SPAC: Moda o Modello ?

Il termine SPAC è l’acronimo di Special Purpose Acquisition Company. si tratta di un metodo indiretto per la società Target di aprire il proprio capitale sul mercato. Da qualche anno le SPAC hanno fatto la loro apparizione sul mercato azionario italiano. Il modello, ispirato a quello USA, è stato introdotto nel regolamento di Borsa Italiana nel 2010 ed utilizzato a partire dal 2011. Esso ha fino ad oggi prodotto una dozzina di progetti, che hanno mobilizzato complessivamente oltre 1 miliardo di euro.

Marco Maria Fumagalli

In cosa consistono le SPAC? Un gruppo di Promotori (persone fisiche quali professionisti, manager) raccoglie da Investitori Professionali del capitale quotando la SPAC ed assumendone il ruolo di amministratori. Unico scopo della SPAC è quello di individuare, in un breve lasso temporale, una società operativa non quotata, la società “Target”, con cui integrarsi, in genere tramite fusione. La SPAC porta quindi “in dote” alla Target due preziosi asset: la quotazione e la propria liquidità.

Gli investitori che non gradiscono la Target individuata possono recedere dall’investimento, recuperando pressoché tutto il capitale investito, mentre i Promotori ricevono come compenso per la loro opera una quota di azioni della Target attraverso meccanismi più o meno complessi che mirano ad allineare il loro interesse a quello degli Investitori. Se i Promotori sono incapaci di individuare una Target nel tempo prestabilito o quest’ultima viene “bocciata” da una maggioranza qualificata degli Investitori, la SPAC si liquida e i Promotori sopportano le perdite legate ai costi dell’iniziativa.

In massima sintesi la SPAC non è altro che un metodo indiretto per la società Target di aprire il proprio capitale sul mercato. Metodo chiaramente alternativo all’ IPO tradizionale.

Il recente moltiplicarsi delle iniziative e la ripetitività di alcune di esse richiede tuttavia una riflessione più approfondita su quali siano, se ci sono, i vantaggi dell’”andare pubblici” tramite la SPAC. In particolare impone una riflessione se questa sia solo una moda passeggera guidata dall’ampia liquidità e dall’interesse dei Promotori (tra i quali si annovera un gruppo crescente di professionisti della financial industry domestica), o possa rappresentare un modello duraturo per favorire l’apertura del capitale delle nostre SMEs.

Dal punto di vista della società Target (e dei suoi azionisti) un primo vantaggio risiede nella maggiore semplicità del processo e nei costi monetari più limitati rispetto ad una IPO tradizionale.

Un secondo vantaggio concerne invece l’identificazione del prezzo a cui collocare le azioni. Essonon è affidato, come nelle IPO, agli intermediari finanziari ed all’incerto meccanismo dell’open price bookbuilding, ma è negoziato (in termini di rapporto di concambio) con i Promotori. Si tratta di una differenza non da poco, considerati i numerosi casi di IPO partite con aspettative di valore totalmente disattese alla prova dei fatti, per non parlare di quelle ritirate perché non coperte a sufficienza.

Ma perché il pricing negoziato dai Promotori dovrebbe essere più “corretto” rispetto a quello del bookbuilding, che buona parte della letteratura accademica sostiene essere la modalità più efficiente, superiore anche alle aste? Nel bookbuilding il prezzo è la risultante di una curva di domanda aggregata formatasi sulla base delle manifestazioni di interesse dei singoli investitori. Questi ultimi valutano la società in larga parte sulle stime di risultati futuri fornite dagli analisti delle banche del consorzio, le quali mettono in gioco la loro reputazione per supportare l’operazione.

Nel caso della SPAC sono viceversa i Promotori che mettono in gioco il loro capitale reputazionale, con l’aggiunta che nel “garantire” le future performance della Target essi dovrebbero fare qualcosa in più: contribuire con il loro lavoro a raggiungere i risultati.

Infatti l’elemento essenziale che dovrebbe rendere le SPAC iniziative virtuose risiede nel rapporto che si instaura tra Promotori e società Target. I Promotori sono comunque persone con un ampio e diversificato background professionale (con esperienze industriali, finanziarie o nella consulenza strategica) che debbono rimanere legate alla Target nel medio termine, supportando l’imprenditore e il management in quei processi di crescita (organizzativa e gestionale), di M&A e di internazionalizzazione di cui le SMEs italiane hanno certamente bisogno. Sotto questo profilo il commitment dei Promotori dovrebbe evitare quel fenomeno di “allontanamento” da parte delle banche dopo il collocamento, così frequente nelle IPO di piccola dimensione.

E qui veniamo a quello che spesso viene visto come un punto critico delle SPAC: il “costo” dei Promotori, rappresentato dalle azioni della Target che essi ricevono e che rappresentano per i suoi soci originari una diluizione.

Questo costo (figurativo) può essere materiale, sicuramente superiore a quello (monetario) delle commissioni di una IPO, anche se resta nell’esperienza italiana inferiore al benchmark USA dove i compensi per i Promotori mimano il classico 20 % di carried interestdel private equity.

Su questo tema bisogna ricordare che, per un corretto allineamento degli interessi, è essenziale che la ricompensa dei Promotori non solo sia funzione dell’apprezzamento degli strumenti sottoscritti dagli investitori, ma sia limitata ad un arco temporale coerente con il loro contributo professionale e, quindi, non eccessivamente dilatato.

Infine, a livello di “sistema” vi è un ulteriore vantaggio delle SPAC, consistente nel fatto che i Promotori alla ricerca della Target migliore indirizzano il proprio scouting verso imprese poco visibili (ma non certo “minori” per qualità o dimensione), che probabilmente non avrebbero intrapreso autonomamente la strada della quotazione. Non è un caso che molte SPAC siano quotate sul mercato AIM, un mercato più semplice, di “acclimatamento”, dove non sono richiesti i principi contabili internazionali, che imprese di questo tipo non adottano volontariamente.

La performance delle SPAC quotate fino ad oggi appare mediamente positiva sia in termini assoluti che nel confronto con indici mid-cap. Le Target scelte sono tutte aziende di buona qualità, alcune delle quali hanno avuto una crescita veloce e significativa.

Il recente positivo fenomeno dei PIR, che stanno riversando sulle SMEs quotate abbondante liquidità rischia di rivelarsi critico per la ristrettezza dell’universo investibile. C’è la domanda di titoli, ma è poca l’offerta di imprese.

In tale contesto, la SPAC è un utile strumento disponibile per le SMEs per avvicinarsi al mercato dei capitali; tuttavia esso deve essere gestito con cura, evitando una “corsa” al prodotto, quale sistema di sicuro guadagno.

Le SPAC devono essere rispettose di corretti equilibri tra gli interessi dei tre stakeholder coinvolti (Investitori, Promotori, Impresa e suoi soci): solo così possono essere efficaci nel tempo per aumentare l’offerta di imprese quotate. Evitando approcci opportunistici esse potranno contribuire a quella transizione del nostro sistema finanziario verso un modello market oriented che è certamente un obiettivo desiderabile di politica economica.