approfondimenti/politica economica
Se Kant potesse illuminare i suoi connazionali

Mentre la locomotiva americana ha ripreso pieno vigore grazie a una tempestiva manovra espansiva della FED e a una politica di bilancio espansiva,  l’Europa stenta a ritornare ai livelli di vita pre-crisi. Economisti di livello mondiale quali Roubini e Krugman si schierano contro la politica di “austerità espansiva”, predominante nel Vecchio Continente, che ha contribuito ad aggravare la recessione, soprattutto in Europa meridionale. Che direbbero Adenauer, Schroder e Kohl di questa Germania che ha imposto la via della “austerity”, fin qui fallimentare fuori da casa propria, e rifiuta ogni politica solidale? E' urgente combattere la vampata dei nazionalismi e uscire dalla crisi ma non per questo i Paesi più indebitati dovranno abbandonare tout court le linee del patto di stabilità: la ripresa che ricostruirà la coesione economica europea arriverà solo col rilancio della domanda interna dei Paesi, come la Germania, che registrano un forte avanzo commerciale.

Franco Cavallari

Contrariamente a quanto avviene negli USA, l’Europa è ancora nel pieno di una crisi che stringe il cuore della sua economia (l’Eurozona) nella tenaglia di un rallentamento della crescita così  profondo e prolungato che il suo reddito pro-capite, valutato in termini reali, ristagna su livelli inferiori a quelli del 2007. Ciò avviene in un contesto di grave carenza della domanda interna, nel gioco di equilibri tra paesi che vede ampliarsi il divario tra le economie dei paesi meridionali da un lato, e quelle di gran parte dei paesi settentrionali, dall’altro lato.

A determinare questa situazione hanno concorso diversi fattori, alcuni di antica data, come quelli legati agli egoismi nazionali, che hanno rallentato negli ultimi decenni il cammino dell’integrazione comunitaria; altri, più recenti, di natura prevalentemente finanziaria, hanno dispiegato i loro effetti in modo eclatante nel corso della crisi mondiale esplosa nel 2008. Il quadro d’insieme che ne consegue presenta notevoli complessità il cui esame esula dall’obiettivo di queste poche righe.

Basterà constatare che la diagnosi di base della profonda stagnazione economica del vecchio continente é contenuta nelle linee generali concernenti le intuizioni dei pochissimi studiosi facenti capo alla New York University, ed in particolare a Nouriel Roubini. Anni prima della crisi, questi economisti avevano focalizzato la loro attenzione sull’andamento economico e sul rigonfiamento della finanza a cavallo tra i due secoli, intravedendo in anticipo l’approssimarsi dell’ondata che avrebbe poi travolto il sistema economico mondiale. Attualmente, Roubini non tralascia occasione per evidenziare che gli equilibri presenti inglobano consistenti fattori di rischio per le prospettive dell’economia mondiale, in massima parte riconducibili alla crisi dell’Eurozona ed ai suoi futuri rapporti con l’area del dollaro.

Per quanto riguarda il dibattito tra gli economisti europei circa le cause specifiche di una crisi produttiva così persistente come quella del nostro continente, e in modo particolare dei paesi affetti da squilibri nei conti pubblici, le correnti di pensiero egemoni, (quelle del nord Europa) hanno sentenziato che il fulcro del problema risiede nella vetustà dei modelli economici sperimentati nel secolo scorso e che i rimedi attuali consistono in rigorose misure restrittive nei paesi più indebitati.

Vale la pena di sottolineare che l’egemonia culturale nel campo economico europeo deriva dalla realtà dell’Unione ove l’economia portante, quella tedesca, rappresenta in via naturale il punto di riferimento degli equilibri finanziari europei nel contesto del mercato finanziario internazionale; mercato che, attraverso il meccanismo degli “spreads”, regola il costo del finanziamento dei debiti sovrani in funzione dei rischi di default. Nel quadro di questi canoni si collocano i parametri del “Patto di stabilità” dell”Eurozona., con cui il sistema tedesco ha imposto la sua formula, la via della cosiddetta “austerità espansiva” che ha l’ambizione di soppiantare completamente le teorie di John Maynard Keynes.

Se, però, diamo un’occhiata ai risultati economici conseguiti dall’austerità c’è poco da stare allegri. Una performance post crisi peggiore di quella che l’Europa ebbe negli anni trenta; un vero e proprio fallimento, anche perché negli Usa e nelle altre economie avanzate fuori dall’Europa i modelli di base impostati nel periodo successivo alla crisi in base alla dottrina keynesiana hanno funzionato benissimo. Negli USA, dopo un primo disorientamento, dovuto anche al propagarsi della crisi “sub prime” all’economia reale, l’Amministrazione e la Federal Reserve hanno decisamente intrapreso la via di un ampio rifinanziamento del sistema, convinti che in un’economia depressa affetta da un alto tasso di disoccupazione la spesa in deficit costituisce una strada obbligata per rilanciare lo sviluppo. E non hanno badato troppo all’opinione degli economisti “innovativi” secondo cui i bassi tassi di interesse avrebbero comportato un pericoloso ribasso del dollaro.

