Il Principe

di Leonardo Morlino

Riforma elettorale: sono cambiati gli obiettivi?

Una nuova legge elettorale deve creare delle maggioranze parlamentari o direttamente, prevedendo un premio di maggioranza, o indirettamente abbassando drasticamente la frammentazione partitica. Ma quali sono gli ostacoli alla realizzazione di questi cambiamenti?

Leonardo Morlino
MORLINO

Si ritorna a parlare di riforme istituzionali, specie della legge elettorale. Ormai lo si fa da almeno quaranta anni, con brevi soluzioni di continuità. In questi decenni, però, molto è cambiato nel contesto politico-istituzionale, anche internazionale (specie con l’evoluzione dell’integrazione europea), nelle strutture portanti delle democrazie europee, a cominciare dai partiti, nelle modalità di formazione dell’opinione pubblica, nelle stesse domande dei cittadini a seguito di profonde trasformazioni economiche e sociali. Eppure, rimane l’idea che le riforme, anche quelle elettorali, debbano perseguire gli stessi obiettivi. È così? O a questo punto per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini, gli obiettivi sono cambiati, in parte o del tutto, e alcune riforme sono diventate più importanti di altre?

Intanto, cominciamo con il ricordare che l’effetto più tangibile di questo prolungato dibattito ha riguardato la legge elettorale – la riforma istituzionale più semplice da fare in quanto attuabile con una legge ordinaria – con quattro cambiamenti: nel 1993 (legge Mattarella, un sistema misto con effetti maggioritari diversi da un’elezione all’altra in relazione alla distribuzione dei voti), nel 2005 (legge Calderoli, un sistema proporzionale con premio di maggioranza), nel 2015 (Italicum, un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 3% ed eventuale premio di maggioranza, mai messa alla prova), nel 2017 (il Rosatellum, un sistema elettorale misto, ma sostanzialmente proporzionale, con il 37% dei seggi attribuito con un sistema maggioritario uninominale, e il 61% diviso fra diverse liste con un meccanismo proporzionale, corretto da diverse clausole di sbarramento). Lasciando da parte tutte le vicende a proposito delle mancate riforme costituzionali, l’altra conseguenza importante è stato il taglio del numero dei seggi da 630 a 400 per la Camera e da 315 a 200 per il Senato per effetto del referendum (settembre 2020).

Quali avrebbero dovuto essere gli obiettivi delle riforme effettuate e di quelle mancate? Sulla carta, una riforma istituzionale può porsi almeno tre obiettivi diversi – non alternativi, e che possono in parte condizionarsi: 

  • rendere il sistema decisionale più efficace e pronto nel rispondere ai problemi dei cittadini, intervenendo nei rapporti governo-parlamento, con regole, elettorali o in altri ambiti, che assicurino l’esistenza di una maggioranza parlamentare e il controllo governativo della stessa, insieme alla marginalizzazione di poteri di veto; 
  • stabilizzare il governo per tutta la durata della legislatura, prevalentemente grazie alla creazione di una maggioranza parlamentare attraverso una legge elettorale congegnata con questo fine; 
  • rendere governo e parlamento più ricettivi alle nuove domande dei cittadini ovvero meglio rispondenti alle nuove situazioni che si possono creare.

La virtuale scomparsa di organizzazioni partitiche con una loro continuità, la crescita della frammentazione e della polarizzazione dei sistemi partitici a seguito di crisi e trasformazioni socio-economiche intervenute e anche i numerosi vincoli europei nella realizzazione delle politiche, hanno messo in sordina il primo e il terzo obiettivo e portato in primo piano il secondo. Come mai?

Da una parte, un miglioramento dell’efficacia decisionale e della ricettività erano obiettivi più rilevanti quando i governi erano meno vincolati dalle direttive europee, e anche quando la comunicazione attraverso la stampa, la televisione e i diversi altri strumenti sviluppativi in questi anni erano meno presenti di oggi. Dall’altra, ancora negli anni Ottanta, l’apparente mancanza di stabilità governativa nascondeva una sostanziale continuità assicurata dal permanere dello stesso personale partitico e dalla stabilità degli organi di partito che in un certo senso svuotavano governo e parlamento della stessa sostanza delle decisioni, prese nelle sedi di partito. 

Oggi, la situazione è completamente mutata in quanto, sia pure parzialmente e con molti problemi, efficacia e ricettività sono aumentate negli altri modi sopra accennati, anche con la protesta entrata a pieno titolo nel repertorio politico corrente, mentre l’instabilità apparente è diventata sostanziale con la scomparsa dei partiti organizzati, che costituivano la spina dorsale di una democrazia, sostituiti da leader partitici e gruppi di persone a lui legate, senza programmi veri e propri, alla ricerca del consenso elettorale attraverso le nuove tecnologie, anche digitali.

Così, in questi anni di crisi e profonda insoddisfazione dei cittadini è emersa con maggiore evidenza la necessità di stabilizzazione anche da un altro punto di vista importante: proprio rispetto alla maggiore aspettativa di efficacia e domanda di ricettività, la stabilizzazione diventa ancora più necessaria per dare a ciascun politico un orizzonte temporale pari alla durata del suo mandato. Solo così, infatti, il politico eletto non è assillato dal mantenere in tutti i modi il sostegno costante del suo elettorato, per potere essere rieletto, ma ha una relativa maggiore possibilità di scegliere e decidere ponendo l’interesse pubblico come bussola.

Se questo ragionamento è corretto, le riforme da fare riguardano certamente la legge elettorale, ma diventa essenziale che tale legge crei delle maggioranze parlamentari o direttamente prevedendo un premio di maggioranza, o anche indirettamente abbassando drasticamente la frammentazione partitica, con l’introduzione di una soglia di trasformazione di voti in seggi di almeno il 5%, tale da facilitare la creazione di una coalizione parlamentare di maggioranza. Anche le altre riforme istituzionali dovrebbero essere rivolte alla stabilizzazione dell’esecutivo con, ad esempio, l’introduzione della sfiducia costruttiva. Per altre riforme, probabilmente migliorative di altri aspetti, si potrà aspettare.

Ma quali sono gli ostacoli maggiori per realizzare questi cambiamenti? Nel caso italiano rimangono la polarizzazione e la frammentazione partitica. Infatti, i leader dei maggiori partiti che dovranno decidere, innanzi tutto, sulle riforme elettorali avranno bisogno di stipulare accordi con altri politici di cui non si fidano e contemporaneamente sono attratti verso soluzioni subottimali da partitini che condizionano l’esistenza stessa del governo. Proprio questa situazione ha costituito il maggiore ostacolo e la spiegazione principale alla base dei fallimenti di questi anni.

Il governo Draghi potrebbe avere creato una finestra di opportunità con la partecipazione di quasi tutti i partiti al governo e, a livello dei cittadini, con l’attenuazione della polarizzazione ancora per effetto della pandemia. Forse fra qualche anno, quando i ricordi più tristi si saranno attenuati, potremo dire che… non tutto il male era venuto per nuocere?