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Osservatorio Banche
Ricavi in crescita e voglia di acquisizioni

Le banche italiane allungano la serie di brillanti risultati. E alcune importanti operazioni lasciano intravedere in Europa una possibile ridefinizione degli assetti di mercato. Ecco quali

Silvano Carletti
Carletti

Le banche italiane hanno archiviato il primo semestre dell’anno con un risultato ampiamente favorevole: 12,7 mld di utile netto per i primi 5 gruppi maggiori (tre quarti circa del sistema), +20% rispetto al corrispondente periodo del 2023.

Non era difficile prevedere questo quadro di risultati. La severa stretta monetaria attuata da luglio 2022 (in due anni un rialzo complessivo dei tassi ufficiali di 4,5 punti percentuali) è in fase di graduale allentamento. È però percorso troppo recente per determinare un apprezzabile cambio di scenario. Ad una prima riduzione di 25 centesimi nel giugno scorso ne è seguita pochi giorni fa una seconda, modulata in maniera diversa rispetto al passato: altri 25 punti base per il tasso sui depositi overnight, 60 centesimi per le operazioni di rifinanziamento principali, 40 per quelle di rifinanziamento marginale.

A trainare il risultato del primo semestre 2024 è stato ancora il margine d’interesse: nel caso dei primi 5 gruppi, a questa voce del conto economico sono attribuibili i tre quarti dell’incremento del margine d’intermediazione.

Come nel recente passato, la crescita dei ricavi è stata affiancata da altri due fattori favorevoli. Il primo è individuabile nel permanere del costo del rischio su livelli particolarmente contenuti grazie alla migliore valutazione degli affidati e a una congiuntura economica moderatamente positiva, seppure con segnali di malessere non trascurabili (a luglio la produzione industriale ha registrato il diciottesimo calo tendenziale consecutivo).

Il secondo fattore favorevole è la confermata capacità di controllo dei costi. La trasformazione digitale rende possibili ulteriori alleggerimenti della rete distributiva, cioè sportelli e (quindi) personale (oltre 6mila addetti in meno per i 5 gruppi maggiori). Il raffreddamento dei costi è molto più ampio di quando non dica l’invarianza di questa posta contabile e non solo perché la fiammata inflazionistica non ha finito di produrre effetti. Dalla fine del 2023 pesa, sui conti delle banche, il non lieve aggravio scaturito dal rinnovo del contratto di lavoro del personale (corresponsione degli arretrati e erogazione della prima tranche di aumento, oltre metà dell’incremento totale).

Per i due gruppi al vertice del sistema, il cost/income ratio (rapporto tra totale costi e ricavi) è ora significativamente al di sotto della soglia di 40 punti percentuali, target non raggiunto da molti concorrenti europei.

In questo secondo semestre dell’anno è possibile una contenuta limatura del risultato finale, anche se alcuni gruppi hanno rivisto al rialzo i target di utile per il 2024. La riduzione dei tassi ufficiali (ai 2 interventi già attuati potrebbe seguirne un altro prima della fine dell’anno) supporta uno scenario di discesa dei tassi d’interesse attivi in presenza di un contenuto rialzo del costo della raccolta, con  conseguente possibile contrazione del margine d’interesse.

Il volume dei prestiti è in riduzione da tempo (-1,6% a luglio a/a), soprattutto sul versante delle imprese (-3,9% a/a). In un recente intervento il governatore Panetta ha affermato che ci sono elementi per affermare che si tratta soprattutto di un effetto della domanda: le imprese vengono da un periodo di elevati profitti e hanno meno bisogno di credito; soprattutto le aziende di maggiore dimensione starebbero procedendo al rimborso anticipato di finanziamenti in essere, in misura importante accesi negli anni segnati dalla pandemia.

Considerato quanto conseguito nel primo semestre, il risultato per l’intero 2024 non dovrebbe allontanarsi da quello del 2023. Se così fosse, nell’ultimo triennio il sistema bancario italiano risulterebbe aver complessivamente conseguito utili per 85-90 mld, una cifra decisamente importante se confrontata con i 16 mld del biennio precedente  (meno di 2 mld nel 2020 con il 14% degli operatori in perdita).

