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Riciclaggio fai da te? Ahiahiahi

Anche il legislatore italiano ha finalmente introdotto il reato di autoriciclaggio nel codice penale. Un passo avanti dovuto. Tuttavia sono auspicabili alcuni aggiustamenti al testo appena approvato in parlamento.

Damiano Battistelli

Via libera definitivo dell’Aula del Senato alla proposta di legge che introduce, oltre alla voluntary disclosure, anche il delitto di autoriciclaggio: con 119 sì, 61 no e 12 astensioni il provvedimento diventa legge. Il Parlamento pone così fine all’impunibilità del delitto di autoriciclaggio. Era ormai da molto tempo che si discuteva in merito all’esigenza di colmare una simile lacuna del nostro ordinamento. Infatti, già in altri paesi Ue (ad es. Francia, Spagna, Regno Unito) ed extra Ue (Usa, Canada, Australia) l’autoriciclaggio è già da tempo configurato e punito come reato.

L’urgenza di un intervento legislativo in materia è stata più volte portata all’attenzione delle istituzioni nel corso degli anni. Il Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (Gafi) nel 2006 e, più recentemente, Banca d’Italia (nella figura dello stesso Governatore) e Uif, hanno fortemente caldeggiato l’introduzione di una simile fattispecie, la cui assenza ha reso sin qui “difficoltoso il perseguimento di coloro che si prestano a riciclare fondi di provenienza illecita in attività economiche legali”.

A questo punto occorre anzitutto capire in cosa si sostanzia l’autoriciclaggio e capire perché, per diverso tempo, se ne sia osteggiata l’introduzione all’interno del codice penale.

Quanto al primo aspetto, l’autoriciclaggio altro non è che la condotta di riciclaggio posta in essere dall’autore, anche in concorso, del reato presupposto (ossia il reato, ad es. tributario, che è alla base del successivo reato di riciclaggio). L’autoriciclaggio mira dunque a perseguire chi, dopo aver commesso il reato presupposto, provvede, senza avvalersi della prestazione di riciclaggio fornita da un terzo, a trasferirne od occultarne i proventi al fine di immetterli in attività produttive o finanziarie. Volendo essere ancora più chiari: nell’autoriciclaggio v’è piena corrispondenza tra il soggetto che compie il reato presupposto e il “riciclatore”. Appare dunque evidente la differenza con il reato di riciclaggio di cui al 648 bis c.p., il quale, in virtù della espressa clausola di riserva “fuori dai casi di concorso nel reato” presente nell’incipit della disposizione, punisce esclusivamente il terzo (rispetto al reato presupposto) che ricicla e non anche l’autore del reato presupposto e il “riciclatore” che ne ha eventualmente concorso al compimento.

Quanto invece alle difficoltà incontrate per regolamentare all’interno del codice penale il reato di autoriciclaggio, merita ricordare la tesi portata sugli scudi da una parte significativa di dottrina e della giurisprudenza secondo la quale le ulteriori operazioni poste in essere dall’autore del reato presupposto per ostacolare l’identificazione della provenienza del provento o del profitto altro non sarebbero che la naturale prosecuzione dello stesso reato presupposto. Dunque, un mero post factum non punibile in quanto privo di un autonomo disvalore e non perseguibile in ossequio al principio del ne bis in idem sostanziale, in forza del quale nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto. Inoltre, v’era chi, invocando il principio di “proporzionalità della pena”, avanzava timori circa l’assoggettabilità del delitto presupposto ad una pena complessiva eccessivamente punitiva rispetto alla gravità della condotta, rappresentando l’autoriciclaggio il naturale corollario di qualsiasi delitto suscettibile di generare proventi di natura economica.

Le difficoltà sopra accennate sono state fortunatamente superate. Infatti, il fenomeno del riciclaggio ˗ così come l’autoriciclaggio ˗, in virtù del suo significativo trend di crescita (le segnalazioni di operazioni sospette alla Uif sono passate dalle 12.500 del 2007 alle stimate 75.000 per il 2014) e dell’impatto nei gangli della vita imprenditoriale e sociale, rappresenta un minaccia in grado da un lato di incidere sull’ordine economico e dall’altro suscettibile di ostacolare l’amministrazione della giustizia. In un simile contesto, la condotta di autoriciclaggio non può essere dunque “svilita” a semplice post factum assorbito nella fattispecie del reato presupposto, ma deve piuttosto assurgere a nuova condotta connotata da autonomo e grave disvalore (in quanto lesiva della legalità e dell’ordine economico) e come tale meritevole di essere sanzionata autonomamente.

Dopo diversi interventi correttivi apportati al testo originariamente formulato dalla commissione presieduta dal magistrato Greco, si è così giunti all’introduzione del nuovo art 648 ter-1. Ai sensi del nuovo disposto, commette autoriciclaggio chiunque, dopo aver commesso un delitto non colposo da cui derivano “denaro, beni o altra utilità”, provvede al loro “impiego, sostituzione, trasferimento” in attività “economiche, finanziari, imprenditoriali o speculative”, in modo da “ostacolare concretamente” l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Le pene previste dal nuovo disposto sono il carcere da 1 a 4 anni e multa dai 2.500 € ai 12.500 €, laddove il “reato presupposto” sia punito con reclusione inferiore a i 5 anni, oppure pena detentiva da 2 a 8 anni e multa da 5.000 € a 25.000 € negli altri casi. In virtù del terzo comma, l’unica possibilità per non essere puniti è che il denaro, i beni o le altre utilità vengano destinati alla mera “utilizzazione o al godimento personale” a patto però che le “condotte di cui ai precedenti commi” (ovverosia: impiego, sostituzione, trasferimento) non siano in grado di interrompere la tracciabilità della provenienza delittuosa delle somme o dei proventi trasferiti, nel qual caso l’“autoconsumo” non potrà essere invocato. Al quarto comma è poi previsto l’aumento della pena se il reato è commesso nell’esercizio dell’attività bancaria o finanziaria.

