Le ipotesi di nuove aggregazioni bancarie hanno molte caratteristiche nuove. In passato le aggregazioni rappresentavano la sistemazione di situazioni di crisi non recuperabile. Oggi chi formula la proposta e l’intermediario target sono operatori in accettabile condizione di salute. Inoltre un ruolo centrale lo ha assunto la finanza. Infine sono quasi tutte proposte di aggregazione "carta contro carta". Ma è certo che per portarle a termine serviranno corposi rilanci
Difficile sottrarre queste righe a qualche considerazione sulle numerose proposte di aggregazione lanciate dalle banche italiane a partire dallo scorso settembre, non fosse altro per la dimensione complessiva del fenomeno (55-60mld). Questa cifra è puramente indicativa sia perché per alcune operazioni s’intravedono non poche difficoltà per arrivare al traguardo finale, sia perché per quasi tutte sembra necessario un rilancio. Escludendo UniCredit-Commerzbank non ancora formalizzata, le proposte sono nella forma “carta contro carta” e le dinamiche della Borsa hanno generalmente portato ad un apprezzamento della banca target e ad un arretramento (o un minore incremento) della banca che ha avviato l’operazione.
In un passato non troppo lontano il completamento di operazioni di aggregazione rappresentava la sistemazione finale di situazioni di crisi non recuperabile, operazioni quasi sempre possibili solo a fronte di cospicui incentivi economici. Non è questo il caso di quanto sta avvenendo in questi mesi: chi formula la proposta e l’intermediario target sono operatori in accettabile condizione di salute. E questa differenza va sottolineata.
Prima di procedere è opportuno, seppure sinteticamente, rivolgere l’attenzione ai consuntivi 2024 presentati nelle scorse settimane. Come verificato anche per la maggior parte dei gruppi europei, il 2024 è stato per le banche italiane un anno ancora favorevole con una crescita media del risultato operativo dopo le rettifiche su crediti prossimo al 12%. Se ci si riferisce ai valori assoluti, la crescita di questo margine (3,8 mld per i 5 gruppi maggiori) è simile a quella dei ricavi totali, incremento quest’ultimo cui margine d’interesse e commissioni nette contribuiscono in misura uguale.
Completano il quadro la stabilità anche nominale dei costi totali e un’ulteriore limatura delle rettifiche. Il cost to income ratio e il cost of risk (rapporto tra rettifiche e portafoglio crediti) subiscono una nuova riduzione. I due gruppi maggiori (Intesa e UniCredit) da un lato e gli altri tre grandi gruppi (Bpm, Bper e Mps) dall’altro, si muovono in modo parallelo ma per i due indici appena citati la situazione è visibilmente migliore per i due gruppi maggiori (cost to income ratio a ridosso di quota 40 e cost of risk a soli 16 centesimi per UniCredit, a 30 per Intesa).
Questo richiamo ai risultati 2024 non è fuori tema perché a favorire le operazioni di aggregazione contribuisce l’abbondanza di capitale in eccesso nel settore bancario determinata dal significativo flusso di utili registrato negli ultimi anni. Il 2024 sarà per molte banche l’anno di picco perché la discesa dei tassi di interesse ufficiali (6 riduzioni dal giugno scorso) induce un graduale restringimento dei margini sull’attività di prestito. Il margine d’interesse rappresenta per i maggiori gruppi italiani il 58-60% del totale dei ricavi. Di fronte a questa prospettiva, gli intermediari sono spinti a ricercare economie di scala e/o sinergie produttive.
Il trend di risultati favorevoli e generose politiche redistributive hanno attratto gli investitori verso il comparto bancario con una evidente ascesa delle quotazioni (il FTSE Italia banche è cresciuto di oltre il 60% negli ultimi 12 mesi e quasi 120% negli ultimi 2 anni). Ascesa generalizzata ma non omogenea, circostanza che contribuisce a spiegare la tendenza di alcuni gruppi di mettere i propri titoli a servizio di OPS (Offerta Pubblica di Scambio).
Un autorevole esponente del mondo bancario italiano (Carlo Messina, ad di Intesa) ha sottolineato come lo scenario che accompagna queste ipotesi di aggregazione si presenti spesso caotico. Osservazione condivisibile, frutto di molti fattori tra i quali due meritano particolare attenzione. La prima riguarda la comunicazione, che troppo spesso alimenta la nebbia piuttosto che contribuire a migliorare la comprensione.
Una parte del problema nasce sul versante della stampa economica, frequentemente incline a personalizzare gli eventi come se si trattasse di un “one man show”. Da qui la tendenza a fornire dettagli irrilevanti dei principali protagonisti (il colore preferito delle cravatte, le passioni sportive, etc) o rivestire di passioni personali molte decisioni (astio, simpatia, etc). La banca è sicuramente una struttura gerarchica, ma le decisioni scaturiscono da confronti e valutazioni che coinvolgono molte persone e strutture interne ed esterne alla struttura organizzativa. Come giustamente osservato (Fabio Panetta), ne scaturisce spesso un’atmosfera da talk show televisivo.
Se tutto si limitasse a questo, si tratterebbe di un fenomeno disturbante ma trascurabile. L’insoddisfazione cresce quando ci si concentra sulla comunicazione degli intermediari, comunicazione che dovrebbe essere sempre corretta, non fuorviante.