L’Europa, condizionata dal “Patto di stabilità” manovrato da una Germania ossessionata dai rischi di inflazione, ha seguito la via diametralmente opposta, sottoponendo le economie dei paesi più indebitati ad una lunghissima, debilitante stagnazione. La Commissione europea presieduta da Barroso si è subito allineata a questa impostazione, sposando in pieno la tesi dell’”austerità espansiva”. Anche la Banca Centrale Europea in quel periodo ha ignorato totalmente l’impostazione keynesiana sperimentata nel XX° secolo ed ha proceduto ad un deleterio rialzo dei tassi di interesse, pur in una situazione di disoccupazione elevata e diffusa. Così l’economia europea, schiacciata nella morsa di una stagnazione prolungata, non è riuscita ad influire sull’impostazione strategica tedesca.

Sulla base di questo orientamento, le prospettive future per l’Europa non risultano affatto confortanti. Come sostiene anche la previsione di Roubini, bisogna considerare possibile, se non probabile, uno scenario che vedrebbe il dollaro cessare di apprezzarsi ed il prezzo dell’energia impennarsi. Ne conseguirebbe che le fragilità produttive accumulate nelle economie stagnanti nella irragionevole austerità prolungata, emergerebbero inesorabilmente in rapida sequenza, generando una diffusione incontrollabile di una nuova incontrollabile crisi all’intera economia europea.

Secondo il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, se volete deprimervi sul futuro dell’Europa “non dovete far altro che leggere l’intervento di Wolfgang Schauble, Ministro delle finanze tedesco, sul New York Times di qualche settimana fà. Troverete il ripudio di tutto ciò che sappiamo di macroeconomia e delle intuizioni avvalorate dall’esperienza negativa europea degli ultimi cinque anni. Nel mondo di Schauble, l’austerità conduce alla fiducia, la fiducia genera crescita e, nel caso in cui per il vostro paese ciò non funzionasse, significa solo che lo state facendo nel modo sbagliato. Queste idee economiche cosiddette innovative, lungi dal fornire la soluzione, negli ultimi anni sono state esse stesse parte del problema”.

Attualmente, l’opinione pubblica di vari paesi dell’Unione, in gran parte delusa dei risultati economici e politici degli ultimi anni, sperimenta un disorientamento in cui i movimenti euroscettici hanno avuto buon gioco. Si paventa, specie nei paesi in difficoltà come l’Italia, uno sfaldamento inarrestabile del consenso sociale intorno ai valori di solidarietà e di pace che hanno sostenuto la costruzione europea, mentre crescerebbe a dismisura il desiderio di abbandonare l’Eurozona.

Ma l’abbandono della moneta europea costituirebbe per l’Italia un disastro di portata epocale. Non stiamo qui a descrivere i gravi problemi che ne conseguirebbero, primo fra tutti la necessità di affrontare l’inevitabile “default” dei nostri debiti, per finire con il richiamo alla memoria del tempo in cui il nostro paese, libero da inderogabili vincoli di finanza pubblica, sperimentava frequenti scivoloni del cambio, tassi di interesse e inflazione abbondantemente sopra il 20%.

La via d’uscita da questa situazione consiste nell’abbandonare la miopia degli egoismi nazionali, in un impegno culturale volto a riaffermare i valori di solidarietà comunitaria sostenuti dagli statisti illuminati artefici del Trattato di Roma, come De Gasperi, Adenauer e Schumann.

La Germania, che ha assunto in modo evidente il ruolo di punto di riferimento per l’Europa, non può dimenticare il sostegno politico ed economico offerto dai paesi europei al travagliato processo della sua riunificazione e alle difficoltà che ne seguirono. Sono mancati finora il lungimirante respiro politico di Kohl e l’audacia economica di Schroder nell’assunzione delle responsabilità che spettano al paese egemone lungo il difficile cammino orientato a superare la stagnazione economica del continente.

Dal punto di vista della dottrina economica, le energie culturali europee devono riaffermare la validità del modello keynesiano, che, moderatamente applicato, è in grado di ricomporre nel tempo i perturbati equilibri economici europei. Ciò è necessario per scongiurare il pericolo di innescare una nuova crisi e un ulteriore sconvolgimento degli assetti economici dell’Unione.

Lungo questa linea, le misure di politica economica iniziali non dovranno riguardare l’allentamento tout court del patto di stabilità, che nei paesi più indebitati avrà il compito di accompagnare il cammino successivo. E’ urgente, invece, il rilancio della domanda interna nei paesi, come la Germania, che registrano un forte avanzo delle partite correnti, rilancio essenziale alla ricostruzione della coesione economica europea fondata sui valori che, dopo le guerre fratricide degli ultimi due secoli, hanno assicurato al vecchio continente 70 anni di prosperità e di pace.

Per il nostro Paese, il processo del rilancio economico europeo comporterà in prima luogo un approfondimento dell’alleanza diplomatica con altri paesi (tra cui essenziale la Francia), mirata a “convincere” politicamente la governance tedesca che l’”austerità espansiva” è una chimera capace di trascinare l’intera Unione nella spirale della prossima crisi economica.

Anche per la Germania, il paese che ha dato al mondo il genio di Goethe e i “lumi” di Kant, il pericolo della disgregazione comunitaria e dei fondamenti del patto sociale che lega i popoli europei costituisce dal punto di vista dell’intelligenza politica un costo troppo alto da pagare alla cieca intransigenza dell’”austerità espansiva”. . .

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