La nuova disposizione fornisce senz’altro una valida risposta punitiva ˗ anche in termini di equità e proporzionalità della pena in ragione della sua graduazione a seconda dell’entità della pena del reato fonte ˗ al disvalore insito nelle condotte di trasferimento e sostituzione estranee al reato presupposto, ma, come spesso accade, per altri versi presta il fianco a critiche, alcune delle quali di non scarso rilievo e che di seguito illustrerò brevemente.

Dal punto di vista meramente stilistico, l’articolo appare ridondante: nella definizione della condotta di autoriciclaggio, posto che le attività “imprenditoriali e speculative” ben possono essere assorbite nell’accezione di attività “economica e finanziaria”; nell’aggravante di cui al quarto comma dove le attività “bancarie” e “finanziarie” sono indicate unitamente a quella imprenditoriale anche se altro non sono che una forma di espressione di quest’ultima.

A questi rilievi attinenti semplicemente la formulazione lessicale della norma, se ne affiancano altri degni di attenta riflessione. Infatti, ad un’analisi critica del dettato normativo, emerge che la rilevanza penale delle condotte di autoriciclaggio è subordinata alla “concreta” idoneità della condotta ad “ostacolare” l’individuazione della provenienza delittuosa dei proventi del reato principale. Anzitutto, che la punibilità sia subordinata alla presenza di un l’ostacolo qualificato come “concreto” rappresenta una significativa asimmetria con il reato di riciclaggio che ben si presta a possibili difficoltà interpretative in sede processuale. Sarebbe dunque consigliabile, a detta di chi scrive, allineare il disposto con l’art. 648 bis, interlineando l’aggettivo “concreto”. Ma v’èdipiù.Perchélasanzionepossaesserecomminataoccorreanche“ostacolare” l’identificazione della provenienza delle somme. Ciò sta quindi a significare che, per evitare di incorrere nell’autoriciclaggio, l’autore del reato presupposto dovrebbe custodire e impiegare i proventi in modo del tutto trasparente. Da qui il secondo problema: la norma costringerebbe l’autore del reato presupposto ad astenersi dal compiere operazioni volte a “sommergere” il frutto dell’illecito principale, esponendolo così ad un maggior rischio di essere scoperto. La nuova fattispecie così formulata è dunque in aperto contrasto con il principio generale dell’ordinamento per  cui  nemo
tenetur  se
detegere
,  in  ragione  del  quale  nessuno  può  essere  tenuto  ad  auto incriminarsi. Peraltro, appare inverosimile e insensato che un impiego trasparente dei proventi illeciti  possa  valere  come  scriminante.  Tradotto  in  termini  pratici:  se  l’impiego  del  denaro derivante dal reato tributario risultasse accertabile, ad es. dalle scritture contabili, l’“evasore” non verrebbe punito. Da qui nasce un’ulteriore riflessione: se il vero disvalore della condotta che il nuovo reato mira a reprimere è rappresentato dalla “concorrenza sleale” derivante dall’impiego di capitali illeciti, rimane difficile capire quale sia la ratio alla base della scelta di punire solamente il soggetto  che “occulta” e non anche quello che “reimpiega” i proventi illeciti in maniera trasparente. Volendo, con riferimento a tale ultimo spunto di riflessione, portare all’attenzione del lettore un caso pratico: se il riclatore facesse apparire i frutti del reato nel conto economico della sua società e, grazie anche a questi, comprasse successivamente dei macchinari o pagasse gli stipendi dei dipendenti, non sarebbero effettivamente offesi gli interessi economici del mercato? Inoltre, anche alla luce di una recente pronuncia della Cassazione (546/2011), mal si comprende quale  possa  essere  la  condotta  “trasparente”  in  grado  di  evitare  al  convenuto  l’eventuale imputazione per autoricilaggio, atteso che i giudici di “legittimità”, nella predetta pronuncia, hanno statuito che, stante la natura fungibile del bene, il riciclaggio è integrato anche nell’eventualità in cui il denaro frutto di altro reato sia depositato in banca, venendo nel qual caso automaticamente sostituito.

In conclusione, l’art. 648 sembra fornire una risposta apprezzabile agli obiettivi istituzionali di tutela della legalità e dell’integrità dell’economia. Alcune ulteriori riflessioni nel senso sopra accennato potrebbero però scongiurare eventuali dubbi interpretativi che inevitabilmente avrebbero risvolti infelici in ambito processuale. Questa potrebbe essere anche l’occasione per: ricollocare il 648 bis, 648 ter (rubricato: impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) e 648 ter-1 (magari nella sezione dei “delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio”), posto che il bene giuridico da loro tutelato non è il patrimonio quanto, piuttosto, l’ordine economico; ricondurre nell’alveo di una sola fattispecie le condotte di sostituzione e trasferimento ex art. 648 bis c.p. e quella di investimento ex art. 648 ter c.p., trattandosi di condotte ascrivibili ad una più ampia condotta, consistente nell’ostacolare il riconoscimento della provenienza delittuosa delle somme allo scopo di favorirne, alternativamente, il consumo o l’investimento.

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