Management e industria 4.0
Serve un'organizzazione aperta. E anche intelligente*
Alberto Navarra
Navarra

Ritengo importante, nell’introdurre il tema del cambiamento della forza lavoro nei diversi settori, allargare lo sguardo allo scenario competitivo degli ultimi anni, caratterizzato da fortissime tensioni dell’equilibrio esistente e mutamenti inaspettati – in gergo “disruption”.

Quasi tutti avranno sentito definire il contesto come “VUCA world”. Si tratta di un acronimo – usato per la prima volta nel 1987 in ambito militare – per riflettere sulla volatilità, l’incertezza, la complessità e l’ambiguità delle condizioni generali. Successivamente, nel lessico aziendale, è stato utilizzato per descrivere un mondo del business in cui qualsiasi esercizio predittivo è inutile: a partire dall’identificazione dei competitor, passando per le esigenze del mercato, tutto cambia ad una velocità tale da lasciare smarrite le organizzazioni, a partire dalla Leadership (si può fare qui riferimento alla letteratura manageriale di un autore come Michael G. Jacobides).

In un simile contesto gli strumenti tradizionali, quali le mappature del panorama competitivo, non hanno più mordente per aiutare a valutare le risorse delle aziende, poiché non tengono conto della possibilità di “nuovi ingressi” che riscrivono le regole del mercato. Si pensi ad esempio alla disruption portata nel mondo dei mezzi di trasporto da Uber, o dell’hotellerie da AirBnB, o del cinema da Netflix: nuovi mercati caratterizzati da nuovi modelli di fruizione dominati da chi, in sostanza, li ha creati.

In letteratura manageriale sono stati allora proposti modelli nuovi, che introducono categorie provenienti da altre discipline. Penso ad esempio al filone della Business Narrative, allo Storytelling, ai Playscript, che identificano e raggruppano, metaforicamente e non, tutti gli attori del business come in un gioco delle parti. Trova origine in questi modelli la categoria delle personas, cluster di dipendenti o Clienti caratterizzati da simili comportamenti e motivazioni, di ingaggio o di acquisto.

È facile accorgersi allora di come un contesto di cosiddetto shifting ladscapes come quello descritto, il comportamento adattivo vincente sia quello di Leader ed attori (per rimanere nella metafora!) che dimostrano un atteggiamento positivo, di apertura, verso l’incertezza. I colleghi psicologi dell’organizzazione la definiscono “risk attitude”: in risposta al cambiamento, la percezione dell’incertezza come opportunità e risorsa e l’attribuzione di un significato positivo rappresentano un tratto di personalità distintivo e premiante.

Del resto “Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento” diceva già Charles Darwin. Il semplice adattarsi al cambiamento non è tuttavia sufficiente. Le organizzazioni hanno il bisogno e la responsabilità di leggere attraverso il presente per creare il futuro, e torna prepotente il tema della centralità di una Leadership che le traghetti nella complessità, dimostrando una spiccata intelligenza sociale e capacità di abbracciare l’incerto.

Un altro paradigma a mio parere molto interessante per descrivere il momento attuale è quello dell’”Organizzazione Aperta”. Mi rifarò brevemente agli spunti di Jim Whitehurst, guru dell’innovazione e presidente e CEO di Red Hat. Whitehurst lega il vantaggio competitivo della sua azienda all’adozione di un nuovo modello organizzativo, definito appunto aperto (open). Si tratta di un modello collaborativo, che valorizza i contributi all’innovazione portati da individui a tutti i livelli dell’organizzazione, sapendo che spesso anche il contributo dei talenti può venire da persone al di fuori delle nostre organizzazioni (per questo serve essere “open” se non addirittura “extended”).

E ancora una volta, per guidare un’organizzazione aperta, è necessario un modello di management che veicoli messaggi di condivisione, di risposta adattiva al cambiamento e che distilli la vision e la mission nell’importanza di avere un obiettivo, che trascende (ma non esclude) il profitto. Questo stesso elemento, quello del “Purpose in Working” è stato evidenziato dagli oltre 8000 rispondenti all’indagine Mercer Global Talent Trends Study 2018 come critico.

Il 75% di quei dipendenti che Mercer definisce “Thriving” – ovvero coloro che si sentono realizzati personalmente e professionalmente nella propria attività – afferma che la loro azienda comunica un forte senso di direzione verso uno scopo. Nella loro ricerca di un significato da attribuire all’attività quotidiana, i dipendenti indicano di apprezzare nell’organizzazione la possibilità di movimento, in senso di crescita anche laterale, le opportunità di apprendimento e di sperimentazione. I nostri dipendenti vogliono misurarsi con nuove complessità e cercano nei loro percorsi di carriere nuove sfide piuttosto che più alti guadagni (ovviamente non troverete nessuno che si tirerà indietro su più soldi, al netto forse dei Millennials, ma questa è un’altra storia).

Abbiamo parlato di Organizzazione Aperta. Aggiungerò ancora una riflessione sull’Organizzazione Intelligente. Si tratta ancora una volta di un paradigma che dalla letteratura manageriale (Choo Chun Wei ) ha trovato ampio successo nell’ispirare nuovi modelli nell’agire quotidiano del business. Un’organizzazione intelligente è abile nel gestire le sue risorse informative e le sue capacità, trasformando le informazioni in conoscenza e usando questa conoscenza per sostenere e migliorare le proprie performance in logica data driven. Un’organizzazione intelligente valorizza il proprio Capitale Intellettuale, fa in modo che le risorse intangibili siano il più possibile messe a disposizione di tutti, favorisce l’apprendimento di tutti i dipendenti, anche attraverso modalità di fruizione inedite. Attribuisce cioè un ruolo critico al Knowledge Management.

