Lo straordinario risultato elettorale del 25 maggio richiede un supplemento di analisi. I diversi commenti di questi giorni, compreso quello già immediatamente pubblicato in questa rubrica, hanno contribuito ad esplicitare le ragioni dei risultati. Due punti hanno provocato molte reazioni e discussioni e meritano di essere ripresi: il Pd (R), dove R sta per Renzi, è una nuova Democrazia Cristiana, o a qualcosa del genere? E che cosa ha sbagliato Grillo della sua campagna elettorale?
Molti commentatori hanno considerato l’accostamento tra Pd e Dc errato. Altri semplicemente sacrilego. Come succede spesso, un’eccessiva attenzione al caso italiano fa perdere di vista il punto essenziale. Vi sono numerose ragioni per sostenere che il Pd di oggi e la Dc di ieri sono due partiti assai diversi, anche se entrambi stanno occupando o hanno occupato un ampio spettro di centro. Ma, più significativamente, lo stesso è avvenuto in questi anni ai partiti di sinistra che si sono profondamente trasformati, dal Labour di Blair ai socialdemocratici tedeschi di Schroder. E’ con questi partiti che la comparazione è più significativa e calzante. E aiuta a inquadrare il fenomeno della mutazione genetica della sinistra europea in questi decenni. Il Pd (R) dovrebbe guardare al loro percorso per capire meglio che fare, e come il successo di oggi può facilmente mutarsi in una sconfitta domani.
Sulla stessa scia si pone uno dei commenti più intelligenti e sbagliati di questi giorni, quello di Galli Della Loggia sul Corriere di martedì scorso (3 giugno). Per stare all’essenziale, da una parte, i cattolici non hanno più da decenni un unico partito di riferimento, nè potrebbero averlo, frammentati politicamente come sono; dall’altra, Renzi ha potuto vincere solo quando si sono create le condizioni favorevoli grazie allo spazio tripolare emerso dalle elezioni del 2013.
E Grillo? Come mai le attese di vittoria sono state smentite dai quasi venti punti percentuali di distanza tra Movimento 5 Stelle e Pd? Dove è l’errore o gli errori? Senza dovere ricorrere a una noiosa e puntigliosa comparazione, gli atteggiamenti di critica alla democrazia, che sono alla base del voto per i 5 Stelle, sono stati e sono presenti anche in diversi altri paesi europei. Ma in nessun caso hanno avuto il successo del Movimento italiano del 2013 per due ragioni. La prima: in nessun paese europeo è emerso un leader, sostenuto da un’organizzazione tecnologicamente efficiente, come in Italia. In breve, Grillo con le sue capacità di attrazione e Casaleggio con la sua piattaforma tecnologica hanno fatto la differenza. La seconda: Grecia e Ungheria a parte, in nessun paese europeo vi era un contesto di crisi e insoddisfazione così profondi. In questo contesto Grillo ha canalizzato la protesta dando vita a un paradosso tutto italiano: atteggiamenti antipolitica e anti partiti espressi da un partito. Il risultato, tuttavia, è che l’Italia è stato il paese con meno protesta di piazza e disordini rispetto ad altri parimenti colpiti dalla crisi (Grecia, Spagna, ma anche Portogallo). Come ora sappiamo, Grillo ha anche contribuito a spostare numerosi voti moderati verso un Pd, diventato garante di stabilizzazione. Ma allora ha sbagliato? Nella sua logica di espressione radicale della protesta non ha affatto sbagliato. E’ semplicemente avvenuto che la seconda condizione del suo successo si è modificata, non perché Renzi sia riuscito a superare la crisi, ma in quanto il nuovo Pd è riuscito a dare speranze e, dunque, a cambiare quel contesto di insoddisfazione senza uscita. Grillo doveva capirlo ed adeguarsi? Perché? Non era affatto sicuro che il messaggio di Renzi avesse successo. E, poi, era stato proprio quel radicalismo alla base del successo di Grillo. Sulla base di che cosa cambiare? E’ ben noto che….del senno del poi son piene le fosse…In realtà, alla fine, quello che conta è che cosa Grillo farà ora e come Renzi riuscirà a incassare e consolidare il suo successo.