Nel contesto di una rinnovata competizione fra credito bancario e finanza d’impresa, si riscontra la creazione, da parte, in prevalenza, di managers industriali e finanziari, di veicoli finanziari d’impresa denominati SPAC. Un fenomeno sicuramente in crescita, ancor di più negli Stati Uniti dove appare il segmento più utilizzato, rispetto al ruolo di imprenditori puri e di altre finanziarie di investimento.
Analizziamo questo istituto partendo dalla denominazione, la quale deriva dall’acronimo Special Purpose Acquisition Company e cioè società particolari, che non hanno propria operatività sul mercato, ma nascono al solo scopo di raccogliere capitali immettendo sul mercato proprie azioni tramite IPO (Initial Pubblic Offering), con l’obiettivo della successiva integrazione/fusione (una Business Combination) con una società operativa (Target). Una combinazione necessaria per queste ultime, nel quadro della ricerca di fonti “pazienti” e diverse dal consueto credito bancario.
Sono state offerte diverse possibili definizioni. Quelle che rispettano più compiutamente le finalità del business sono:
La prima evidenzia meglio le caratteristiche competitive della SPAC, ovvero il limitato profilo di rischio e le rilevanti potenzialità di guadagno. La seconda esalta il fine della loro funzione e cioè quello di offrire l’opportunità, ad una società target non quotata, di svilupparsi in tempi rapidi e con capitali idonei e adeguati e diaccedere automaticamente e il prima possibile al mercato azionario, creando valore per tutti gli attori coinvolti.
Questi approcci debbono essere valutati considerando anche la peculiarità dei meccanismi utilizzati, i più idonei per piccole e medie imprese con alto potenziale di crescita, selezionati con la cura dedicata da specialisti in operazioni di corporate e/o investment banking in affiancamento agli imprenditori degli specifici oggetti sociali.
È bene chiarire che le SPAC rappresentano un sistema di accesso ai mercati alternativo all’IPO, certamente meno costoso in termini di intermediazioni necessarie e di oneri impliciti nella gestione del pricing (under o over). Non a caso, negli USA, il volume d’affari delle SPAC ha superato quello delle IPO, dopo averlo pareggiato nel corso del 2020. In Italia, prima esperienza nel 2011, 29 SPAC quotate 3,8mld€ di raccolta e uno già investito nelle società target con, quindi, un ampio spazio di prossima attività di scouting.
Un particolare rilievo assume proprio il ricordo che le prime esperienze statunitensi, non a caso negli anni ’90, furono sviluppate da intermediari irregolari che si proponevano di trasferire, ad un mercato non idoneamente regolato e vigilato, società prive di valore e/o prospettive. Un esito utile generato da un classico abuso di mercato.
Il terreno originario di attenzione comprendeva aziende di molti settori, mentre gli ultimi anni hanno segnato il preponderante ruolo di imprese operanti nelle diverse declinazioni del segmento tecnologico. Un’analisi delle ultime esperienze, non ancora tutte conclusesi, evidenziano la difficoltà per aziende non rientranti in quel settore di attrarre l’attenzione delle SPAC, in ragione della rapida capacità delle nuove tecnologie di creare valore ed accelerare di conseguenza la moltiplicazione degli asset di attenzione.
Un aspetto di incertezza consegue alla mancanza di una normativa dedicata, trovando invece riscontro nell’incrocio di istituti societari e contrattuali del Codice Civile (nell’ambito della disciplina societaria), nel TUF (per quanto riguarda le emissioni, il loro mercato e l’intermediazione) e nel Regolamento dei Mercati di Borsa Italiana spa. La quale propone i segmenti MIV e AIM, il primo dedicato ai veicoli di investimento (quali sono le SPAC) e il secondo con un percorso di quotazione “calibrato sulla struttura delle piccole e medie imprese”, basandosi sulla figura centrale di advisor, denominati “Nominated Advisors”, Nomad. Istituzionalmente questi advisor, anche se non esclusivamente, accompagnano le Società target sia durante la fase di integrazione con la SPAC sia per tutta la permanenza sul mercato e, quindi, non solo per periodi definiti, come erano gli sponsor del Nuovo Mercato oppure delle altre esperienze tentate nel secolo scorso per indirizzare l’imprenditoria di medio-piccole dimensione verso una non eccessivamente ricercata quotazione.
Questo cambio di passo è stato determinante per modificare i numeri delle esperienze, generando interesse da parte di soggetti che, negli ultimi anni, ha superato coloro che hanno proceduto alla quotazione sul segmento MTA. Quest’ultimo appare inoltre, non più essere l’obiettivo finale delle società target, le quali preferiscono – almeno al momento – restare nel segmento che meglio corrisponde all’obiettivo di una quotazione più facilmente controllabile e di una maggiore disponibilità degli investitori (soprattutto fondi e ETF) a interessarsi delle proposte di aumenti di capitali successivi, assistiti appunto dalla costante presenza dei Nomad quali risolutori della naturale illiquidità sui titoli, altrimenti causa di delisting o di decrescita dell’interesse dopo le fasi di collocamento (che non avviene esistendo già la SPAC) e di prima negoziazione (cui la nuova società è gia abituata). Le aree più critiche storicamente per molti soggetti “dimenticati” nel contesto del MTA.