L’intelligenza organizzativa è così definibile come il risultato degli sforzi di un’organizzazione per raccogliere, archiviare e interpretare dati da fonti interne ed esterne, adattarsi dinamicamente ed utilizzare i dati raccolti per costruire modelli predittivi, che ne aiutino lo sviluppo. Una organizzazione intelligente però è anche una organizzazione votata al miglioramento continuo considerando i dati e la capacità elaborativa come elementi essenziali per lo sviluppo di business e più in generale per qualsiasi presa di decisioni.

Non possiamo non indagare, avendo menzionato il tema dei data analytics, le implicazioni dell’avvento del Digitale e più in generale dell’Industria 4.0 sul cambiamento del contesto di business e sull’organizzazione. Il modello della Quarta Rivoluzione Industriale appaia, in forme inedite, digitale, internet delle cose, automazione e big-data.

Le aziende sono oggi, in maniera crescente ed in modalità nuove, abilitate dalla tecnologia ad aumentare la produttività, a patto di ripensare profondamente i propri processi interni. Penso al settore manifatturiero, ed all’esigenza di ripensare le linee produttive con l’ingresso dell’automazione 4.0. Il tutto con un impatto su ruoli, competenze e organizzazione del lavoro. Un cambiamento di paradigma rispetto al quale gli stessi dirigenti non sono certi le proprie organizzazioni siano attrezzate a rispondere.

L’innovazione 4.0 richiede l’integrazione e la connessione tra macchine, persone e sistemi informativi, al fine di creare ambienti di lavoro più “intelligenti” – nella medesima accezione già vista. In questo contesto i fattori chiave sono flessibilità, velocità, migliori produttività e qualità, quindi maggiore competitività. Digitalizzare l’azienda significa non solo acquisire nuove tecnologie, ma anche attivare un processo di cambiamento a tutti i livelli, che deve avere al centro l’attenzione agli impatti sulla forza lavoro.

Nuove competenze, nuove forme di leadership e nuove capacità organizzative. A seconda del grado in cui le organizzazioni soddisfano questi requisiti, evolveranno anche la loro cultura verso un “digital mindset”. L’agilità non è una caratteristica della sola organizzazione, ma è richiesta a tutti i collaboratori ed alla Leadership, che guida la trasformazione digitale come ogni importante processo di Change. «Come in tutte le grandi trasformazioni il ruolo del management è di anticipare, indirizzare, accompagnare il cambiamento» ha recentemente sintetizzato Giovanni Viani, Partner Oliver Wyman.

Cito il dr. Viani perché ho in mente modelli come quelli di Nick Horney, Tom O’Shea, Oliver Kohnke, ma anche l’indagine che abbiamo condotto a quattro mani proprio con i colleghi di Oliver Wyman, e recentemente pubblicata, dal titolo: “The Twin Threats of Aging and Automation”, secondo il quale i lavoratori più anziani in Italia rischiano in grande misura la sostituzione professionale a causa della crescente adozione dell’automazione sul posto di lavoro.

Il Report analizza gli effetti della convergenza di due fenomeni: una popolazione globale che invecchia da un lato, e l’automazione portata dall’Industria 4.0 dall’altro. La peculiarità di questa lettura sta nell’analisi del “rischio-automazione” legato all’invecchiamento della popolazione attiva, impiegata soprattutto in ruoli di routine, con conseguenze economiche e sociali per i lavoratori poco qualificati, di età compresa tra 50 e 64 anni, che in Italia stanno diventando una parte sempre più consistente della forza lavoro.

Dal nostro punto di vista la parola chiave che aziende e istituzioni devono tenere al centro delle loro considerazioni è: ‘competenze’. L’automazione implica per i lavoratori la sostituzione nelle attività ripetitive e la necessità di impiegarsi in servizi a maggiore valore aggiunto. L’alfabetizzazione digitale è quindi una priorità, ma non è l’unica perché la competenza va educata ma va anche sviluppata su scenari sempre più complessi. Abbiamo bisogno dunque di un nuovo approccio allo sviluppo delle competenze, soprattutto quelle che ci garantiranno una sopravvivenza nella giungla del digitale.

Abbiamo quindi menzionato nuovi business model, modelli “agili” e pervasività della rivoluzione digitale. Non si tratta di meri modelli consulenziali e strategici. Anzi. Sempre il nostro Report Global Talent Trends Study ricorda che le priorità dei Chief Executive di tutto il mondo si allineano intorno a queste macro-aree strategiche: la possibile perdita di competenze critiche all’interno dell’azienda, l’invecchiamento della forza-lavoro e il tema dell’agilità organizzativa e della velocità nell’approcciare l’innovazione. La persona è al centro di tutti questi cambiamenti, sia nel suo ruolo all’interno dell’organizzazione, che come individuo, che desideri mantenere il proprio set di competenze attuale nello scenario descritto, di continuo cambiamento.

Lo schema che abbiamo delineato interpreta quindi i cambiamenti nella forza lavoro in relazione al più ampio scenario evolutivo portato dalla Quarta Rivoluzione industriale e interpella ciascun individuo a farsi carico di un’attività di Continuous Learning. Questo non significa che alcuni settori – approfondiremo tra breve il caso dei Financial Services – non abbiano già sperimentato la Disruption con particolare intensità e peculiarità rispetto al profilo della Workforce, ma vi è una piena consapevolezza che siamo nello stage iniziale di una evoluzione appena accennata.

* l’articolo è pubblicato sul n°1/19 di “Economia Italiana” : https://economiaitaliana.org/wp-content/uploads/2019/03/EI_2019_1_07_R_Navarra.pdf