Affinché lo sviluppo digitale possa diffondere i suoi benefici deve realizzarsi “in piena sicurezza”. Questo soprattutto nell'attività di finanziamento esterna al circuito bancario. Ecco perché la Ue deve affrontare un processo di revisione dell’infrastruttura normativa
Nel settembre 2020 la Commissione Europea ha definito la strategia per promuovere nel successivo decennio un intenso sviluppo digitale nel vecchio continente. Qualche mese dopo (febbraio 2021) ha formulato la richiesta (Call for Advice) di avere il necessario supporto tecnico per analizzare le problematiche che si propongono nello sviluppo di questo processo.
All’European Banking Authority (EBA) è stato chiesto di analizzare l’attività di finanziamento degli intermediari che si pongono al di fuori dell’attuale perimetro normativo comunitario con l’obiettivo di individuare i rischi più rilevanti e suggerire i possibili aggiustamenti normativi. Ne è scaturito un ampio documento (EBA, Final Report on response to the non-bank lending request from the CfA on digital finance) pubblicato nello scorso aprile.
L’offerta di prestiti da parte di istituzioni non bancarie è fenomeno acquisito da tempo che ha trovato nuovi protagonisti nelle Fintech e nelle BigTech. Per entrambi questi operatori il punto di forza è la capacità di impiegare le tecnologie più sofisticate, con le prime concentrate nell’ambito finanziario e le seconde (grandi società multinazionali) operanti nel campo dell’IT o delle vendite online.
Secondo un’analisi della Banca dei Regolamenti Internazionali a livello globale questi operatori avrebbero nel 2020 attivato circa $700 mld di finanziamenti, a volte interagendo con istituzioni finanziarie tradizionali. Rapportato al volume dei prestiti a livello globale, si tratta di una cifra assolutamente marginale ma è un aggregato che sta uscendo dalla fase embrionale (raddoppiato in 5 anni).
La Cina ha fortemente condizionato la dinamica di questo dato e soprattutto i “rapporti di forza” tra Fintech e BigTech, con le seconde ora decisamente prevalenti nel conteggio globale. Alcune modifiche normative introdotte in Cina nel 2018 a seguito di gravi dissesti finanziari hanno fortemente sfoltito la platea delle piattaforme finanziarie (ora meno di 350 rispetto alle 3.600 del 2015) e ridotto conseguentemente l’attività di prestito delle Fintech.
In Europa le BigTech non intervengono nell’attività di finanziamento, o meglio per adesso lo fanno eventualmente solo in modo indiretto, avvalendosi di partnership con banche e istituzioni finanziarie autorizzate. Dal canto loro, alle Fintech può essere attribuita una quota dello 0,2% del mercato dei finanziamenti europei. Prossimi a questo dato medio sono la Germania e la Francia; la Spagna è allo 0,5%, l’Italia allo 0,9%; Lituania e Lettonia si collocano vicino o oltre la soglia del 10%.
[per un’aggiornata lettura della realtà Fintech: Banca d’Italia, QEF n. 702, giugno 2022, Le piattaforme Fintech di prestito e di raccolta di finanziamenti nel mondo e in Italia]
Nel rapporto dell’EBA si propone un esame più ravvicinato di alcune modalità di finanziamento non bancarie: dal leasing al factoring, al plurisecolare credito su pegno (pawnshops) fino ai più recenti Peer to Peer (P2P) lending e Buy Now Pay Later (BNPL).
Il dato che emerge con forza dal documento è che l’attività di finanziamento esterna al circuito bancario è nell’Unione Europea sottoposta a normative largamente non armonizzate: in alcuni paesi le autorizzazioni sono concesse considerando il profilo degli operatori (entity-based regulation), in altri casi la cornice normativa è definita con riferimento al servizio offerto (activity-based regulation); infine, in alcuni contesti alcune modalità di finanziamento appaiono poco presidiate sul piano normativo.
Ne derivano problemi di vario genere, spessore e frequenza: dalla difficile ripartizione di responsabilità tra le autorità di vigilanza (home and host supervisors) al rischio di arbitraggi regolamentari. Sono poi segnalate falle normative (loopholes) di varia importanza sul versante della protezione del consumatore, delle normative antiriciclaggio (AML, Anti-Money Laundering) e del contrasto al finanziamento del terrorismo (CFT, Countering the Financing of Terrorism).