Due considerazioni meritano un approfondimento. Il successo delle SPAC non è collegabile tecnicamente con le condizioni di crisi ripetute dei mercati finanziari. Le operazioni più rilevanti nei mercati principali non influenzano in modo marcato le aziende minori che, invece, appaiono trarne vantaggio quale “safe harbor” meno sensibile a episodi speculativi (di take over o di abbandono senza assistenza). La seconda ragione di validità risiede nella complementarietà delle SPAC e dell’AIM con le attività di private equity, cui spesso manca la capacità di mantenere l’attenzione dopo le fasi di selezione delle opportunità, assistenza nella struttura finanziaria e guida verso i mercati di quotazione.
L’ottimismo suscitato deve essere temperato dal riscontro di alcuni fattori determinanti. In primo luogo, le SPAC sono il campo di azione della consulenza corporate tipica del banchiere d’affari con orizzonte d’azione di medio lungo periodo, dotato di esperienze multitasking, inserito nel circuito di intermediazione, indipendente dal circuito delle banche commerciali (benché conoscitore delle stesse). Il business model è orientato verso l’accurata selezione delle opportunità per la ricerca della società con cui integrarsi e la precisa visione a termine degli interessi delle società target, una dimensione non eccessiva e una generazione di flussi finanziari non orientata verso l’ingresso di nuovi capitali quanto verso l’autofinanziamento generato dalle plusvalenze prodotte dalla mantenuta quotazione della SPAC dopo l’acquisizione della società target. Il fatto che siano esse originariamente quotate diminuisce il peso dell’indebitamento, un fattore che condiziona il permanere con successo di altre logiche di azione nel mondo del private equity.
Infatti, nel percorso verso il mercato che caratterizza il cammino delle SPAC avviate verso la loro IPO, tecnicamente, giocano un ruolo essenziale la natura di “unit” delle azioni emesse dalle SPAC (una sorta di quote di un “fondo” dedicato all’acquisto delle azioni della società obiettivo finale) e il trasferimento delle stesse ad una fiduciaria che funge da garante per il corretto indirizzo dei capitali verso i canali che hanno suscitato l’interesse dei sottoscrittori.
Un soggetto terzo che risultava carente in altre iniziative ispirate alle medesime finalità. Le units sono dotate di facoltà di recesso qualora i risultati (o meglio i comportamenti) delle società target non fossero in linea con gli accordi contrattuali originari. Con tutte le cautele, possiamo individuare queste somme come un deposito fiduciario più protetto rispetto al diretto investimento azionario.
L’attenzione del management è pertanto dedicata al controllo della gestione della SPAC, attento a individuare non solo la migliore opportunità di investimento, quanto la decisione eventuale di liquidare la SPAC, quando il percorso avviato si presenti diverso da quello impostato nei singoli business plan. La struttura degli investimenti ottimali deve mantenere ipotesi di scalabilità, ovvie ipotesi di crescita nel tempo e forte controllo della SPAC sulla gestione aziendale (e non solo finanziaria). Questa rappresenta la corretta lettura della combinazione di attività di corporate e investment banking, attente a monte e a valle nell’intero processo di avvicinamento e presenza sui mercati (protetti dai Regolamenti che li disciplinano). Resta attivo il naturale rischio imprenditoriale.
Il processo ora descritto contempera gli interessi dei detentori delle units, che possono decidere non solo l’approvazione delle opzioni di investimento della SPAC, ma anche la loro posizione individuale attraverso il recesso (o lo svincolo) dei singoli investimenti, qualora non condivisi utilizzando la natura di deposito fiduciario e la possibilità di svincolo.
Un’opzione di uscita che si accompagna alla prospettiva prescelta da altri detentori di units di percorrere la ricerca del guadagno nel caso della permanenza quali shareholder nelle operazioni proposta. Un’opzione invero particolare rispetto al consueto rischio azionario.
In tutto questo contesto giocano un ruolo determinante le capacità strategiche e la capacità di analisi dei diversi attori, i manager degli SPAC proponenti le opportunità di investimento, i singoli unit holders liberi nelle loro scelte e il management delle singole società capaci o meno di utilizzare al meglio i fondi a loro disposizione. Ognuno può compiere errori di valutazione, ma – nello stesso tempo – può limitare l’impatto degli errori degli altri. In definitiva, la SPAC è azienda che non produce, non vende, ma coordina (con la necessaria capacità) gli interessi dei diversi stakeholders che ruotano attorno ad essa. Un incrocio che spesso determina conflitti virtuosi.