Tecnicamente il mercato è entrato in una fase "orso", anche se con caratteristiche non riscontrabili nel passato. L'orientamento è al ribasso, e sarebbe il momento migliore per chi vuole vendere. Eppure è proprio l'incertezza generale a sostenere un certo equilibrio
La più lunga fase ciclica di salita dell’indice di Borsa più significativo e seguito del mercato finanziario si è tecnicamente interrotta nel momento in cui il trend di discesa ha superato i 90 giorni.
Il dato riguarda lo S&P 500 (passato da 4.800 a 3.900) e può essere esaminato anche quale mediano rispetto al DJIA 30 (sceso da 36.000 a 32.000) e al NASDAQ COMPOSITE (passato da 16.000 a 12.000).
L’esame può partire dall’approfondimento del grafico qui sotto, che riproduce la situazione al 20 maggio 2022 ed espone la situazione dello S&P 500.
Il territorio che individua il bear market territory (la partenza della fase “orso”) di discesa è definita dal superamento della barriera del 20%; l’angolo che disegna la tendenza esprime la forza del ribasso in corso che ripropone il trend del 2007-2008 e resta lontano da quello relativo al periodo 1940-42, il più lungo, notoriamente riferito allo sviluppo della fase iniziale della II^ guerra mondiale. I cicli negativi del 1931-32 (il più marcato) e del 1987 si generarono e svilupparono con una tendenza inferiore. Quello del 2020 non assunse mai i connotati di un trend al ribasso (durando meno di 30 giorni). La durata tendenziale del ciclo in formazione lascia immaginare una durata non breve (verso i 250-300 giorni), peraltro ancora del tutto da verificare.
Poiché la fase ciclica in corso è calcolata dal massimo del 3 gennaio 2022, l’inizio è riconducibile a fattori differenti dall’evento bellico del conflitto fra Russia e Ukraina per i primi 51 giorni, rispetto ai successivi 88 censiti nel grafico.
L’analisi di alcuni titoli evidenzia come, nel mese di maggio, si sia superata la fase di lateralità che aveva caratterizzato il semestre precedente e ciò proprio per i titoli che maggiormente avevano sostenuto il rialzo degli indici equally weighted. Per necessaria completezza è opportuno aggiungere che il riferimento ad un anno mantiene un trend positivo per quasi tutti i maggiori titoli per circa il +10% nonostante la caduta intorno al -25% dai valori massimi.
Sotto un altro profilo è utile sottolineare che restano presenti comportamenti d’acquisto che si manifestano dopo le giornate di ribasso che ne attenuano il ritmo e, soprattutto, evitano manifestazioni di panico nei comportamenti dei numerosi investitori che detengono azioni in ragione della situazione contingente e non per coerenza con la propria effettiva propensione al rischio.
Non è agevole esprimere una convinta previsione per il periodo a venire, sia per il sovrapporsi di eventi esogeni, macro-sistemici e extra-economici, sia per la somma di errori precedentemente commessi dagli analisti per quanto riconosciuti come esperti quali:
In merito al sentiment del mercato, l’andamento giornaliero continua ad evidenziare altalene, seppur con il citato orientamento al ribasso. Al momento, forse ancora il più idoneo, la propensione alle vendite non prevale in modo evidente, anche perché non emergono alternative di investimento attraenti al punto da spostare gli ingenti capitali coinvolti. Ricordiamo che i principali titoli di DJIA, S&P500 e NASDAQ 100 espongono una capitalizzazione superiore a 10.000mld$, una somma che non trova parallelo accoglimento potenziale in nessuna altra asset class, senza alimentare un rischio potenziale indesiderato e non coerente con il profilo della variegata qualità dei detentori diretti ed indiretti di tali titoli azionari.
