approfondimenti/politica economica
Sì ai tassi negativi purché per poco

I vertici della Bce hanno fatto capire che si va verso il taglio del tasso di interesse sui depositi delle banche al di sotto dello zero. I benefici non sono sicuri ma in questo clima di incertezza la banca centrale è convinta che quest’arma non convenzionale vada usata. Anche se poi gli operatori reagiranno...

Giuseppe Guglielmo Santorsola
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Uno studente di economia si forma partendo dal concetto che il capitale deve essere remunerato. Investire con rendimento negativo appare quindi assurdo, ritenendosi preferibile trattenere la liquidità. Molti italiani ricordano peraltro che, agli esportatori di capitali, negli anni ’60-’70 le banche elvetiche offrivano depositi in franchi svizzeri con rendimenti negativi resi positivi per il cliente che trasferiva somme nella propria valuta (la lira) proteggendole dal degrado del cambio e del potere di acquisto.

Ulteriore esperienza si è realizzata in Eurolandia nel 2011 quando, con lo spread ai massimi, le emissioni di titoli tedeschi offrivano rendimenti vicini allo zero con risultati effettivi negativi perché il collocamento con alta domanda generava prezzi di sottoscrizione superiori a 100. Talvolta è accaduto che la strategia si sia rivelata pericolosa, col rischio di mancata copertura dei volumi in offerta (in particolare nelle aste di novembre 2012). Talché qualche volta la riduzione dello spread è stata generata dall’aumento dei tassi tedeschi più che dalla diminuzione di quelli dei Paesi più fragili.

Nei tempi attuali si parla di taglio del tasso di interesse sui depositi delle banche presso la Bce al di sotto dello zero. La finalità sarebbe il rendere più lineare la transizione dal periodo pre-Omt (Outright monetary transactions) a quello post-Omt, con riserve complessive molto più contenute di quelle, oggi eccessive. Questi accadimenti meritano un approfondimento.

Benoît Cœuré, membro belga della Bce, ha definito l’opzione tassi negativi come “assai probabile”. Mario Draghi ha più volte dichiarato, con l’ufficialità che ne caratterizza (o condiziona) le esternazioni, che la Bce è tecnicamente pronta, ma non ha mai confermato la decisione di attuare la misura. Joerg Asmussen, membro tedesco della Bce, ha invece espresso proprie riserve sull’efficacia dello strumento. Bostjan Jazbec, banchiere centrale sloveno, ha ammesso di ritenere difficile il concetto stesso di “tassi negativi”. Per l’economista Angelo Baglioni la misura è potenzialmente controproducente, mentre per altri è ancora un “terreno inesplorato”. Uno studio del Fmi ipotizza invece, in modo anomalo, la misura come un “segnale di responsabilità”. Alan Blinder della Princeton University li analizza, peraltro per il mercato americano, e ne valuta l’efficacia sulla base di un approccio misto keynesiano e monetarista, per il quale manca la verifica applicativa.

Peraltro, imputare tassi negativi sulle riserve bancarie “in eccesso” stimola le banche a liberarsene investendo in titoli o erogando (non però attualmente) prestiti alle imprese. La tentazione di considerare l’ipotesi sussiste, soprattutto nella condizione in cui i tassi di mercato sono comunque estremamente bassi e – quasi ufficialmente – dichiarati mantenibili su quei livelli.

Dal punto di vista delle banche, pagare per posizionare liquidità è anomalo nonché costoso. In conseguenza di questa anomalia, qualora realizzata le banche sopporterebbero un costo (basso) per la moneta calda (immaginiamo 0,1-0,2%) e si avvantaggerebbero del differenziale fra costo del rifinanziamento presso la Bce e tassi di mercato. Il mercato interbancario risulterebbe peraltro bloccato dalla non convenienza per il creditore di investirvi a tassi “assurdi” svuotando l’efficienza del mercato della hot money, un elemento invero essenziale per la gestione bancaria. Un ritorno indesiderato alle condizioni di quaranta anni fa, quando l’unico interlocutore nel brevissimo periodo era proprio e solo la Banca Centrale. Non possiamo peraltro dimenticare che tutte le piazze finanziarie, un tempo considerate avanzate, hanno tassi molto bassi (anche più dell’Eurozona), il che comporta la forza dell’euro, espressione da un lato della capacità  di governo della Bce e dall’altro condizionamento insostenibile della economia reale.

Sarò un liberista, ma tutte le condizioni descritte evidenziano la difficoltà di governare dall’alto l’andamento dei prezzi del denaro con misure che generano inevitabilmente reazioni negli operatori che attenuano l’efficacia delle misure. I princìpi che ispiravano la scelta monetaria della Ue erano differenti e l’anemia del contesto economico non offre conforto alle scelte, magari necessarie, attuate in assenza di un andamento economico meno depresso. In altri termini, la Bce sembra compiere il suo lavoro, ma in un contesto alquanto sfavorevole e, di fatto, contrastante. Manca Eurolandia e non è positivo affermarlo a due mesi dalle elezioni europee. Possiamo anche concordare per l’assunzione della medicina “tasso negativo”. In dosi e tempi ridotti per evitarne effetti invasivi. Una regola anomala per tempi anormali, un curaro che non deve diventare cianuro sapendolo togliere al momento giusto.