MONDO PRODUTTIVO E STRETTA MONETARIA
Sono ottimista sul 2023, ma non scoraggiate le imprese

intervista a Francesco Rolleri, presidente di Confindustria Piacenza

L’aumento dei tassi non creerà giacimenti di gas e nemmeno aumenterà la fornitura di energia elettrica. Invece disincentiverà investimenti che nel medio periodo potrebbero abbassare strutturalmente il costo dell’energia. Rischiamo di avere meno crescita e di subire comunque una inflazione da shock energetico. Ecco il punto di vista dell'imprenditore nel convegno Banche e Imprese

Il Convegno Banche e Imprese che si è tenuto a Piacenza e durante il quale è stato presentato il nuovo numero di “Economia Italiana” dal titolo: “Rethinking Debt Sustainability?”, è stato anche l’occasione per una tavola rotonda a cui ha partecipato il presidente della Confindustria di Piacenza, Francesco Rolleri (nella foto). Ecco in questa intervista il suo punto di vista su tassi, inflazione, politica economica.

Nel mese di novembre il tasso d’inflazione si è confermato in doppia cifra, anche se la corsa verso l’alto sembra essersi interrotta. Abbiamo davvero toccato l’apice oppure dobbiamo aspettarci ulteriori accelerazioni nel 2023?

«Per la prima volta dopo quasi metà anno l’inflazione non è aumentata, e questo è un fatto. Il costo dell’energia è la variabile che ha guidato larga parte di questa salita e nelle ultime settimane fortunatamente il prezzo di gas e corrente elettrica si è allontanato dai picchi estivi. Molto dipenderà dalle quotazioni sul mercato. Un altro elemento che suggerisce un picco lo stiamo notando nelle nostre aziende: il prezzo degli utensili per la lavorazione del metallo ha smesso di salire. Un segnale forte, perché se l’inflazione si è fermata a monte, allora presto anche a valle, ovvero tra i consumatori finali, i rincari dovrebbero arrestarsi. C’è poi un elemento economico: chiuderemo il 2022 ancora con una crescita sostenuta, che dovrebbe essere però più contenuta nel 2023. Questo aiuterà a non surriscaldare nuovamente i listini».

Quindi dobbiamo temere un 2023 segnato da una stagnazione o, addirittura, una recessione?

«Lamentarsi di un rallentamento dell’economia prima che questo si sia realmente verificato è una abitudine che non mi appartiene. Se di colpo tutti annunciassimo una recessione rischieremmo di dar vita ad una profezia che si autoavvera, ponendoci in maniera pessimista nei confronti del prossimo futuro. Sul 2023 io sono ottimista, ed è un sentimento condiviso dal settore industriale. Gli ordinativi continuano ad arrivare e la principale criticità attuale dell’industria piacentina, tolto il dossier energia, è la difficoltà a reperire il personale necessario a soddisfare la domanda. Le previsioni negative che si profilavano durante l’estate, ad oggi, non si sono verificate, anzi. La congiuntura è comunque in evoluzione, penso al rialzo dei tassi da parte delle banche centrali».

La politica monetaria per quasi un decennio è stata ultraespansiva, nell’ultimo anno i banchieri centrali si sono trovati a dover rialzare i tassi per contrastare l’inflazione. Questo cosa comporterà per l’industria?

«Il nostro tessuto economico, mi riferisco a Piacenza ma anche all’Emilia-Romagna tutta, è cresciuto laddove ha saputo investire in questi anni. Alcune misure governative come Industria 4.0 hanno certamente contribuito, ma il contesto in cui dovevamo operare era di tassi ai minimi storici. Il gioco è cambiato di colpo proprio perché i banchieri centrali hanno risfoderato la politica monetaria, con un significativo rialzo dei tassi nell’arco di pochi mesi. Nel caso della BCE, una decisione indotta anche a livello politico nell’ormai cronico braccio di ferro tra “falchi” del Nord e “colombe” del Sud Europa, ma anche dalla necessità di mettere un pavimento ai tassi reali per non mettere troppo sotto pressione il settore finanziario. Meno decifrabile è però la ragione economica dietro a questa scelta. L’obiettivo principale di una stretta monetaria è soffocare la crescita, rendendo più onerosi gli investimenti e remunerando il risparmio, così poi da fermare la corsa dei prezzi. Ma la causa principale dell’inflazione attuale è sostanzialmente esogena, e deriva dalle materie prime e dall’energia».

Se ne deduce che lei giudica negativamente le scelte di Christine Lagarde.

«La giudico fuori tempo. L’aumento degli oneri finanziari a carico delle imprese non faranno che ridurre il margine degli utili e scoraggiare gli investimenti. L’aumento dei tassi di certo non creerà giacimenti di gas e nemmeno aumenterà la fornitura di energia elettrica. Anzi, disincentiverà investimenti che in questo momento sono strategici e che nel medio periodo potrebbero abbassare strutturalmente il costo dell’energia. Rischiamo di avere meno crescita e di subire comunque una inflazione da shock energetico: non è il caso di indurre l’Europa in una stagflazione, proprio ora che si erano creati i margini per un reshoring di attività produttive strategiche».

Ma l’Europa è sufficientemente competitiva per poter attrarre queste produzioni?

«Lo può, anzi lo deve essere. L’aumento dei tassi tuttavia rischia di rendere meno competitivo il nostro sistema economico che sta già affrontando la transizione energetica, il calo demografico e i rincari energetici, che ricordo essere prima di tutto di natura geopolitica e di fatto circoscritti al nostro continente. Combattere l’inflazione con un raffreddamento dell’economia rischia di favorire i concorrenti dei Paesi asiatici, penso alla Cina che dopo la crisi del 2008 ha portato a oltre il 50% la propria quota di mercato mondiale della meccanica».

Quindi qual è la ricetta ideale?

«Mettere gli imprenditori italiani ed europei nelle condizioni migliori per lavorare. L’economia sta reggendo e l’industria guarda lontano, sia per via del PNRR che per i notevoli investimenti messi in campo. L’inflazione è di natura esogena: dobbiamo metterla in conto ma non illuderci di poterla combattere come se fosse endogena. Rischieremmo solo di pagarla due volte, senza risolvere il problema».

S.DA.