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CRYPTOVALUTE
Tra Usa e Ue battaglia sulle stablecoin

Trump le sponsorizza come arma per ridurre il debito, l'Europa le critica con la voce della Lagarde e le analisi della BIS. Le stablecoin sono davvero, come afferma Varoufakis, una bomba annidata nelle fondamenta dell'economia globale?

Paola Pilati

Più dei dazi, una nuova guerra può rendere le due sponde dell’Atlantico più lontane: la guerra delle stablecoin.

Con il progetto di Trump di fare degli Usa la patria delle cryptovalute (lui stesso ne ha creata una con la quale in pochi mesi ha guadagnato 60 milioni di dollari), le stablecoin – quelle cryptovalute che si differenziano dalla tipologia Bitcoin in quanto ancorate ad asset reali – sono rapidamente decollate e con l’approvazione da parte del Senato del Genius Act, che punta a regolamentarli, vengono decantate come la base di una nuova economia mondiale.

In Europa, invece, si moltiplicano gli allarmi: Christine Lagarde, presidente della Bce, di fronte alla Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo ha detto pochi giorni fa che le stablecoin sono un rischio per la politica monetaria e la stabilità finanziaria e solo una regolamentazione molto accurata può difendere gli investitori e il sistema tutto.

Come ha cominciato a fare la Markets in Crypto-Assets Regulation europea, che consente agli investitori in stablecoin con sede nell’UE di riscattare i propri investimenti al valore nominale in qualsiasi momento e richiede che una quota sostanziale delle riserve di stablecoin sia detenuta in depositi bancari, riducendo al minimo i rischi per i consumatori e per la stabilità finanziaria.

Altre regolamentazioni in via di definizione rischiano di lasciare invece ampi spazi grigi, e Lagarde osserva per esempio che la più diffusa delle stablecoin, Tether, è basata in El Salvador, non negli Usa.

Un altro fendente alla rivoluzione stablecoin lo ha assestato la BIS (Bank for International Settlements ) nella sua Relazione annuale: “L’emissione di valute private come le stablecoin soddisfa la domanda di nuove funzionalità tecnologiche. Tuttavia, anche con la regolamentazione, i limiti delle stablecoin sollevano seri dubbi sulla loro capacità di essere il pilastro del sistema monetario”, ha appena scritto.

Questo perché pur essendo garantite da asset – il dollaro nel 99% dei casi – non hanno nessuna garanzia di essere convertite alla pari, come deve fare una vera moneta, anzi si comportano come asset finanziari e sono negoziate sui mercati secondari a un tasso di cambio che può variare.

Non essendo supportate da una banca centrale, la stablecoin non possiede neanche quel secondo requisito fondamentale della “moneta fiat” che è l’elasticità, cioè la capacità di generare quella liquidità aggiuntiva che serve per generare, per esempio, un prestito. Inoltre, ed è il terzo limite, non offre abbastanza garanzie contro il suo utilizzo illecito: essendo strumenti digitali al portatore, possono circolare liberamente oltre confine su diversi exchange e in wallet non identificabili, lasciando ampi margini all’anonimato e a ogni tipo di traffico.

Quello che dal fronte dei regolatori traspare viene detto in modo più esplicito dall’economista greco Yanis Varoufakis: le stablecoins sono una bomba micidiale annidata nelle fondamenta dell’economia globale.

Il perché lo chiarisce la BIS: “con la crescente interconnessione, potrebbero crearsi nuovi canali di propagazione dei rischi al sistema finanziario tradizionale. Se le banche emettono stablecoin, sussistono rischi associati a una nuova classe di passività che circolano su blockchain pubbliche, senza che sia chiaro se e come trarrebbero beneficio dall’assicurazione sui depositi. Soprattutto in periodi di stress, potrebbero verificarsi flussi rapidi e imprevedibili tra diverse tipologie di passività bancarie”.

Eppure, ciò che ai regolatori appare come una lista di demeriti, è proprio la ragione del grande successo presso gli utilizzatori, attirati dalla facile accessibilità, dalla privacy, dal loro ruolo di alternativa all’attuale sistema finanziario, dalla loro capacità di facilitare l’accesso alle valute estere e la loro attrattività nei pagamenti transfrontalieri.

Ci sono circa 250 miliardi di dollari di token di stablecoin in circolazione, concentrati nelle due maggiori stablecoin, USDT (Tether) e USDC (Circle), e il segretario al Tesoro Usa Scott Bessent prevede che potranno arrivare a due trilioni, “rafforzando in questo modo “la supremazia del dollaro a livello globale” e contribuire a ridurre il debito Usa o almeno il suo costo.

I deposti di dollari che corrispondono alle emissioni delle stablecoin sono infatti investiti soprattutto in titoli del Tesoro Usa. Lo spiega anche qui la BIS: “Una crescita continua potrebbe esercitare un’ulteriore pressione al ribasso sui rendimenti: i dati suggeriscono che un aumento di 3,5 miliardi di dollari nella capitalizzazione di mercato delle stablecoin può già deprimere i rendimenti dei titoli del Tesoro di circa 2,5-5 punti base, con effetti fino a tre volte maggiori in termini assoluti durante gli episodi di riscatto. La loro crescente presenza sul mercato crea quindi anche un rischio di coda di vendite a saldo negativo. Questo può essere aggravato dal fatto che le stablecoin hanno finora reagito negativamente (ovvero hanno registrato riscatti maggiori) all’inasprimento della politica monetaria, analogamente ad asset rischiosi come le azioni”.

Lo sforzo che ormai quasi tutte le giurisdizioni stanno facendo per regolamentare le stablecoin si scontra però con la loro natura senza patria. Alcune giurisdizioni, come l’Unione Europea (ma anche il Giappone e Singapore), richiedono agli emittenti di stablecoin di ottenere l’autorizzazione dalle autorità di vigilanza e di costituire entità costituite localmente.

Ora però l’atteggiamento di prudenza potrebbe cambiare, perché la Commissione Europea, sta pianificando di emanare delle linee guida per far sì che le stablecoin emesse al di fuori dell’Unione siano trattate come quelle dello stesso marchio consentite solo sui mercati dell’UE.

Oggi le stablecoin emesse all’interno dell’Unione sono obbligate a detenere la maggior parte delle loro riserve presso una banca con sede nell’Unione, mentre i detentori possono convertire le proprie monete in contanti direttamente dall’emittente.

Con le nuove norme pensate dalla Commissione, che legittima i detentori esteri ad accedere alle riserve destinate ai consumatori Ue, si potrebbe quindi verificare una corsa agli sportelli. Con un’ondata di riscatti, per esempio in caso di difficoltà di una stablecoin, “le garanzie, i backup e i depositi europei saranno esposti”, ha avvertito Lagarde.

La BCE avrebbe proposto alla Commissione di chiedere agli altri paesi di fornire garanzie legali che assicurino il trasferimento delle riserve all’UE in tempi di crisi, ma la Commissione vorrebbe passare il cerino acceso della richiesta di garanzie nelle mani delle autorità di vigilanza nazionali. Con il rischio di aumentare l’effetto “dogane interne” nella Ue da un lato, dall’altro di offrire il mercato europeo alle più aggressive tecnologie digitali di oltreatlantico.  

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