

Se in Europa i primi settori per intensità di emissioni sono quello minerario, l’elettrico e il gas e l’agricoltura, dal punto di vista della quantità di emissioni emesse sul totale i responsabili sono i trasporti e il commercio all’ingrosso e al dettaglio. Nei confronti di quest’ultima categoria, le banche sono molto esposte: si concentra lì il 30 per cento dei prestiti, quota che sale al 40 per cento se si aggiungono trasporti, elettricità e gas.

La vulnerabilità del sistema aumenta considerando non solo il costo della transizione energetica (più o meno uguale per i diversi paesi del continente), ma anche il rischio degli eventi climatici. Ebbene, questo rischio, secondo le proiezioni dello stress test, riguarda soprattutto alcuni paesi del Sud Europa, in particolare Italia e Spagna. L’Italia ha anche un altro lato debole: da sola ha un terzo dei portafogli bancari più esposti al rischio emissioni, seguita da Germania e Francia.

Lo stress test della Bce si spinge anche più in la, a domandarsi quale può essere l’impatto dei due rischi presi in considerazione sulla profittabilità delle aziende, anzi sulla possibilità di un loro default. Costi di produzione, costi energetici, costi di una carbon tax, costi di nuove tecnologie per ridurre l’impronta carbonica possono incidere pesantemente sulle imprese e aumentare il loro indebitamento o ridurre la capacità produttiva. Con quali conseguenze?

Anche se l’impresa europea di dimensione media verrà comunque messa a dura prova, sia in termini di aumento dell’indebitamento e per la sua vulnerabilità ai disastri ambientali, sarà l’impresa grande a soffrire di più da un atteggiamento attendista sulla transizione energetica, cioè l’atteggiamento che rinvia l’intervento per ridurre le emissioni nocive. E lo pagherà in termini di riduzione dei profitti.

Ovviamente da perdere hanno anche le banche che finanziano quelle imprese. Ma per tutti, afferma lo stress test della Bce, vale la considerazione che i costi che si affrontano nell’immediato per la transizione verde verranno più che compensati nel lungo termine. Tanto più che, se le politiche a favore della transizione energetica non verranno messe in campo e realizzate, saranno i rischi climatici con i loro disastri ambientali a presentare il conto più salato per tutti.