In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Regole e anarchia per le valute/asset virtuali
Giuseppe Guglielmo Santorsola
santorsola

Come ipotizzato da molti, il 2021 ha consolidato l’attenzione (positiva e negativa) verso le cryptocurrencies (o criptoassets). L’andamento dei prezzi di alcune delle principali monete virtuali ha suscitato l’interesse con conseguenze fra loro contrastanti; ne è derivata una notevole volatilità, con una tendenza verso l’aumento delle quotazioni di alcune di esse. L’andamento ha consolidato la convinzione che si tratti per molti di un asset nel quale investire con diverse strategie. Meno generalizzato, o meglio concentrato su un perimetro esistente ma ristretto, è stato invece lo sviluppo della funzione di mezzo di pagamento dai più rifiutato.

Quest’ultima funzione, tuttavia, ha rinvenuto due campi di sviluppo importanti:

  • alcuni Paesi hanno adottato la criptovaluta quale mezzo alternativo rispetto alla circolazione monetaria tradizionale governata da una Banca Centrale, quasi sempre laddove la moneta nazionale viveva condizioni critiche di alta svalutazione;
  • alcune Banche Centrali hanno ipotizzato invece la creazione di una trasformazione digitale che tenesse conto della struttura organizzativa basata sulla tecnologia della blockchain, con particolare riferimento alla moneta metallica e non a quella cartacea.

Nell’area dell’asset class di investimento, molti player del mercato hanno considerato l’investimento in criptovalute quale alternativa parziale nella composizione dei portafogli determinando una condizione nella quale la mancata considerazione ha – talvolta – generato reazioni nella clientela a favore di competitori più attivi. Non appare più dominante la scelta di non considerare l’innovazione ormai caratterizzata da oltre un decennio di operatività, da quando fu creata nel 2009 su iniziativa di Satoshi Nakamoto (o di chi ha operato inizialmente utilizzando questo nickname) proponendo il primo progetto sui Bitcoin.

Nonostante la cautela delle autorità di regolamentazione e di buona parte dell’industria della consulenza finanziaria, un numero sempre maggiore di investitori ha iniziato a investire nelle criptovalute. Si tratta di un trend che l’industria finanziaria non può ignorare, e – qualora le criptocurrencies/asset diventassero mainstream – gli asset manager dovranno decidere se intorno a questa nuova asset class intendono sviluppare proposte e offrire strumenti d’investimento.

Alcuni studi con adeguato fondamento scientifico hanno evidenziato e dimostrato che i recenti sviluppi delle criptovalute possono creare uno scenario favorevole per una loro maggiore accettazione in un contesto dotato di opportune normative che isolino l’eccessiva offerta estranea alla disciplina monetaria prevalente. 

E’ condiviso dalle principali istituzioni ed Autorità che si tratti di una asset class non adatta a tutti gli investitori, non di semplice comprensione – per quanto attrattiva – mentre la consulenza finanziaria sperimenta soluzioni che incorporino l’asset class nel contesto di strumenti più conosciuti quali fondi comuni non tradizionali ed ETF.

Per questo, si rafforza la convinzione che gli investitori individuali più idonei dovranno contare sulle raccomandazioni degli asset manager di loro fiducia, che li aiutino a muoversi in questo territorio complesso per evitare di ritrovarsi in un contesto rischioso e senza la necessaria conoscenza e nel permanere, al momento, di una limitata trasparenza generata anche dalla pressante attività promozionale, svolta dai numerosissimi operatori nell’area commerciale, priva di forme adeguate di controllo, orientata più all’induzione verso attese di rendimento che al controllo del rischio.

E’ indispensabile sottolineare che la maggior parte dei consulenti patrimoniali non prevede ancora di utilizzare criptovalute nella composizione di portafogli. È invece possibile che altri asset manager e consulenti trovino una nicchia di mercato e abbiano capacità di dotarsi delle competenze necessarie nella gestione di prodotti o servizi di investimento che comprendano criptovalute in proporzioni sostenibili con la propensione al rischio e la protezione complessiva offerta dal complessivo portafoglio. 

In questo contesto è concepibile che gestori e piattaforme preferiranno collaborare con i regolatori per promuovere una normativa idonea intensificare gli sforzi per offrire agli investitori retail un accesso ponderato ed equilibrato agli strumenti basati su criptovalute. Le stesse esperienze negative sulle numerosissime offerte, ormai espulse dal mercato, supporteranno la tendenza alla regolamentazione.

L’intervento propositivo delle Autorità Monetarie si traduce nell’approvazione di strumenti finanziari che dedichino quote della loro composizione verso criptovalute in proporzioni idonee; un criterio che ha già guidato la parziale armonizzazione fra UCITS e AIFMD nel decennio scorso. Cooperando insieme ai regolatori, gli asset manager sarebbero più allineati con gli interessi degli investitori, nella misura in cui si consentirebbe ai clienti retail di ricevere financial literacy, guida operativa e strumenti di controllo utili ad avvicinarsi allo strumento. Servirebbe anche a tenere lontani gli investitori retail da scommesse rischiose, e a guidarli verso contenute allocazioni in criptovalute, esautorandone la funzione monetaria sostitutiva ed esaltandone la natura ossimorica di commodity virtuale. Un disegno opposto a quello degli originari proponenti che risulterebbero esclusi dal canale regolamentato.

