DIBATTITI/LE MISURE DI RILANCIO DELL'ECONOMIA
Spendere va bene ma attenti al debito

L'economista Larry Summers critica come troppo generoso l'intervento di Biden per sostenere l'economia Usa. Alcuni suoi argomenti sono validi anche da questa parte dell'oceano?

P.P.

Il bazooka per rilanciare la crescita deciso dal presidente democratico Joe Biden ha trovato detrattori tra gli economisti del suo stesso campo. Larry Summers, ex ministro del Tesoro con Clinton e capo del team del consiglio degli economisti con Obama, ha bollato come molto rischiosa perché eccessiva la mossa di dare liquidità al sistema con uno stimolo fiscale di 1,9 trilioni dollari. Anzi, definendola la decisione “meno responsabile” che si potesse prendere, ha gettato un dubbio sulla capacità di controllo delle variabili dell’economia del dream team di Biden, a cominciare dall’ex presidente della Fed Janet Yellen al Tesoro. 

Perché oggi la generosità di Biden dovrebbe essere un approccio così sbagliato se ieri si accusava di eccessiva timidezza quello con cui Obama ha affrontato la grande crisi di dodici anni fa?

La previsione di Summers è che “si versi troppa acqua nella vasca”, facendola traboccare. Che la mobilitazione di tutte quelle risorse (900 miliardi decisi a fine 2020, poi 1,9 trilioni ora, e una previsione di nuovi investimenti per altri 3 trilioni nel lungo termine), scateni l’inflazione e produca la necessità di un aumento dei tassi da parte della Fed, con l’effetto di far decelerare di nuovo l’economia.

Gli argomenti portati da Summers al suo ragionamento partono dal dato che la perdita dei salari dovuta all’emergenza Covid si è tradotta per il totale delle famiglie americane in un mancato reddito tra i 30 e i 40 miliardi al mese, che nel corso dell’anno si andrà riducendo. Cioè un buco di risorse che su base annua può aggirarsi tra i 250 e i 300 miliardi. D’altra parte, si registra un eccesso di risparmio delle famiglie di 2 trilioni. Questo giustifica un intervento pari al 14 per cento del Pil, quando quest’ultimo ha perso tra il 3 e il 4 per cento? L’implicita risposta è no.

Quanto all’inflazione, il capo della Fed Powell assicura che non ci saranno effetti, e che resterà intorno al 2,5. Se dovesse superare il 3 per cento, la situazione sarà comunque di breve termine e gestibile. Chris Papadopoullos, economista dell’Omfif, per esempio (https://www.omfif.org/2021/03/inflation-primed-to-return/) sostiene che la crisi del mercato dei semiconduttori e i problemi nel settore del trasporto merci spingeranno l’inflazione oltre i target delle banche centrali nei prossimi sei mesi.

L’aumento del debito pubblico che effetto produrrà sui tassi? E la pressione della ripresa dei consumi sull’inflazione? Il fatto che la Fed debba stampare tanto denaro da dare al governo, il quale poi dovrà vendere i nuovi bond sui mercati, rischia, per renderli appetibili, di produrre un aumento dei rendimenti. E un rafforzamento del dollaro.

Di fronte a questi dilemmi Summers è cauto e immagina la possibilità che le cose evolvano in due scenari alternativi, quello del dollaro forte e quello del dollaro debole. Uno è quello già vissuto con Reagan, con l’aumento del deficit, il boom, il dollaro forte che si è tradotto nella crisi del debito degli altri. Il secondo scenario è quello dell’amministrazione Carter, dove l’aumento eccessivo del debito ha tenuto lontani i compratori dai Treasury e depresso la moneta.

Quello che è certo è che un aumento della spesa pubblica e del peso che lo Stato deve avere in economia, nonché un deficit al livello più alto dal dopoguerra, potranno condurre dritti dritti all’aumento della pressione fiscale. E non solo, dice Summes, su quell’1 per cento della popolazione che è al top del reddito, ma su una base più ampia.

La prima mossa in questa direzione è stata appunto la proposta della Yellen di alzare la corporate tax a livello planetario, per poterlo fare efficacemente in casa propria. Ma certo non si fermerà lì se, come sembra, la nuova amministrazione Biden vuole vuole raddrizzare sia le carenze del welfare americano che del sistema educativo.

Naturalmente su questo scenario c’è anche un’altra campana. Il Nobel Krugman, per esempio, si è detto d’accordo con la politica economica intrapresa da Biden. Il quale sente di avere anche le spalle coperte dagli ammonimenti del Fondo monetario e dell’Ocse, che incoraggiano a spendere, tanto da far parlare il commentatore del Financial Times Martin Sandbu di nuovo “Washington consensus”: “spend big” è la parola d’ordine, e non solo per il vaccino.

La discussione aperta negli Usa porta argomenti di riflessione anche da noi in Europa, dove Carlo Cottarelli, riflettendo sui dati del FMI sui conti pubblici nel mondo, mette in guardia sull’aumento della divergenza tra paesi europei. Quella prodotta dal livello modesto dell’incremento del debito – dell’ordine dei 9 punti nei prossimi due anni – dei paesi più virtuosi come Olanda e Germania, e dall’impennata di Francia Italia, Spagna Grecia, che già partivano da un livello più alto.

Ma è anche la posizione della Bce a presentarsi scomoda. Intanto perché il suo mandato a tenere l’inflazione bassa è più stringente di quello della Fed e quindi non potrà evitare di alzare i tassi per contenerla. Ma che shock potrà procurare questa mossa a un sistema che si è abituato a tassi bassi così a lungo, tassi che hanno condizionato molte scelte di investimenti alternativi. La normalizzazione dei tassi di interesse potrebbe quindi avere un impatto forte sulla stabilità dei mercati finanziari.

E metterà i paesi meno virtuosi in grande difficoltà al momento del rientro in campo di un patto di stabilità che, per quanto rivisto, dovrà comunque prevedere un cammino di riduzione del debito. Uno scenario in cui un aumento dell’inflazione e poi dei tassi potrebbe far divergere ulteriormente gli interessi dei vari paesi. È vero che gran parte dei titoli sono detenuti dalle banche centrali, e quindi un aumento dei tassi non toccherebbe i bilanci pubblici – dice Cottarelli – ma se un aumento dell’inflazione spingesse la Bce a vendere quei titoli per ridurre la liquidità in eccesso prodotta durante il Covid, il cerino acceso si sposterebbe nella mano dello Stato.

Un motivo di ottimismo discende, secondo Agnès Belaisch, Chief European Strategist, Matteo Cominetta is Director of Economic Research di Barings, dall’impegno preso da Christine Lagarde a gennaio scorso di affrontare il tema “on a holistic and multifaceted approach”(https://www.ecb.europa.eu/press/pressconf/2021/html/ecb.is210121~e601112a72.en.html). In che senso olistico? Vale a dire, spiegano, non inchiodandosi a un particolare indice, ma guardando a tutti i segmenti del mercato, dai tassi praticati dalle banche per i prestiti a quelli del settore corporate, ai rendimenti del debito pubblico. Insomma un modo di controllare la curva senza dare sterzate troppo brusche, e accettando anche qualche ritocco verso l’alto nel medio termine, pur di tenere bene sotto controllo l’andamento nel lungo termine.