Il clima lievemente rasserenato rispetto ai giorni dei toni più accesi, non ha del tutto sopito i timori di coloro i quali temono che le scelte economiche dell’esecutivo potrebbero incidere sui propri risparmi e investimenti in misura talmente significativa da mettere a rischio abitudini e tenore di vita.
Alcuni di questi timori non hanno fondamento razionale e proprio per questo producono impulsi fortissimi; altri sono fondati, ma raramente sfociano in soluzioni razionali.
In alcuni casi si ha l’impressione che l’investitore – cittadino e contribuente – intenda quasi esercitare una forma di protesta tramite un comportamento alternativo all’esercizio del diritto di voto.
In effetti il rischio paese – che dipende dalla provenienza o dalla locazione di un determinato investimento e da variabili politiche, economiche e sociali – è da sempre un elemento che guida le scelte d’investimento e deve essere valutato.
Questo è ovvio. Ma la soluzione da alcuni ventilata del trasferimento di una parte più o meno grande dei propri averi finanziari in Paesi ritenuti solidi e stabili non è ideale, né risolutiva, su un pianeta sempre più interconnesso.
Fra le componenti del rischio paese vi è il rischio sovrano, di default del debito pubblico, dal quale ci si difende semplicemente diversificando gli acquisti sul debito di paesi affidabili, anche se a bassissimo rendimento.
Anche dai rischi politico ed economico ci si tutela con la diversificazione fra settori e paesi, come pure dal rischio di cambio e di posizione. Ma si tratta di precauzioni che in ogni caso fanno parte del bagaglio culturale dell’investitore avveduto e non hanno nulla a che vedere con la localizzazione del patrimonio. Detenere azioni Coca Cola presso una banca italiana, o una estera, è del tutto indifferente dal punto di vista del rischio paese.
Nell’ambito del rischio politico alcuni paventano per l’Italia il rischio di ridenominazione, cioè l’uscita dell’Italia dall’euro.
Sorvolando sui dettagli tecnici, va rammentato che sia l’adozione dell’euro, sia l’adesione all’Unione Europea, sono fondate sul trattato di Maastricht del 1992. Ciò significa che è impossibile uscire dall’euro senza uscire anche dall’Unione Europea.
Anche ammettendo che possa davvero esistere qualcuno così stupido da volerlo, Brexit ci insegna che si tratta di un processo che dura anni; non è cosa che possa avvenire dalla sera alla mattina. Non può quindi essere una preoccupazione immediata.
Vi è anche chi si preoccupa per l’eventuale introduzione di prelievi forzosi, inasprimenti di imposte patrimoniali, o restrizioni sui movimenti di capitali. Siamo nell’ambito del rischio sovrano. Un rischio reale, ancorché meramente ipotetico.
A costoro va rammentato che oggigiorno le amministrazioni finanziarie dei principali Paesi OCSE compresa quella italiana conoscono, tramite strumenti come l’anagrafe dei rapporti finanziari, il modello RW e lo scambio di informazioni internazionali (CRS, FATCA), l’ammontare esatto della ricchezza finanziaria dei propri contribuenti e la sua localizzazione. Sono quindi in grado di colpirla senza problemi, basta che lo vogliano. Non vi sono vie di fuga da eventuali imposte straordinarie che non consistano, semplicemente, nell’evaderle.
Esiste ovviamente la possibilità di affrontare il problema alla radice. Ad esempio trasferendo la propria (intera) ricchezza in Paesi che non partecipano al sistema dello scambio di informazioni. Ma perché la soluzione funzioni, oltre al denaro bisognerebbe trasferire anche la propria residenza. La soluzione non è molto pratica e si rischia di sostituire il rischio-paese-Italia con un rischio potenzialmente anche peggiore.
Infine, vengono presi in considerazione i risvolti che la situazione politica possa innescare provvedimenti a tutela del sistema bancario. Molti rammentano che i limiti al prelievo di denaro (60 euro al giorno; 420 euro a settimana) e le restrizioni sui trasferimenti bancari all’estero introdotti in Grecia nell’estate del 2015 sono stati eliminati solo il 1 ottobre 2018, dopo più di tre anni.
In questa prospettiva, un deposito liquido presso una banca estera al quale attingere in caso di necessità può apparire una ragionevole precauzione. Sempre comunque in un quadro di totale compliance rispetto agli obblighi dichiarativi spettanti ai contribuenti italiani per le attività estere e agli obblighi di dichiarazione per chiunque entra nel territorio nazionale o ne esce trasportando contante da 10.000 euro in su.