La situazione attuale di informazione incontrollata ed invasiva consente ai gestori regolamentati di valutare le opportunità offerte dalle criptovalute, evidenziando oltre agli argomenti a favore, anche gli evidenti rischi, spiazzando l’indiscriminata offerta da parte di soggetti che non risultano essere intermediari autorizzati. Per gli asset manager è invece pericoloso in prospettiva rifiutarsi di prendere una posizione su questa emergente asset class. Nel momento in cui le consolidate società di servizi finanziari dovessero rendere difficile ma possibile, per gli investitori l’accesso a questi prodotti, avverrà anche la selezione fra i provider esterni, i miners e le società di brokeraggio non autorizzate. I protagonisti dell’industria dell’asset management dovrebbero quindi sviluppare una visione delle criptovalute e fornire valore ai clienti offrendo education e supporto. Il tutto con l’ausilio ormai indispensabile dell’intervento di Regulators ed Autorità di Vigilanza. Uno scenario che contrasta con la natura originaria dello strumento, introdotto a suo tempo quale iniziativa peer-to-peer alternativa rispetto alla moneta tradizionale, accusata di signoraggio, cioè reddito improprio derivante dall’emissione di moneta.

In questo contesto si inserisce il progetto di euro digitale Central Bank Digital Currency, CBDC, progettato dalla BCE quale integratore rispetto alla moneta tradizionale con funzione “effettiva” di stablecoin e valore garantito dagli Stati. Ricordiamo al riguardo che la stessa BCE (interessata al tema insieme a numerosi soggetti omologhi) sostiene come sia “difficile vedere motivi che giustifichino l’esistenza delle cripto-attività nel panorama finanziario” e li definisce quali “strumenti fittizi senza valore intrinseco e senza utilità”, riconoscendo peraltro la validità del contenuto tecnologico dell’innovazione, replicandolo a livello istituzionale e sottolineando come il loro potenziale e volatile valore di mercato sia ormai oltre la soglia critica, superando i 2.500 miliardi di dollari, ammontare superiore al valore dei mutui subprime, quando risultò alimentatore della crisi del 2007-2008. Essi possono quindi minacciare la stabilità finanziaria. La stessa BCE ha espresso dubbi sulla natura “stabile” degli “stablecoin”, mentre l’entrata in scena delle Banche Centrali è stata definita “inevitabile, utile e necessaria per la stabilità del sistema, per la sovranità monetaria, finanziaria e politica, per il ruolo internazionale dell’euro, per la tutela della riservatezza, per la competitività delle banche”. 

Esaminando le due alternative, emerge come l’euro digitale possa essere inteso come una moneta emessa da una banca centrale in forma digitale che cittadini e imprese utilizzerebbero per i pagamenti al dettaglio, ampliando l’offerta attuale di contante e di base monetaria. In quanto a struttura non ha quindi comparabilità con le criptovalute, benché possa essere gestito da procedure elettroniche, per quanto non completamente automatizzate nella fase di creazione e di regolazione. Infine, l’esigenza di un intervento nel campo della digitalizzazione monetaria è reclamata dalle iniziative anche di altri soggetti istituzionali internazionali con lo scopo di contrastare strumenti che sottrarrebbero la regolazione degli scambi al potere di controllo delle Autorità Monetarie, per di più in un contesto anomalo per la quantità attuale della moneta. 

Al contrario, le criptovalute anche quando regolamentate da una dimensione controllata (come nel caso dei Bitcoin) mancano della fondamentale garanzia del valore se non a livello peer-to-peer ed istantaneo. Non sono idonee a svolgere tutte le tre funzioni della moneta: mezzo di pagamento, riserva di valore e unità di conto e rappresentano una fonte, anomala in questi tempi, di inquinamento e di danno ambientale, sono utilizzabili (ed utilizzate in casi documentati) per attività criminali di riciclaggio, blackmailing e terroristiche nonché per occultare redditi ed eluderne la tassazione (al netto di alcuni recenti interventi transnazionali, quando oggetto di scambio di informazioni, come nel caso della CRS o della FATCA). 

In definitiva, tra le principali ragioni a base della volontà di studiare una forma di moneta in versione digital, il report della BCE da cui origina il progetto individua: a) affiancare il contante e i depositi; b) creare sinergie con il settore dei pagamenti; c) sostenere la digitalizzazione nel mercato EU; d) assicurare l’accesso a monete emesse da una banca centrale; e) evitare i rischi di pagamento mediante soluzioni non regolamentate; f) prevenire il ricorso a valute estere. 

Un complesso di obiettivi che riconduce la rivoluzione disruptive originaria nell’alveo del ruolo istituzionale delle Banche Centrali. Non è certo compito di queste note delineare le possibili reazioni del mondo virtuale di fronte alla implementazione dei progetti di contrasto. Mi limito a ricordare la recente attività di sponsorizzazione nel settore dello sport, quale elemento di novità per accelerare la conoscenza da parte del pubblico più generale. automobilismo, football, basketball e baseball risultano al momento i segmenti più coinvolti. Meno efficace e lineare è invece la costante sollecitazione non regolamentata attuata attraverso comunicazioni a distanza e pubblicità nel mondo web, densi di messaggi non sempre veritieri e completi nella loro struttura.

Utilizzando alcuni termini chiave di questa innovazione, è forse il momento più idoneo per delineare una catena normativa che dia stabilità alle “cripto”-valute, che, ricordiamolo, è un “elemento di parole composte formate modernamente, in genere termini scientifici o dotti, nei quali significa «nascosto, coperto, simulato»”. Una definizione non compatibile con la tendenza attuale della finanza responsabile.

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