Da inizio anno, le emissioni di obbligazioni green, sustainability e social sono diminuite del 25% rispetto a quello precedente. Un rallentamento che ha tre cause, che pesano soprattutto negli Usa e in Europa
I primi mesi del 2025 sono stati un unicum sui mercati finanziari internazionali, in quanto caratterizzati da una combinazione di fattori economici e geopolitici che hanno generato una volatilità senza precedenti.
L’avvento di Trump alla Presidenza USA e le sue successive azioni di politica economica e commerciale hanno destabilizzato l’ambiente finanziario, andando a minare i labili equilibri geopolitici internazionali.
Il 2 aprile 2025, denominato “Giorno della Liberazione”, Trump ha annunciato un pacchetto di dazi esteso a 180 paesi, con aliquote fino al 50%. Le misure protezionistiche statunitensi hanno innescato ritorsioni da parte dei paesi colpiti, portando a una spirale di tensioni commerciali globali.
L’incertezza derivante da queste misure tariffarie ed il timore di una conseguente recessione in arrivo ha determinato un immediato crollo dei mercati. L’indice Dow Jones è arrivato a perdere 4.000 punti in 48 ore, segnando due delle peggiori giornate consecutive della sua storia. Anche l’S&P 500 ha registrato un calo superiore al 12%; parimenti i mercati Europei ed Asiatici hanno riportato ribassi significativi a doppia cifra.
In questo contesto di incertezza economica e finanziaria, i bond ESG (Environmental, Social, and Governance), ovvero le obbligazioni emesse per finanziare progetti sostenibili, hanno sofferto particolarmente a causa di una serie di fattori direttamente collegati alle tensioni commerciali e finanziarie sopra riportate.
In contesti di forte volatilità, gli investitori, soprattutto quelli istituzionali, tendono a spostare il focus dalla sostenibilità alla sicurezza. La priorità diventa quindi preservare il capitale ed investire in asset liquidi e tradizionalmente sicuri (ad esempio il treasury USA, l’oro o lo yen).
I bond ESG, solitamente emessi da enti pubblici o aziende con rating medio-alto, perdono inevitabilmente appeal in favore di titoli più liquidi o meno “condizionati” da obiettivi non finanziari.
A rendere ancor più evidente la pressione negativa sui titoli sostenibili, va aggiunto che uno dei primi ordini esecutivi firmati dalla presidenza Trump è stato il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi sul clima. In un contesto di mercato già profondamente segnato da incertezza e tensioni geopolitiche, questo gesto ha ulteriormente minato la fiducia negli strumenti ESG, alimentando il disimpegno degli investitori.
Un’ulteriore causa della sofferenza dei titoli a tema sostenibilità risiede nella maggiore duration temporale di questi strumenti rispetto ai bond tradizionali. In un contesto in cui le banche centrali modificano le politiche monetarie in risposta alle tensioni economiche, il valore di mercato di questi titoli scende più rapidamente rispetto ad analoghi strumenti di credito.
In aggiunta, durante periodi di alta volatilità ed incertezza, gli investitori tendono a diventare più selettivi, e quindi più scettici, riguardo all’effettiva qualità ESG degli emittenti.
Il timore del “greenwashing” (ovvero di aziende che si presentano come sostenibili senza reali dati certi a confermarlo) rende gli investitori più cauti nella selezione di titoli strettamente correlati a variabili di sostenibilità. La mancanza di un reale benchmark di rendicontazione per le variabili relative alla sostenibilità aziendale inevitabilmente aumenta l’incertezza sul reale valore dei dati riportati dalle aziende.
Del pari, l’elevato numero di emissioni governative nei primi mesi del 2025 pari a 600 miliardi di euro, in crescita del 7% rispetto all’anno precedente, ha ampliato le possibilità di scelta presenti sul mercato per gli investitori tradizionali ed istituzionali.
In sintesi, i bond ESG hanno sofferto maggiormente rispetto ai bond governativi o high yeld in quanto scontano tre vulnerabilità: elevata duration, esposizione a settori sensibili agli shock derivanti da una potenziale recessione, ed una base di investitori meno propensa al rischio durante le crisi sistemiche (o presunte tali).
In tempi di instabilità politica e turbolenza finanziaria, la sostenibilità aziendale viene percepita dagli investitori più come un “lusso” rispetto ad una reale necessità.
Il grafico sopra riportato mostra in maniera inequivocabile il rallentamento del 25% circa di emissioni GSS nel primo trimestre 2025, se confrontato con lo stesso periodo dell’anno precedente. Tale trend di diminuzione è quantificabile in minori emissioni per 96 miliardi di dollari sui 389 miliardi emessi nel Q1 2024.
Settorializzando in tre componenti distinte le obbligazioni ESG, ovvero green bonds, sustainability bonds e social bonds, osserviamo che i primi rimangono senza dubbio la categoria più utilizzata. Tuttavia, la frenata delle nuove emissioni è dovuta proprio al rallentamento di questa specifica categoria, come evidenziato dal grafico di seguito riportato.
Non stupisce di certo che a soffrire maggiormente la riduzione delle emissioni sostenibili siano i due principali mercati di riferimento, ovvero Stati Uniti ed Unione Europea, a discapito di Asia e Medio Oriente, che vedono i loro green bonds crescere. Il rallentamento è dovuto in larga parte a tre barriere di natura diversa che per la verità hanno influenzato negativamente già il Q4 2024:
In ultimo, in ogni mercato che si rispetti, quando si contrae la domanda anche l’offerta deve necessariamente reagire di conseguenza, in misura proporzionale. La contrazione delle emissioni ESG in tal senso deriverebbe non solo dal nuovo contesto politico e dai condizionamenti normativi, bensì anche dalla minore richiesta sul mercato dei titoli a tema ESG.