IL MOMENTO NERO DELLE VALUTE VIRTUALI
Rovesci crypto

Quotazioni in picchiata, crack miliardari, accuse di inquinamento climatico. Le attività finanziarie legate alle cryptovalute sono nel mirino dei regolatori 

P.P.

Cryptoland è in crisi. Il crollo delle quotazioni che ha investito il settore sta provocando una reazione a catena: veri e propri crack, misteriosi e improvvisi ammanchi, richieste di aiuto. L’ultimo caso è quello di Celsius, cryptobroker specializzato in prestiti online: si è ritrovato con un buco di 1,2 miliardi di dollari in bilancio e ha chiesto la protezione dalla bancarotta con il chapter 11 che gli consentirà una ristrutturazione del business.

A carico di chi? Certamente dei due milioni clienti, accorsi al canto della sirena Celsius che prometteva interessi del 18 per cento all’anno, pagati mensilmente. I fondi con cui Celsius e il suo fondatore assicuravano questi strabilianti rendimenti – raccoglievano risorse dai risparmiatori e le prestavano alle società attive nel settore delle crypto attività – sono già stati bloccati, mentre il Cel, il token nativo di Celsius, che valeva circa un dollaro a ottobre 2020 e aveva toccato il picco di 8 dollari a giugno del 2021, ora è sprofondato.

Se il caso Celsius sarà, per il settore delle crypto attività, come la Lehman Brothers della grande crisi finanziaria, si vedrà. Certamente la crescita del settore fuori da ogni controllo dei regolatori e i casi di crack che ormai si ripetono in tutto il mondo stanno alzando la soglia d’allarme. È toccato alla canadese Voyager, al fondo hedge Three arrows capital, alla coreana Terra Luna alla piattaforma di trading Vauld di Singapore. Tutti inabissati portandosi dietro le fortune di chi aveva creduto in loro.

In Europa il parlamento europeo ha raggiunto a fine giugno un accordo sul MICA, il mercato dei crypto-asset, per chiedere al settore maggiore trasparenza e garanzie sui servizi al fine di proteggere gli investitori. E anche di dare informazioni sulla loro sostenibilità ambientale e sul carbon footprint.

Come ha chiarito un recente studio della Bce, il mantenimento della blockchain, che serve per validare i crypto-asset con l’utilizzo di una potenza computazionale sempre più ampia, richiede un consumo di energia pari ogni anno a quello di un paese come la Spagna o l’Austria, e pari alla produzione di energia dell’impianto idroelettrico più grande al mondo, quello delle Tre Gole in Cina. Anzi, si stima che il carbon footprint dei soli bitcoin ed ether annullino tutti gli sforzi di abbattimento della CO2 fatti attualmente dalla maggior parte dei paesi europei.

La comunità crypto – dalla Ethereum Foundation al Bitcoin miners Council – ha fatto i primi passi per togliersi di dosso il peccato ambientale con la promessa di introdurre sistemi più efficienti dal punto di vista energetico. Ma impegni concreti per ora mancano. D’altra parte, l’unica strada per raggiungere l’obiettivo sarebbe usare energie alternative, la cui quota di produzione nel mondo non è però sufficiente per reggere anche le transazioni della blockchain.

Questo è tanto vero che nell’Europa del Nord, dove si concentrano molte attività della blockchain, sono preoccupati della fame di energia rinnovabile del mondo crypto, e la Swedish Environmental Protection Agency ha detto chiaro e tondo che quell’energia serve piuttosto al paese per la transizione climatica dei suoi servizi essenziali. Per mettere ancora di più alle strette il mondo del crypto, il Parlamento europeo che chiesto alla Commissione di presentare, entro il 2025, una proposta legislativa per includere nella tassonomia europea delle attività sostenibili solo quelle per la validazione dei crypto-asset che contribuiscono alla mitigazione climatica. Già, ma quali?

Come uscirà il sistema delle valute virtuali e della finanza decentrata da questi attacchi normativi e anche dalla rottura della bolla speculativa che spingeva quotazioni e fortune delle star della nuova finanza alle stelle, e alimentava l’illusione di guadagni stellari in fasce sempre più numerose di adepti? Difficile dirlo, ma certamente la seduzione dei crypto-asset ne soffrirà. Soffriranno anche i patrimoni di quelli che il sito TradingPedia chiama i nuovi mogul, il club dei miliardari delle crypto valute?

Per ora non tanto. Secondo la classifica stilata dal sito, nonostante i ritocchi dovuti al crollo delle quotazioni e dalle vicende societarie, ai primi dieci restano patrimoni di tutto rispetto, tutti ben oltre il miliardo, come si può vedere dalla tabella.