Roma, Torino, Milano in piazza. Che cosa c’è di nuovo
Leonardo Morlino
MORLINO

Roma 27 ottobre. Torino e Milano 10 novembre. Diverse città (manifestazione studentesche) 16 novembre. Altre manifestazioni in programma nelle prossime settimane. Che cosa sta succedendo? E perché ora?

Presa singolarmente ciascuna manifestazione – da quella di Roma contro la Raggi a quella pro-tav di Torino alle altre che ci sono già state o sono in programma – ha proprie caratteristiche e motivazioni, spesso legata alla città in cui è avvenuta, e a politiche attese e non realizzate. Tuttavia, considerate nel loro insieme rimangono una novità. Basta pensare che negli anni di crisi economica più profonda in sud Europa, vi sono state numerose o numerosissime manifestazioni per mesi in Grecia, in Spagna, in Portogallo, ma non in Italia. Vi è stata, cioè, una vera eccezionalità italiana, eppure la nostra società – come quella francese – sarebbe stata pronta a mobilitarsi. Tradizioni di partecipazione e anche radicalizzazione non scompaiono da un giorno all’altro. Che cosa era successo? Che aveva avuto la meglio un’altra tradizione altrettanto presente nella cultura politica italiana, quella della centralità dei partiti, rilanciati in forma nuova dalla crisi. Più precisamente, appena in Italia vi erano state le prime manifestazioni di scontento, specie dopo il 2012, Grillo era riuscito a cogliere questa ondata e a canalizzarla nel Movimento 5 Stelle. Inoltre, una parte della domanda di novità e cambiamento era stata intercettata da Renzi primo ministro nei mesi precedenti e immediatamente successivi alle elezioni europee del 2014. 

Dunque, l’anomalia italiana si può spiegare bene: se ci sono leader e partiti che rappresentano le domande dei cittadini, quegli stessi cittadini non hanno ragioni per andare in piazza, ma se ne possono stare a casa o occuparsi in altre attività più piacevoli. E ora? Che cosa è successo di nuovo? Perché soprattutto vediamo in piazza persone che solitamente non ci andrebbero? Si può ricordare a proposito che i protagonisti delle piazze di tutto il mondo sono, ormai da decenni, i giovani e i senza lavoro.

Effettivamente la novità sembra esserci, ovvero si possono intravvedere almeno due novità. La prima riguarda tutti quelli che magari sono rimasti a casa nelle ultime elezioni e ora ritengono di trovarsi senza rappresentanza oppure – credo in misura inferiore – hanno votato per un partito di protesta e se ne sono pentiti. E in ogni caso ora non si vedono rappresentati neanche da un’opposizione al governo, efficace e significativa. A Roma e soprattutto a Torino vi erano loro, quelli che di solito non manifestano, preferendo magari i più comodi salotti alle piazze, ma che ora sentono di non avere rappresentanti. Le manifestazioni studentesche in diverse città il 16 novembre hanno caratteristiche simili: scende in piazza chi non si sente rappresentato. 

La protesta messa in cantiere a Firenze per rivendicare la realizzazione dell’aeroporto sembra avere caratteristiche diverse: associazioni e gruppi sociali che da decenni sono legati al partito dominante della città, dal vecchio PCI, al PDS, ai DS e ora al PD, sembrano volere sciogliere quei tradizionali legami per riguadagnare una propria neutralità e da qui una maggiore capacità di influenzare gli esiti politici, elettorali o su specifiche politiche.

Ci saranno nuove manifestazioni? Ci saranno conseguenze politiche apprezzabili? Certamente, è presto per qualsiasi anticipazione che potrebbe andare in direzioni diverse. Vedremo. Ma due fatti sono emersi con qualche evidenza: esistono gruppi sociali che non si sentono rappresentati o anche solo adeguatamente rappresentati, e questi gruppi assai difficilmente torneranno nei salotti o nelle scuole; esistono anche gruppi sociali in cerca di nuova rappresentanza. Trattandosi di Italia, la domanda inevitabile è: ci saranno nuove sigle partitiche? E se sì andranno nella direzione di ricostruzione di una nuova ampia sinistra, quale quella più volte auspicata da Eugenio Scalfari su La Repubblica?