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TRUMP&FED
Sognando un Powell robot

Si rischia una guerra permanente tra casa Bianca e Fed. Soprattutto ora che con la robusta crescita economica negli Usa e il suo mercato del lavoro assai vivace, il passo del taglio dei tassi intrapreso da mesi potrebbe rallentare. O addirittura invertire temporaneamente la marcia

Paola Pilati

Il rapporto tra Donald Trump e Jerome Powell non è mai stato facile. Già dal primo mandato del capo della Fed, nominato proprio da Trump, c’erano state scintille per la debordante personalità del presidente, convinto, come ha ribadito anche adesso, di saperne di tassi molto più dei banchieri centrali. I comunque di volerli più bassi possibile e in fretta.

Con la rielezione di Trump, il confronto è ricominciato: “potrei licenziarlo, ma non lo farò, però potrei farlo e lui dovrebbe obbedire”, ha messo in chiaro il nuovo presidente, twittando che sarebbe così bello se la Fed riportasse i tassi a zero o anche sotto.

Ce n’è abbastanza per accreditare uno scenario di guerra permanente tra casa Bianca e Fed. Soprattutto ora che con la robusta crescita economica negli Usa e il suo mercato del lavoro assai vivace, il passo del taglio dei tassi intrapreso da mesi potrebbe rallentare. O addirittura invertire temporaneamente la marcia, imponendo ritocchi all’insù se l’inflazione dovesse rialzare la testa, come la Fed sembra temere.

La missione della Fed è quella di mantenere sempre quel delicato equilibrio tra difesa dell’occupazione e bassa inflazione, senza sacrificare l’una a vantaggio dell’altra. Ma questo mandato non è mai andato giù a Trump, che dopo aver promesso agli americani di riportare il costo del denaro e dei mutui alla portata di tutti, vuole dare subito prova del suo tocco magico rispetto a Biden, bocciato dall’americano medio che gli ha addebitato i rincari.

Anche se non arrivasse a licenziare Powell, basterebbe però a Trump lavorarlo ai fianchi di fronte all’opinione pubblica e ai suoi supporter politici. Un lavoro di discredito che potrebbe aumentare per esempio se Trump indicasse da subito il successore designato a rimpiazzare Powell alla fine del suo mandato, nel 2026. Un presidente ombra sarebbe in grado di condizionare i mercati con i suoi interventi e rendere l’incarico di Powell assai più complicato.

Per non parlare della possibilità che il Congresso, ormai nelle mani di Trump, potrebbe anche decidere di rivedere la legge che tutela l’autonomia della Fed, la quale per quanto autonoma dal potere presidenziale, è comunque al Congresso che deve fare riferimento.

Il conflitto, così patente e potenzialmente esplosivo, alimenta anche altre suggestioni. Come quella di Chris Giles sul Financial Times che si chiede: “la politica monetaria può essere automatizzata?”. In altri termini: Powell potrebbe essere sostituito con un robot?

Tutto parte da uno studio della BIS (https://www.bis.org/publ/qtrpdf/r_qt2412d.htm), che esamina come le banche centrali dei sette paesi più avanzati si sono comportate nel combattere l’inflazione, documentando come nella pratica abbiano operato reagendo soprattutto ad un’inflazione da domanda piuttosto che da offerta.

L’algoritmo di politica monetaria più famoso è la Taylor rule che stabilisce che quando l’inflazione è alta e la capacità produttiva è usata al suo massimo, i tassi di interesse devono essere alzati. Al contrario, servono tassi bassi quando occorre stimolare l’economia e l’inflazione è sotto il target del 2%.

Ma non è obbedendo a questa regola che le banche centrali si sono mosse quando l’inflazione ha avuto origine da uno shock di offerta, come può essere l’aumento dei prezzi del petrolio: in questo caso, dimostra lo studio Bis, nelle decisioni di politica monetaria vengono utilizzati altri dati prima di azionare la leva dei tassi, che avendo un effetto ritardato rispetto ad eventi magari effimeri, finirebbero per congelare l’economia ben oltre la necessità.

Insomma, la Taylor rule ha di fatto un’applicazione asimmetrica a seconda dell’origine dell’inflazione, se da domanda o da offerta. Il difficile, per le banche centrali, può essere capire immediatamente di quale delle due inflazioni si tratta. Ma oggi sono a disposizione molti più dati e indicatori del passato che possono aiutare i banchieri centrali a fare la loro diagnosi in merito.

Qui nasce la domanda: sarebbe dunque immaginabile di poter affidare le decisioni di politica monetaria a un robot? Una AI evoluta potrebbe prendere decisioni migliori e più rapide dei consessi che vivono dentro il tempio della banca centrale?

Una risposta lo studio della Bis non la dà. Ma la tentazione di offrire all’amico Donald una soluzione definitiva nel suo conflitto con la Fed potrebbe venire all’imprevedibile Elon Musk: un Powell-robot programmabile come il nuovo inquilino della Casa Bianca desidera. Fantapolitica?

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