SPECIALE PRODUTTIVITA' / QUALI SONO LE IMPRESE VINCENTI
Struttura complessa, crescita garantita

Quali elementi organizzativi permettono alle imprese di risultare vincenti? Un'analisi su un campione molto significativo permette di classificare le imprese italiane in quattro categorie, una delle quali combatte meglio la stagnazione

Stefano Costa, Giovanni Dosi, Stefano De Santis, Roberto Monducci, Angelica Sbardella, Maria Enrica Virgillito

È possibile individuare il “genotipo” comportamentale delle imprese? Quali elementi organizzativi determinano vincitori e vinti? Esiste un legame tra tali elementi e la stagnazione della produttività italiana a partire dal 2000? L’utilizzo di nuove basi informative integrate di dati d’impresa prodotte dall’Istat consente di rispondere a queste domande e di analizzare il sistema produttivo in una nuova prospettiva.

La letteratura indica varie cause del rallentamento della dinamica della produttività italiana, dal lato dell’offerta (un modello di specializzazione inefficiente, dimensioni aziendali troppo basse, il ritardo tecnologico) e da quello della domanda (soprattutto nella componente degli investimenti).

In questo lavoro si propone una diversa lettura del problema. Alla luce della Capability-based theory of the firm, si identificano i tratti “quasi-genetici” dell’organizzazione aziendale, da cui dipende la performance delle imprese e del sistema produttivo. In tale ottica sono le capacità organizzative, diverse da impresa a impresa, a determinarne l’orientamento strategico, i comportamenti e, in ultima analisi, la competitività. 

Sul piano empirico, l’analisi questi aspetti è stata a lungo limitata dall’assenza di basi di dati statistici adeguate. Di recente l’Istat ha però sviluppato una nuova generazione di sistemi informativi, che integrano dati censuari sulla struttura e la performance aziendali (i registri statistici) con informazioni qualitative sulle strategie d’impresa (le rilevazioni multiscopo del censimento permanente). In particolare, i registri forniscono dati su dimensione, settore, localizzazione, produttività, risultati economici, mentre il censimento permanente offre informazioni qualitative su organizzazione e strategie (tra le altre: governance, recruiting, relazioni interaziendali, gestione del personale, nuove tecnologie, innovazione, sostenibilità, responsabilità sociale). L’utilizzo integrato di tale nuova offerta informativa è alla base del presente lavoro.

L’analisi, concentrata sulle imprese con almeno 10 addetti (le più rilevanti nello studio della competitività) si fonda su un campione di oltre 109mila unità (rappresentativo di un universo di circa 215mila imprese), che impiegano 9 milioni di addetti (il 54,7% del totale) e realizzano 557 miliardi di valore aggiunto (71,4%).

L’applicazione delle tecniche di data analysis ai dati del censimento permanente porta a isolare tre profili organizzativo-strategici: 

  1. Capacità tecnologico-organizzative – riguarda l’organizzazione dell’impresa (formazione del personale, digitalizzazione) e i suoi legami con gli investimenti. 
  2. Strategie manageriali – coglie gli obiettivi aziendali e le strategie di mercato (es. prezzo e qualità).
  3. Relazioni – insiste sull’intensità dei rapporti attivati con altre imprese (commessa, fornitura, accordi) e quelli con i dipendenti (responsabilità e sicurezza).

Successivamente, la cluster analysis permette di individuare quattro combinazioni omogenee di tali profili, e di proporre quindi una nuova tassonomia delle imprese italiane in base alle loro capacità organizzativo-strategiche (V. Tavola): 

  1. Essenziali ‒ imprese con un’organizzazione molto semplice, che investono poco in digitalizzazione e software gestionali. Sono oltre un quarto del totale, relativamente piccole e poco produttive; spiegano il 14,4% dell’occupazione e l’8,7% del valore aggiunto totali.
  2. Manageriali ‒ dotate di un’organizzazione poco complessa, spiccano per l’articolazione delle strategie di mercato. Rappresentano oltre un terzo delle imprese totali, oltre un quarto degli addetti e un quinto del valore aggiunto.
  3. Interdipendenti ‒ sono le più orientate ai legami interni ed esterni all’impresa, associati a una organizzazione mediamente complessa. Circa un quarto del totale, sono più produttive della media e spiegano quasi la metà dell’occupazione e il 30% del valore aggiunto totali.
  4. Complesse ‒ hanno un’organizzazione articolata, con propensione al cambiamento tecnologico e alla digitalizzazione. È il gruppo più esiguo (meno del 10% del totale) ma più produttivo, cui afferisce un terzo degli occupati e il 42% del valore aggiunto.

In tale contesto, nel quale la performance economica migliora in modo evidente al crescere della complessità organizzativa, tre conclusioni rilevano su tutte. Anzitutto, le imprese essenziali somigliano alle manageriali, e le interdipendenti alle complesse, confermando la tendenza a un nuovo dualismo, con un nucleo di imprese poco numerose ma complesse, produttive e con alte competenze, e una miriade di unità essenziali e statiche. La stagnazione della produttività italiana dipende, almeno in parte, dalla contrapposizione fra questi due nuclei. 

In secondo luogo, la complessità non è un’esclusiva delle grandi imprese, ma è presente in tutti i segmenti dimensionali e settoriali. Soprattutto, l’adozione di un profilo “complesso” fa superare i limiti dimensionali, permettendo alle piccole imprese livelli di produttività superiori (e margini di profitto comparabili) a quelli delle grandi imprese degli altri cluster.

Infine, emerge una relazione positiva evidente tra  complessità organizzativa e dinamica della produttività: nel triennio 2015-17, caratterizzato da una netta accelerazione della crescita del Pil, la dinamica della produttività del lavoro passa dal -2,4% delle imprese “Essenziali” a +0,5% per il gruppo delle “Manageriali” , per subire un’accelerazione tra le imprese “Interdipendenti” (+1,8%) e raggiungere i valori massimi tra le “Complesse” (+4,3%).

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