Un esempio di come il quadro normativo copra in modo parziale e inadeguato i nuovi prodotti della finanza digitale è quello del Buy Now Pay Later (BNPL). Si tratta di finanziamenti di importo molto ridotto (fino ad un max di poche migliaia di dollari) a costo zero sia per quanto riguarda il tasso d’interesse sia per il costo amministrativo. Vengono concessi per favorire gli acquisti presso una determinata rete di vendita o per sostenere un determinato prodotto. L’acquirente versa un acconto e paga il resto in 3 – 4 rate in un orizzonte di poche settimane. Se i pagamenti vengono effettuati entro le scadenze concordate, il finanziamento non comporta per l’acquirente alcun costo. Per la piattaforma che gestisce il finanziamento BNPL i ricavi provengono dalle penalità applicate per ritardato pagamento ma soprattutto dalla percentuale che viene addebitata al venditore (2-7%).
Alcuni dettagli variano da provider a provider.
Il rischio di credito può restare a carico del gestore del BNPL o anche dell’operatore finanziario che affianca l’acquirente (ad esempio, l’emittente della carta di credito sulla quale vengono addebitate le rate). La crescente disponibilità di dati e l’adozione di analisi basate sull’intelligenza artificiale possono migliorare la valutazione del rischio di credito. Ma non si tratta di un percorso privo di difficoltà, soprattutto se si considera la velocità nel perfezionamento delle operazioni e il respiro globale. Per le agenzie di rating può non essere semplice l’analisi della solidità di una società che offre il BNPL e questo ostacola eventuali operazioni si cartolarizzazione dei prestiti.
Come evidente, il BNPL è una forma di credito al consumo con punti di forza rispetto a quelle già diffuse sul mercato. Tra questi punti di forza il più evidente è la combinazione di costo nullo e massima velocità di concessione (instant lending). Secondo alcune ricerche di mercato, nel 2021 negli Stati Uniti quasi tre consumatori su cinque avrebbe utilizzato almeno una volta il BNPL, con percentuali anche superiori per gli acquirenti nella fascia 18-24 anni; in Europa il BNPL interesserebbe il 7% delle vendite online; in Australia la soglia del 10% sarebbe già stata superata. A gestire l’offerta BNPL possono essere FinTech specializzate o anche intermediari finanziari già consolidati; a volte se ne è promotrice la stessa società che produce i beni oggetto dell’acquisto (Apple Pay Later). Secondo una stima qualificata (Fortune Business Insight), a marzo di quest’anno il BNPL interveniva a livello globale in circa $25 miliardi di vendite.
Osservata con gli occhiali del supervisore, il BNPL propone alcune criticità. Prima di tutto potrebbe spingere il consumatore in una condizione di overspending. Si tratta di un rischio poco considerato perché non esiste né risulta ancora ipotizzato alcun registro (credit bureau) che possa contrastarlo. In secondo, come accennato sopra, la qualità del processo di valutazione del rischio di credito è aspetto da approfondire. In terzo luogo, una quota non trascurabile dei prestiti BNPL è di importo inferiore al minimo (€ 200), a partire dal quale la Credit Consumer Directive (CCD) risulta applicabile. Infine, la velocità di concessione può far venir meno la necessaria trasparenza su aspetti del contratto di finanziamento, con il possibile occultamento di quelli meno favorevoli all’acquirente o il verificarsi di comportamenti discriminatori. Una revisione della CCD è stata già avviata, ma richiede tempo per il suo completamento.
Le fragilità regolamentari cui si è fatto cenno sono note e coinvolgono anche altre forme di finanziamento. Il loro superamento richiede sia uno sforzo di riscrittura di numerose normative sia soprattutto la volontà (tutta politica) di intensificare il processo di armonizzazione in campo finanziario. Parlando dei prodotti del Fintech, anche il ministro Colao ha di recente invocato interventi che permettano il giusto mix di regole e capacità d’innovazione. In sintesi, quindi, affinché lo sviluppo di un contesto digitale possa produrre tutti i suoi benefici, ma “in piena sicurezza”, è opportuno non rinviare la revisione dell’infrastruttura normativa, non un intervento una tantum ma un processo di continua messa a punto.