Le quotazioni azionarie hanno recepito questa situazione e oggi il rapporto con il dato contabile (price to book value) è a quota 1 per Intesa, a 0,9 per Unicredit, 0,6-0,7 per gli altri tre gruppi maggiori. In termini di capitalizzazione di Borsa, Intesa (66 mld) ha superato il Banco Santander (65 mld) e sensibilmente avvicinato Bnp Paribas (70,5 mld), da tempo leader in Europa di questa graduatoria.

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Il circuito finanziario europeo potrebbe essere prossimo ad una ridefinizione del suo assetto concorrenziale, dopo anni di assenza di significative novità. A sostenere questa ipotesi sono tre operazioni di rilievo registrate in queste ultime settimane.

La prima è quella della possibile acquisizione del Banco Sabadell (totale attivo 245 mld) da parte del Bbva. L’operazione ha un valore di 12 mld e verrebbe effettuata nella modalità carta contro carta. L’obiettivo del Bbva è accrescere il peso del mercato domestico a fronte dell’ampia esposizione nel continente latino-americano, accrescere la capacità di offerta in Spagna rispetto ai due principali competitor (Banco Santander, Caixa), mettere a frutto la sperimentata abilità nel recuperare efficienza e redditività da realtà poco brillanti.

L’operazione, nata come amichevole (maggio 2024), si è successivamente trasformata in offerta ostile. Un’analoga ipotesi di aggregazione fallì nel novembre 2020. Alcuni importanti investitori sono presenti su entrambi i lati dell’operazione, circostanza che questa volta potrebbe favorirne il successo. Acquisito il via libera della Bce, il Bbva deve ora ottenere quello dell’autorità antitrust (Cnmc) e del regolatore del mercato azionario (Cnmv), ma soprattutto deve studiare come superare la dichiarata opposizione del governo nazionale.

La seconda operazione da considerare è l’acquisizione da parte di UniCredit di una rilevante quota (9%) del capitale di Commerzbank, gruppo tedesco con 560 mld di totale attivo. Primo azionista di Commerzbank è ancora lo Stato (11%), protagonista decisivo del suo salvataggio nel 2008 e da tempo orientato ad un completo disimpegno. Per questo primo investimento UniCredit ha sborsato circa 1,5mld.

È ancora presto per capire quali possano essere i possibili sviluppi dell’operazione che essendo di natura cross border presenta aspetti di maggiore difficoltà. Un’acquisizione totale richiederebbe un impegno dell’ordine di 15 mld, alla portata di UniCredit che nel 2023 ha conseguito quasi 10 mld di utili netti e vanta una posizione di capitale in eccesso tra le più elevate in Europa. UniCredit è già presente in Germania con Hvb, importante gruppo bavarese acquisito nel 2005.

La terza operazione, felicemente arrivata alla fase finale, è l’acquisizione da parte di Bnp Paribas di Axa Investment Managers, il gestore patrimoniale di Axa (850 mld di attività). Con questa acquisizione Bnp Paribas diventa uno dei leader europei di questo mercato (1.500 mld di AUM). L’investimento è pari a 5,1 mld, corrisposto interamente cash.

Possibili novità anche nel nostro Paese? Difficile rispondere, anche se la stampa economica ripropone spesso l’argomento. L’iniziativa in Germania di UniCredit può rappresentare l’uscita di scena di un importante potenziale protagonista. Da parte sua, Intesa ribadisce che non progetta alcuna acquisizione in Italia considerata la sua attuale quota di mercato e al contempo non vede target appetibili in Europa. Bpm e Bper con frequenza ribadiscono che “nessuna M&A è oggi sul tavolo”.

Infine, il Monte Paschi, il più probabile target di un’aggregazione, ha confermato l’avviato risanamento dei conti: nel primo semestre 2024 utile netto di 1,2 mld, il doppio circa di quanto contabilizzato l’anno precedente, seppure per il significativo effetto imposte positivo, un contributo straordinario prossimo a 0,5 mld. Tuttavia il raddoppio nell’arco di 12 mesi della quotazione del suo titolo e quindi della capitalizzazione (ora 6,5 mld circa) riduce la platea dei possibili interessati ad un’operazione che comunque non si prospetta facile.