L’assenza di alternative evita lo “scoppio della bolla”, sempre che di bolla effettivamente si tratti. È certamente vero che solo Apple e Microsoft rappresentino attività economico produttive tangibili, ma è ormai riconosciuto che gli asset delle altre maggiori società hanno un valore in quanto “informazioni” gestite anche loro in termini di magazzino e di crescente differenziazione della loro qualità e riproducibilità. I cardini dell’economia aziendale e dell’economia dei mercati mobiliari risultano quindi confermati da una più moderna lettura dei bilanci di queste aziende.
Ritengo utile riproporre alcune valutazioni esposte nel corso degli anni ’10 in merito ai trend rilevati nelle fasi di crescita degli indici dei mercati. Quelli più rilevanti sono stati caratterizzati da una tendenza (l’angolo formato dal trend rispetto all’asse delle ascisse) superiore a 45°. Altri momenti di salita delle quotazioni con angolo inferiore non hanno mai generato ribassi significativi con impatti sui comportamenti del mercato.
Il ciclo di cui trattiamo in questa nota presenta la caratteristica singolare di avere costantemente un’angolazione vicina ai 45°. Ciò significa ad evidenza proporzionalità fra lo scorrere del tempo e la tendenza del rialzo con una coordinata dinamica della domanda e dell’offerta; le condizioni teoriche che conducono verso l’efficienza dei mercati, ampi, spessi e profondi. La lunghezza del ciclo trova motivazione nella continuità della sostituzione di soggetti compratori e venditori senza il prevalere di alcuno.
Il disegno grafico non trova riscontri comparabili nel passato e lascia il dubbio se, al suo termine, si possa registrare una tendenza ribassista che compensi la inusuale fase di rialzi su tempi altrettanto lunghi, oppure un rientro più modesto in relazione alla diminuzione dell’angolazione del rialzo al di sotto dei 45°. Certamente, il ritmo intermedio della crescita ha evitato di attrarre gli investitori meno informati ed avveduti.
Sotto un profilo comportamentale, il mercato dimostra di non aver “voglia” di un ribasso troppo marcato e che vi siano forze disponibili a riprendere gli acquisti su prezzi più bassi e, forse, orizzonti temporali di investimento più allungati. Lasciano propendere in questo senso le reazioni evidenziate a seguito di due eventi sistemici “forti” nel periodo di rialzo, quali la pandemia sanitaria e l’evento bellico (oltre alla crisi degli Stati Sovrani nel 2012, alla crisi cinese e all’effetto Brexit del 2016).
Peraltro, il fattore dividendi con i suoi numeri particolarmente incentivanti nel 2022, ha favorito le tradizionali reazioni generate dal loro effetto sui multipli più condivisi dagli operatori.
Le valutazioni qui esposte non concernono peraltro singoli investimenti, titoli o settori quanto la capacità del sistema economico nel trovare aree di sviluppo e sostituzione con rapidità a fronte di eventi che modificano le condizioni ambientali di riferimento. Un’ulteriore conferma dell’importanza di contare su indici, benchmark e strumenti finanziari di gestione correlati che guidino la composizione dei portafogli attraverso un asset management in sé non eccessivamente dinamico, ferma restando l’opportunità (in sé rischiosa ma accattivante) di gestioni attive guidate da information ratio comunque condizionati da un denominatore (la tracking error volatiliity) strutturalmente più elevata della media.
Infine, è ipotizzabile che, quando si verifica un cambio di scenario, alcuni titoli value diventino growth e viceversa. In tal caso l’eventuale sovra-performance del value sarebbe particolarmente consistente perché i mercati sono ancora fortemente focalizzati sul growth e molto sottoesposti al value. La maggior parte degli investitori non è ancora disposta ad abbandonare l’investimento growth e non si assiste ancora ad un vero spostamento verso il ”value”, anche perché non tutti i primi possono effettivamente diventare i secondi.
In conclusione (per quanto possibile), l’insieme delle incertezze sostiene – paradossalmente ma non troppo – i mercati finanziari, destinatari – non dimentichiamolo – dell’abbondante liquidità di cui numerosissimi investitori, per lo più istituzionali, dispongono. Almeno…. per ora.