Come rispondere alla crescente domanda di prodotti ESG garantendone la qualità e l’affidabilità? Il primo passo è rendere i rating ESG comparabili. Ecco la proposta di una "mappa logica" da seguire per il processo di allineamento
Sono passati ormai due anni dalla pubblicazione dell’Action Plan sulla Finanza Sostenibile da parte dell’Unione Europea e dell’avvio dei lavori del Technical Expert Group. In questi anni, l’Unione Europea ha inviato, e continua a inviare, un messaggio ben chiaro: la sostenibilità non è più una scelta ma è un dovere e un diritto.
È proprio su queste basi che i policy makers europei hanno concentrato le loro attività, favorendo la creazione di un sistema finanziario che favorisca la crescita ad impatto sociale ed ambientale positivo. Le linee guida sugli investimenti ESG (Environmental, Social and Governance) sono di fondamentale importanza affinché intermediari finanziari, asset manager ed investitori istituzionali possano orientare gli investimenti in attività ad impatto ambientale positivo. Nella stessa prospettiva, la Commissione Europea ha già pubblicato le prime Comunicazioni in materia di Non Financial Disclosure, così come previsto dalla Direttiva 2014/95/UE in materia di dichiarazioni non finanziarie.
In questa prospettiva gioca un ruolo cruciale il “nuovo” Rating ESG, o rating di sostenibilità, che rappresenta un giudizio sintetico che certifica la solidità di un emittente, di un titolo o di un fondo dal punto di vista delle performance ambientali, sociali e di governance. Questo rating, complementare rispetto al rating tradizionale che giudica la solvibilità di strumenti ed emittenti, è oggi già utilizzato dagli operatori, sia per la costruzione di appositi indici, sia allo scopo di migliorare le valutazioni in termini di scelte d’investimento ESG.
Esiste tuttavia un elevato grado di disomogeneità tra le varie tipologie di rating ma, soprattutto, una sostanziale ibridizzazione tra rating e giudizi di scoring, causa ed effetto di un conseguente errato utilizzo degli stessi. Infatti, è bene ricordare che mentre le metodologie di assegnazione del giudizio di rating adottano parametri qualitativi e quantitativi, lo scoring è un punteggio che viene calcolato attraverso l’applicazione di un algoritmo o di un modello statistico prefissato.
Per tali motivi, il percorso del legislatore europeo rende la valutazione ESG di un emittente, o di uno strumento finanziario, un elemento non più trascurabile per le scelte strategiche di manager e investitori, nonché come parametro da considerare anche in un’ottica di risk management.
L’obiettivo è quindi quello di superare il concetto di rating ESG come etichetta o parametro di valutazione della sostenibilità di un’impresa o di uno strumento finanziario. A tal proposito, l’ESMA, a margine di una consultazione pubblica riguardante un rinnovamento della strategia sulla finanza sostenibile, ha recentemente condiviso con la Commissione Europea le proprie osservazioni riguardanti le sfide sui principali cambiamenti da adottare in tema di Rating ESG e strumenti di valutazione. In particolare, l’autority europea ha evidenziato il bisogno di rispondere alla crescente domanda di prodotti ESG con un appropriata regolamentazione in grado di garantirne la qualità e l’affidabilità, anche al fine di evitare lo sviluppo di fenomeni di greenwashing.
Tale richiamo evidenzia l’importanza di porre le basi per un impianto metodologico sui rating ESG che sia “EU Compliant” e che favorisca la comparabilità tra i diversi rating di sostenibilità, al pari di quello tradizionale.
In un recente contributo pubblicato su Rivista Bancaria – Minerva Bancaria (www.rivistabancaria.it) in tema di rating ESG, infatti, una review delle metodologie adottate dalle principali agenzie di rating a livello globale ha evidenziato un evidente e non marginale disallineamento nei giudizi forniti, dovuto all’utilizzo di parametri e principi di valutazione spesso diversi tra loro, e che, nella maggior parte dei casi, limitano il perimetro della finanza sostenibile, riducendo il tutto a variabili discriminatorie ai fini delle scelte di portafoglio.
Per tali motivi, lo studio suggerisce una maggiore standardizzazione del quadro regolamentare, la quale consente di favorire la trasparenza e il miglior funzionamento del mercato, così come previsto dalla Direttiva MIFID II e dalla Direttiva 2014/95/EU (meglio conosciuta come NFRD – Non Financial Reporting Directive) in tema di disclosure. Ma anche di allineare di riflesso le metodologie di rating verso giudizi comparabili.
La tabella sottostante schematizza il passaggio logico possibile tra gli adempimenti che la NFRD prevede a carico delle imprese, suddivisi per macro ambiti, e il conseguente allineamento delle metodologie adottate dalle agenzie di rating per la definizione finale del rating di sostenibilità.
Una mappa logica come quella proposta potrebbe risultare utile a stimolare un processo di allineamento tra rating di sostenibilità e dichiarazioni non finanziarie.