Qui di seguito esempi di come questo a volte non avvenga. Nell’ottobre 2024, un amministratore delegato, presentando il nuovo piano industriale indicava nello stand alone il perno strategico del suo gruppo, scelta considerata necessaria anche per poter “digerire” precedenti acquisizioni; appena tre mesi dopo questo stesso gruppo (vertice immutato) ha lanciato una OPS di rilevante dimensione.
Secondo esempio: il comunicato di Mps relativo ai risultati 2024 evidenzia nella prima pagina che il gruppo ha conseguito un utile netto pari a 1.951 mln, dato rilanciato dalla stampa; solo molte pagine dopo si constata che l’utile netto è diminuito a/a del 4,9% e che se si esclude l’attivazione delle DTA (Deferred Tax Assets) scende a meno di 1,4 mld, in flessione del 16% rispetto all’anno precedente. Mps è in condizioni migliori rispetto a pochi anni fa ma l’evidente messaggio che il gruppo e i suoi sponsor politici vogliono veicolare è che il suo risanamento è di fatto completato o quasi. In molti non la pensano così: tra i 5 gruppi maggiori, Mps è ancora quello con il price to book ratio più modesto (0,75 a fronte di una media per gli altri di 1,13).
Un secondo aspetto che si vuole evidenziare è che quello che la stampa continua a definire “risiko bancario” ha sempre più le sembianze di un’intensa vicenda finanziaria. E seppure banca e finanza sono mondi non più lontani come qualche tempo fa, a volte anche contigui, la logica che li pervade rimane molto diversa. Essendo le banche l’oggetto di queste operazioni, meno spazio è occupato dal banchiere e più incerto è l’esito finale. La storia è piena di aggregazioni mal concepite e/o mal gestite, causa di delusione o addirittura di disastri.
Prima di tutto molti sono gli uomini della finanza (e quindi il loro entourage) che stanno giocando un ruolo centrale nelle ipotesi di aggregazione sul tappeto. È questo certamente il caso di Andrea Orcel, la cui carriera è avvenuta prevalentemente nell’ambito dell’investment banking. Esponenti della finanza sono anche Caltagirone e Delfin (società presieduta da Francesco Milleri e con azionisti 8 eredi di Leonardo Del Vecchio). Caltagirone è presente in quattro società del cosiddetto risiko bancario (Anima, Bpm, Mediobanca, Mps), Delfin in tre (Mediobanca, Unicredit, Mps)). Al rilievo significativo di queste partecipazione si deve aggiungere che entrambi hanno una non secondaria presenza nel gruppo Generali.
Profumo di finanza si avverte anche nell’ipotesi Mps – Mediobanca, proposta inattesa con un valore di circa 14 mld (alle quotazioni attuali). È una fusione in cui non c’è sovrapposizione industriale (le due banche fanno mestieri assolutamente diversi) e non c’è sovrapposizione a livello geografico. Tra Compass (Mediobanca, credito al consumo) e Mps c’è un accordo distributivo attivo da oltre 10 anni. In definitiva, quindi, assenza di potenziale riduzione dei costi, sinergie da ricavi da dimostrare e comunque minime, combinazione che spiega perché lo scambio proposto da Mps risulti ora fortemente a sconto (secondo alcune stime servirebbe un rilancio di circa 1,5 mld).
Anche la tesi che questa operazione può mettere al riparo da appetiti stranieri è poco convincente. La combinazione dei due gruppi determinerebbe (aritmicamente) una nuova aggregazione con numeri ancora contenuti in relazione a quell’obiettivo: una capitalizzazione intorno a 23 mld (analoga a quella di Commerzbank e orientativamente un quarto di quella di Intesa o UniCredit). Nell’ambito dell’azionariato la presenza pubblica risulterebbe fortemente diluita mentre quella di Caltagirone e Delfin risulterebbe rafforzata essendo presente in misura importante su entrambi i lati della proposta.
Meno contestate altre due motivazioni che si intravedono all’origine di questa operazione, entrambe di natura non bancaria, soprattutto la seconda. La prima fatta propria dai vertici di Mps è la possibilità di “monetizzare” prima della loro scadenza i 2,9mld di DTA di cui dispone il gruppo toscano, operazione che l’aumento dell’utile lordo di gruppo ovviamente renderebbe più probabile. La seconda, decisamente evidente, è quella di facilitare al duo Caltagirone-Delfin (azionisti forti sia di Mps che di Mediobanca) la costituzione di un nucleo dentro Generali tale da rendere possibile la modifica dell’attuale governance.
In sintesi, delle 6 operazioni sul tappeto una (UniCredit-Commerzbank) non è stata ancora formalizzata ed ha un più elevato coefficiente di difficoltà per la sua natura cross-border; altre tre (Bpm-Anima, UniCredit-Bpm, Banca Ifis-Illimity) hanno un razionale industriale comprensibile; per un’altra (Mps-Mediobanca), come appena osservato, la comprensione è invece possibile solo al di là dell’operatività bancaria; infine, per Bper-Popolare Sondrio la valutazione è tendenzialmente neutrale essendo il saldo tra aspetti positivi e negativi possibilmente positivo ma incerto e non particolarmente ampio. Ad oggi, comunque, per arrivare al traguardo queste proposte dovranno essere arricchite con corposi rilanci.